Bea e Filippo

Bea e Filippo

martedì 31 dicembre 2013

Buon Anno!

Auguri a tutti!
Ho in mente tanti nomi.
Un Blog crea legami, sottili e forti allo stesso tempo!
Intrecci di esperienze che ogni anno generano condivisioni e scambi di pensieri!

Il tempo passa. Anno su anno. C'è chi viene e chi va.
Eppure è proprio il tempo che scorre il punto di vista...
Un punto che è importante. Magari piccolo. Ma unico.
Un anno passato non lo si riesce a fissare tutto d'un colpo.
Un Blog aiuta a guardare indietro e a capire che ci sarà molto anche davanti.
Le pagine che si riempiranno di nuovo, del nuovo che accadrà.
Questo è il bello!

L'augurio a me stesso, e che vorrei allargare a chi legge, è proprio questo:
che il tempo che scorrerà anche nel 2014 possa generare tanti punti di vista.
Tante condivisioni, racconti.
Che per tutti ci sia sempre la passione di scrivere, narrare.

E che tutto questo avvenga perché il tempo ci permetta di farlo.
Perché sia forte la voglia di vivere ogni attimo offertoci.
Vissuto con intensità.
Ricco di energia e speranza.
Di passi avanti. Di conquiste.
Di bellezza.
Di ripartenze e serenità.

Con le nostre famiglie.
Soprattutto con i nostri figli!

Buon Anno Amici!


mercoledì 25 dicembre 2013

Buon Natale!!!

Auguri a tutti!
A chi passa di qui!
Papà e mamme! .... e alle loro famiglie!
Amici e amiche!
Curiosi e affezionati!
Vicini e lontani!

A tutti un sereno Natale... di cuore!

lunedì 23 dicembre 2013

Natale e regali! ... che cosa è Buono?

Siamo in macchia. la radio è accesa. I bambini reclamano il cd di Max Pezzali... sono diventati dei fan... mi accingo a metterlo. facciamo in tempo a sentire un pubblicità radiofonica. E' quella del Grana Padano.
Ascoltatela. Nel dialogo tra padre e figlio il papà alla ad un certo punto afferma che Babbo Natale esiste "per portare i regali ai bambini buoni...".
A Filippo qualcosa non torna: "Papà, perché Babbo Natale porta i regali solo ai bambini buoni?". Mi prende in contropiede. Pure a me quell'affermazione suona male.
Lì per lì non so cheddire. Poi me ne frego e rispondo che: "Quel papà si è confuso... Babbo Natale sa che non ci sono bambini cattivi. Che i regali arrivano a tutti. Può capitare che qualche bambino sia un po' monello qualche volta, ma Babbo Natale non dà punizioni, soprattutto a Natale".

Tutto il rispetto per il Grana Padano: lo adoro. I mie figli ne vanno matti. ma quel messaggio, a mio avviso, è proprio stonato. Non è buono come il prodotto... anzi lo rende, in quel frangente quasi antipatico. Diciamo che non tutti i copy sono dei fenomeni... perché non bastano le intenzioni: i messaggi posso nascondere vari significati e vanno previsti. 

Suvvia il regalo è regalo. E' gratis per natura. E' una delle poche cose non ancorata al merito. Perché ridurlo ad un compenso legato alla bontà?
Perché far pensare ad un bambino che Babbo Natale (il simbolo del dono, della bontà) possa fare delle liste: i buoni e i cattivi?
Perché ingenerare il dubbio di non sentirsi del tutto a posto? Magari per una sgridata un bambino vive il timore di non essere tra i buoni prescelti.

Magari nel tempo si è esagerato. Forse il costume ha un po' inquinato il clima natalizio con un'eccessivo peso ai regali materiali. Non sta a me giudicare. E non lo voglio fare.
Ma il regalo ha un valore in sè.
Poi so benissimo (perchè ci sono pienamente coinvolto) che, come scrive bene il mio amico Gae, un po' di ricattoterapia la si fa sempre...
Ma a Natale e per  i suoi regali non riesco.

Il regalo lo si fa per piacere, per suscitare un sorriso. Per esprimere vicinanza, affetto.
Senza buoni e cattivi.
Vabbè, lo so, ci sono i regali "obbligati", quelli che un po' pesano... non si sa mai che cosa prendere. Se ne farebbe a meno. 
Ma quelli per le persone care a volte è più bello farli che riceverli! Si pensano, si scelgono con cura. 
A volte si osserva il volto di chi li apre quasi con trepidazione! Si spera di scorgere gioia vera! E quando c'è si moltiplica. Si contagia.

E' Natale anche questo. Gustare i doni per quel che sono, non perché guadagnati!

Beatrice e Filippo l'altra sera ci hanno detto: "Mamma, papà noi vogliamo che Babbo Natale vi regali una bel  viaggio."
Sanno che ci farebbe piacere!
Hanno forse capito un pezzetto di bontà?


martedì 17 dicembre 2013

Smerdaug

Chi ha a che fare con bambini piccoli si abitua a trafficare con la cacca. Prima la si osserva nei pannolini per scovare eventuali anomalie. dalla prima cacca molle "da latte" si passa a quella delle prima pappe: evoluzione anche olfattiva. Poi il problema dopo lo spannolinamento è pulire i bambini e abituarli a gestirsi lo stimolo della cacca. La cacca è una specie di compagna di viaggio. E' anche simbolicamente segno di un corpo sano, armonizzato in tutte le sue funzioni. Il non fare la cacca è peggio che farla. O sbaglio?
Col passare degli anni il tema cacca evolve anche a livello di linguaggio: si passa a merda. Termine pregnante, dalle molteplici accezioni. Merda in senso dispregiativo, non necessitano spiegazioni. "Ho pestato una m....", "Che figura di m...": qui l'evoluzione simbolica eleva il termine a significanti più nobili. Ma chiari.
Si potrebbe continuare all'infinito, perchè di fatto di merda siamo tutti dei grandi intenditori.

Ma perché alla vigilia delle feste più buoniste dell'anno sto dedicando del tempo a questo tema? Non ho cose migliori, magari più natalizie, a cui volgere il pensiero e la mente?
Mi voglio togliere uno sfizio. E' il mio forcone privato, che condivido non tanto per cercare solidarietà, ma perché quando c'è il maldipancia spesso passa proprio grazie alla m... che se ne va.

Vengo al sodo: nel nostro Paese non riusciamo proprio a fare a meno della merda! Lo smerdaug (attività dello smerdamento, definibile con neologismo ad hoc) è lo sport preferito del nostro popolo. 
Non riusciamo a farne a meno. E' più forte di noi. Tocca tutti i lati della vita, dalla politica allo sport, dallo spettacolo  alla scuola, dal cinema alla vita di piazza. Siamo tutti amanti dello smerdaug: lo pratichiamo con instancabile dedizione. Lo tramandiamo pure con orgoglio. Lo coltiviamo come tratto distintivo di una popolazione che preferisce riempirsi la bocca di merda, piuttosto che spalarla.

Basta leggere i giornali, i commenti on line. Sostare nei bar, in qualche piazza, fuori da scuola, seguire i dibattiti televisivi, perdere un po' di tempo sui social o nei blog. E' tutta una gara a chi lancia più merda!
Il gioco è semplice: prendi una cosa/una persona/uno spettacolo/un evento/un pensiero/una proposta che funzioni abbastanza bene. Basta che sia nuova, interessante, vagamente intelligente. Basta che esprima creatività e rompa col  predefinito. Spesso è sufficiente che sia orientata al futuro e anche solo semplicemente al bene di qualcuno in generale e non in particolare. E' sufficiente che ci sia del positivo. Ecco allora che implacabile scatta lo Smerdaug di massa. Incalzante e professionale.
Una vera gara! Uno spettacolo! Perché da noi, in Italia, non può esistere qualcosa che cambi lo status quo! Non deve  esserci un qualcosa che funzioni o prometta di essere positivo!
No. Deve sempre (e per forza) avere sotto l'inganno o la fregatura e quindi il lancio della merda preventivo serve a spegnere ogni tipo di velleità. Il bravo, il bello, l'intelligente, il nuovo, l'utile in Italia non può esistere... ma scherziamo! Alle prime avvissagle Smerdaug a manetta!
Altro che rottamazione (o ripresa) non siamo i migliori nella "smerdazione"! 

Detto questo il mio vero problema è un altro! 
Io lo smerdaug ai miei figli non lo voglio insegnare!
Lo so sono una merda! ... 
ma lo prometto da domani sarò più buono!

venerdì 13 dicembre 2013

In Italia: i bambini "senza ossigeno"

E' troppo forte per non parlarne. O almeno per non pensarci su e riflettere un po'. L'Atlante dell'infanzia di Save the children nel quale è contenuto il rapporto l'Italia Sottosopra, denuncia che nel nostro Paese un milione di bambini vivono in una condizione di povertà. In più ce ne sono un milione e 300.000 che si trovano in condizioni di disagio dovute alle condizioni della famiglia.
Totale: in Italia quasi due milioni e mezzo di bambini soffrono condizioni precarie. Vivono quotidianamente l'esperienza della deprivazione: poco cibo, poche possibilità, poca cultura o attività extra.
In Italia. Nelle nostre città. Accanto a noi.

Ma quello che più mi fa pensare è che il rapporto evidenzia che la condizione di questi bambini soffrono anzitutto un problema di prospettiva, di possibilità. Recise o rese estremamente complicate da una condizione precaria, ma minate non solo dalla crisi degli ultimi cinque anni. Ridotte, in verità, dalle politiche italiane rispetto all'istruzione: da noi sono anni che non si investe su formazione e conoscenza. Siamo l'ultimo Paese in europa per fondi dedicati all'istruzione. 

Quindi il problema non è solamente legato ad un presente "con pochissimo ossigeno - come si precisa nel rapporto -: cibo ridotto, nessun libro, scuola solo al mattino, niente attività extra (musica, sport, ecc.)", ma anche al futuro. La precarietà del presente condiziona una crescita culturale capace di spezzare la spirale negativa: senza sostegni dallo stato la condizione non migliora neppure col tempo. Si innesta, mi vien da dire, un'eredità al ribasso.

Tutto questo mi fa pensare. Molto. Mi turba anche un po'. Perchè non riesco a sopportare queste disparità senza soluzioni. Non mi piace pensare che il mio Paese viva ogni giorno con questo fardello, nella consapevolezza che il futuro negato a milioni di bambini determini nel lungo periodo un impoverimento generale. Quello di un'Italia che non avrà solo il problema del debito pubblico, ma quello di una popolazione culturalmente sempre più povera e quindi incapace di agganciare il futuro. Le nuove prospettive. Una crescita che non sarà mai, nel nostro occidente, meramente produttiva, ma necessariamente innovativa.

In tutto questo credo che sia necessario non solo pensare, magari intristendosi o incazzandosi, a quanto emerge da un'analisi impietosa, ma anche  provare a immaginare soluzioni. Proposte. E azioni.
Save the Children sottolinea come sia indispensabile che lo Stato ricominci a investire in "Scuola" e che ci siano "territori ad alta densità educativa, però aperti a tutti, senza distinzioni".

Ma questo basterà? In quanto tempo si potrà porre rimedio alla devastante condizione a cui sono costretti milioni di bambini ( e le loro famiglie) in italia? 
I tempi della nostra politica sono lunghi. Spesso perchè le preoccupazioni, purtroppo, sono altre. 
E se inaugurassimo i tempi della società civile?
Magari se come famiglie, insieme ai comuni, ci si facesse carico di creare spazi accessibili?
Magari disurbanizzando il sistema?

Non lo so. Prometto che comincio a guardare se ci sono esperienze in giro... ma qui si deve per forza fare qualcosa!!



lunedì 9 dicembre 2013

Soddisfazioni! ... insperate.

"Cavolo, la torta per domani! Me ne ero dimenticata!." E' domenica, sono le 21.00. Appena tornati dalla montagna... i bimbi già a nanna. Fingo dispiacere (e giusto disappunto: le torte sono compito suo!) e me ne fuggo dal mio vicino a vedere l'Inter. Vabbè, se per una volta ci si dimentica di una cosa non cascherà il mondo. 

Mia moglie invece, stranamente iperattiva, decide di trovare una soluzione. Un ricettario c'è. Un uovo pure. Un minimoo di burro anche. Latte ok. Si può fare.
Non è una specialista, ma si mette a impastare e produce.

Torno dalla partita, non proprio felice. Un tre pari inutile a San Siro, l?inter ha la difesa quasi peggio di quella del Milan. Entro in casa e vengo rapito da un profumino niente male. Mia moglie dorme sul divano e il forno suona il termine cottura. la tiro fuori dal forno. La guardo. Ha usato una pirofila rettangolare (quella del pollo...) un po' piccolina, ma in fondo non c'era un limite alla grandezza. 
La ricetta diceva pere e cioccolato... ma noi avevamo in casa solo due mele. Nel caso il cambio ingrediente ci sta. La forma non è eccezionale, ma l'importante poi è il giudizio al palato. L'estetica inganna, a volte.

Sono le otto di mattina, bisogna portare la torta all'asilo. Manca un "sottotorta". Detto e fatto: si recupera una copertina rigida di un quaderno la si avvolge accuratamente con carta stagnola e il supporto è fatto. Il tutto protetto da carta trasparente e il pacchetto è fatto. 
Pronta per il banchetto vendita dei genitori.

La mamma, oggi è pure il suo compleanno, si prende mezza giornata libera e va a ritirare Filippo all'asilo. Arriva al banchetto... sono rimaste tre torte, tra cui la sua. La vorrebbe comperare, ma non osa chiedere sconti (ha in tasca solo 1 euro). Desiste e spera che qualcuno si intenerisca.

Sono le 21.00 e arriva questa mail dal gruppo dei genitori della classe di Filippo: "Ho comperato oggi la torta mattonella mele e cioccolata! L'ultima rimasta, divina! Ce la siamo pappata Sebastiano ed io quasi metà stasera! Grazie a chi l'ha fatta!".

Una lacrima scende la volto della pasticcera ignota... rispondo io per senso del dovere: "Vi assicuro che chi l'ha fatta non osa rispondere... Ma ringrazia per i complimenti (se la voleva pure ricomperare... Ma al momento era sprovvista di euri...), e commossa sta incorniciando il commento ricevuto!"

Queste sono soddisfazioni!

venerdì 6 dicembre 2013

Papà, il nonno è in cielo?

Filippo (il mio piccolo) a volte se ne esce di botto con domande a bruciapelo, che mi lasciano di stucco. 
"Papà, il nonno è in cielo?"
Il nonno a cui si riferisce è mio padre che è mancato nel più di dieci anni fa. Quando sta con mia mamma gli capita di vederne la foto. Anche di fare un giro al cimitero.
E nel suo dialogo con la nonna a lei è venuto immediato e spontaneo dire a Filippo che il nonno è in cielo.
Filippo però mi ha chiesto, qualche tempo fa,  la conferma. “Papà, il nonno è in cielo?”.
Questa domanda in questi giorni mi è tornata ripetutamente alla mente. Perche da una parte unisce l’interrogativo di un bambino – semplice e profondo -  e il ricordo di mio papà, ma anche – ed è la fatica di questi giorni – l’addio a due persone che improvvisamente ci hanno lasciato. Persone con legami e intrecci diversi. Uniti dal vuoto lasciato e dal dolore di amici. Un dolore che se anche solo sfiorato, non lascia indifferenti.
Papà, il nonno è in cielo?”.
Caro Filippo, sì il nonno è il cielo. Da lassù ci è accanto. In un modo diverso continua a volerci bene.”
Ho scelto la via diretta, quella di chi crede nella vita dopo la morte. La via di una speranza, magari fragile, ma sempre capace di rianimarsi nel confidare che non tutto finisca con la morte.

A Filippo è bastata quella risposta. Cercava una semplice conferma e per ora il discorso si è chiuso lì. Bea ha ascoltato. In silenzio. Per ora.
Ma sono certo che le domande torneranno. Non sarà solo un problema di luogo, il cielo. Sarà l’interrogativo legato alla morte, al non esserci più di persone care. Al dolore che genera ogni distacco.
Questo aspetto è parte della nostra vita. Non serve nasconderlo o cambiare discorso. Tanto ci tocca. Sempre. Bisognerà condividere esperienze. Far capire che abbiamo le risorse per affrontare anche questi momenti. Che non si deve fuggire dalle evidenze, ma affrontarle. Che non tutto è comprensibile al cento per cento, ma non per questo senza significato.

Ma un conto è dare risposte a me stesso. Far crescere e coltivare le speranze con i dubbi. Far camminare insieme le certezze con gli interrogativi. E sintetizzare tutto nel sentire del credente. Senza vuote consolazioni.
Diverso è porsi di fronte ai propri figli con questo tema. La morte, il distacco, il dopo. Il dolore, il vuoto generato dalla scomparsa dei propri cari.
Da una parte perché non si tratta di una mera questione teorica: spiegare non riesce a definire le dinamiche che si genera affrontandola.
Ma allo stesso tempo ha bisogno di parole che ne facciano intravvedere i risvolti, le dinamiche, le implicazioni.

Per ora mi è toccato solo sfiorare la questione. Ma so che prima o poi i miei figli mi richiameranno in causa: con la loro semplicità. Priva di compromessi.

Attendo … e ci penso.

martedì 3 dicembre 2013

Differenze

Le differenze. 
Quelle che rendono persona unica. 
Quelle che permettono ad ogni cosa di non essere considerata il clone di un'altra. 
Quelle del pensiero e quelle fisiche. 
Quelle che avvicinano.
Le differenze.
Quelle esteriori e quelle interiori. 
Quelle che sono l'anima dell'imperfezione. Un po' a te e un po' a me. 
Quelle che alla fine rendono tutti un po' simili.
Le differenze.
Quelle che non mettono steccati o gradini.
Quelle che ti fanno apprezzare e amare.
Quelle difficili da accettare, ma che ti mettono in gioco.
Quelle che ti insegnano il rispetto. 
Le differenze.
Quelle che celano il mistero della felicità.
Quelle volute e quelle ereditate. 
Quelle che favoriscono contatti.
Quelle che generano complementarietà.
Le differenze.
Quelle che uniscono.
Quelle che non devi giudicare, ma solo amare.
Quelle dette o tenute dentro.
Quelle naturali o senza un perché.
Le differenze.
Quelle che hai solo tu, e non sono sempre le migliori.
Quelle dei volti e degli sguardi.
Quelle della salute o delle malattie.
Quelle che fanno sorridere o riflettere.

Le altre non mi interessano.






martedì 26 novembre 2013

Avvisaglie... di Natale

Il Nostro presepe!
E' già Santo Stefano!
Fra un mese il Natale sarà già passato.
Dietro le nostre spalle. Volato via.
Manca meno di un mese!
A casa nostra, per la verità,  è già comparso il calendario dell'avvento e la mamma s'è prodigata a fare un angioletto per il Presepe di classe all'Asilo. Avvisaglie...
La nostra casa cambierà volto il prossimo sabato: albero e presepe faranno la loro comparsa.

Il nostro Presepe, quello comperato "a pezzi" (= a rate) e il classico albero finto da "condominio milanese" modificheranno lo scenario e la geografia del nostro salotto. Bello il presepe vero?

Chissà che penserà la tartaruga... festeggerà il Natale pure lei?

Riprendo in parte le parole di un post vecchio... lo faccio perchè sono ancora talmente presenti in me da non riuscire a trovare di meglio.


Attesa. Attesa, sì proprio lei..
In questo tempo mi ritrovo spesso ad attendere che accada qualcosa. Di quello che poi si verifica o di quello che accadrà: chissà. E' il secondo che mi prende. Come ogni anno, di questi tempi.
Attendo il Natale.  E' l'appuntamento annuale che sa imporsi in me, che non riesco (e non voglio...) tenerlo fuori e neppure ai margini. E' evocativo di tanti ricordi, e a questi non si sfugge. Sa ripresentarmi tradizioni alle quali sono legato, anche se a volte sono un po' impolverate, o semplicemente meno vitali.
Ho voglia di fermarmi, di calore casalingo. Di risentire e rivedere un po' di gente che durante l'anno sfugge. Senza colpe. E' il circolo delle esperienze che allontana e riavvicina.
Ricordo i rientri al paese per le Feste, gli incontri - sempre senza appuntamenti - con gli amici: incontri più forti delle tradizioni. Legami che rimangono anche senza incontri.
Desidero respirare l'aria di festa, di lasciarmi contagiare da lei, anche se attorno è più quello che si spegne di quanto si accende.
Ho voglia delle sue (... sempre del Natale parlo)  melodie, dei suoi profumi, dei suoi tempi, delle sue preghiere. Sì,  quelle che si sentono o si recitano. Spesso non si sa perchè né per chi... ma ci sono. E mi fanno pensare: sono eco di desideri. Anche dei miei.
Ricordo la Mezzanotte, nei vari luoghi in cui ho vissuto. Il prima con il presepe vivente, il silenzio che raccoglie pensieri se ti lasciavi rapire dalle dolci note tipiche di quei momenti. La Messa, quella dove si stava stretti perchè troppi. Dove il parroco cantava tutto, ma proprio tutto. Dove i bambini si addormentavano.
E il dopo: auguri, sorrisi in piazza, il profumo del vino speziato. Un sacco di abbracci, vicinanze di quel momento lì: fiorite e sfiorite in pochi istanti (ma non per questo necessariamente povere) e rinviate a ricrearsi alla successiva mezzanotte.
Ho voglia dei suoi simboli, dell'albero e del presepe. Il presepe, oggi nella mia casa cittadina è originale e senza impatto ambientale... ai tempi costava fatica: andavo a raccogliere il muschio nel bosco. Magari ghiacciato. Ma era bellissimo, perchè poi sistemare le statuine era un conquista. Era tradizione... oggi è più memoria.
Ho voglia di sorprese. Di guardare i miei figli negli occhi, di fronte ai momenti che pure loro attendono con trepidazione. Aspetto i loro sorrisi. Il loro stupore. Il loro calore.
Grazie a loro mi ritornano in mente le attese da piccolo. Quando mi alzavo dal letto presto, vincendo la mia pigrizia perchè volevo scartare il mio pacchetto riposto sotto l'albero. Non so perchè m'è rimasta l'immagine dei pennarelli: queste mega scatole di pennarelli. Proprio a me che a disegnare e colorare ero una cippa. Ma erano tempi grami...
Attendo il tempo che rallenta. Omaggio delle feste. Un tempo non lo sopportavo, preferivo la velocità, ora me lo gusto, perchè è presenza di chi amo. E mi basta.
Attendo le ferie. Il non pensare al dover per forza fare, ma al fare quanto  desidero o scelgo.
Di non dover aspettare che la moglie torni dal lavoro in un orario decente. Di non dovermi incazzare perchè il lavoro oggi ha meno slancio di ieri, anche se ne avrebbe bisogno di più.
Attendo il nuovo anno e ringrazio i mei figli che mi offrono la scusa per vivere il passaggio come piace a me. Senza casini. In pace. Preferisco osservare... e la semplicità.
Attendo che tutto passi, perchè dopo un po' mi rompo. Le pause invernali troppo lunghe mi rendono alla fine un po' claustrofobico. Il freddo mi frena.
Che tutto passi perchè vuol dire che ricomincia la discesa, verso le stagioni che amo di più.
Attendo che il qualcosa di nuovo poi accada davvero. Che si esca dal tunnel di ciò che non c'è più, per rivedere la luce del nuovo che si rigenera. Di qualcosa che ci riporti a galla, per riprovare davvero ad offrire un futuro migliore a chi se lo merita. Le stesse speranze di 30anni fa...
Attendo. E provo a non fermarmi.

venerdì 22 novembre 2013

Bea a scuola. Un primo assaggio

Sono passati più di due mesi da quando Beatrice ha iniziato la scuola. Con lei di fatto l'abbiamo ricominciata anche noi genitori. Un figlio che inizia la scuola vede aprirsi per sé un mondo nuovo, ma sono tante anche  le novità che toccano la famiglia. Agende da riaggiornare, avvisi da memorizzare, appuntamenti quotidiani col diario, con l'astuccio. I compiti, i primi giudizi. La merenda da non dimenticare... I giorni di ginnastica. 
Una piccola rivoluzione, lo ammetto, non tanto nel menage generale, ma in quello quotidiano. Sempre all'erta.

Parto dalla novità più importante: il colloquio con le maestre. Il primo. Mia moglie purtroppo non ce la poteva fare. Eccomi allora puntuale. Ci sono arrivato senza pensieri e in quei pochi minuti d'attesa me ne sono sorti un sacco. Chissà come va Bea? Sarà attenta, educata, socievole? Ascolterà le maestre? grosse apprensioni no, ma in fondo parleranno di mia figlia. 
Entro. Mi accolgono con un sorriso. Tutto ok. La faccio breve. La partenza è stata molto buona... che continui così. Esco soddisfatto, i dubbi sono fugati. Sono contento per Bea. Si merita di sentirsi riferire da me i complimenti sul percorso fatto, anche perchè non sempre io e mia moglie siamo di manica larghissima. E' giusto. Come va da sé la raccomandazione a  non abbassare la guardia. In fondo l'autostima si rafforza col riconoscimento dell'impegno profuso e dei risultati. Giusto?

Poi c'è la cartella. Sì quella rossonera, che guardo sempre con un certo disappunto. E' la cifra simbolica di un'attenzione quotidiana. Il controllo puntuale della cartella è necessario. Si parte sempre dal diario: per eventuali compiti, avvisi, segnalazioni. A cascata si prosegue con i quaderni per verificare il percorso fatto ( l'occhio cade sulle faccine sorridenti o i giudizi espliciti... e si va dal "Colora meglio" al "Brava" o "Hai fatto un lavoro eccellente"). A onor del vero Beatrice non segnala nè l'uno nè l'altro. Non va dalle stelle alle stalle. Forse c'è ancora un po' di sana inconsapevolezza rispetto al valore generico del giudizio. Ma va bene così.
Ma la cartella non ha solo una funzione di contenitore didattico. E' spesso foriera di residui della vita a scuola dei bambini: reperti di oggetti di compagni. Disegni vari. Residui di merende condivise. La bonifica si rende ogni giorno urgente.

Capitolo a parte merita l'astuccio. Deve contenere matite per scrivere, quelle colorate, gomma, temperino, righello, forbici e colla. Nei primi due mesi sono spariti: 3 temperini, 4 colle, 3 gomme, 2 forbici e il righello... quest'ultimo non ancora rimpiazzato. Ammetto di aver colpevolmente sottostimato l'onere economico del continuo approvvigionamento dell'astuccio. Potessi almeno detrarre sti costi dalla paghetta di Bea!
Per non parlare del costante controllo della punta delle matite. Sotto a temperare... ma se li mangiano i colori?

Infine ciò che veramente cambia i ritmi di una famiglia sono i compiti. Per ora sono concentrati solo al fine settimana. Per ragioni di progressi didattici sono il classico "colorare". Anche se ultimamente s'è aggiunto qualche esercizio. I compiti comunque necessitano anzitutto tempo. Colorare è una pratica semplice (forse) per un adulto. A sei anni no. Più è piccolo il disegno da colorare più tempo è necessario. Dopo un po' Bea si rompe. La mamma pure. (per scelta tecnica io entrerà in gioco col latino...). Un tira e molla che dura ore.
Voglia: un minimo di afflato al senso del dovere. Quello c'è e non c'è. "Bea i compiti!" "Posso farli dopo?". E via coi ritornelli. Bea, comunque, li vuole fare da sola. Ma Filippo la "vuole guardare": altro inghippo non sempre semplice da dirimere.
I compiti, e lo dice uno che ritiene giusto assegnarli, vanno incastrati nelle attività di famiglia. Bisogna calcolarne il tempo, ritagliarne spazi e momenti. Ritmi non certo sconvolti, ma rivisti. E siamo all'inizio.

Un primo assaggio della scuola. Almeno non è indigesto!
Alla prossima!






martedì 19 novembre 2013

Parigi, ritorno e progetti

Tornati da Parigi. Famiglia riunita. Tutto è ripreso con i ritmi soliti... un po' troppa pioggia, forse, ma passerà.
Parigi rapisce sempre. Ma devo essere sincero... atterrato a Milano, ho come dovuto riprendere fiato. Riacquistare confidenza con la mia dimensione. Perchè là è tutto grande. Molto grande.
I palazzi storici o di valenza nazionale, i musei, le strade, la metropolitana.
Questa grandeur palpabile in ogni angolo. 
Sti francesi, dove hanno potuto, hanno davvero fatto le cose giganti.
E pensare che i vari Luigi, e Napoleone stesso, erano dei tappi. Sarà stata una specie di rivalsa?

Parigi rapisce non solo per le cose da vedere - c'è proprio di tutto -, ma anche per il suo essere viva anche "fuori stagione". Per la moltitudine di colori: delle persone e negli sfondi cittadini. 
Per una vitalità culturale che si respira davvero in ogni angolo. 
Per i profumi. 
Per  il riuscito connubio tra passato,  presente e futuro.
Ha pure le sue gatte da pelare... la miseria  - in certi angoli - è palpabile quasi quanto il benessere.

Da domenica sera, però,  mi ronza in testa questo pensiero che esprimo ad alta voce: "Viaggiare senza i propri figli, ti fa venir voglia di farlo con loro".
Girovagando tra musei e monumenti a me e mia moglie venivano spontanee affermazioni di questo tipo "Questo sarebbe piaciuto un sacco a Bea.... Qui Filippo si sarebbe divertito un tantissimo... Se venissimo con i bimbi dobbiamo prevedere questo. Lì si può andare, di là meglio di no....". 
Ci immaginavamo con loro. Ed erano bellissime sensazioni.

In giro da soli, è vero. Con tutti i benefit del caso.
Ma con i bimbi bene in mente, non tanto per l'ansia di averli a casa, ma nei progetti di quanto poter fare con loro. I tuoi figli non ti mollano, ti lasciano libero incerti momenti, ma non si riesce a pensare avanti senza di loro.
Come non immaginare di condividere la bellezza del viaggiare, dello scoprire luoghi nuovi, affascinanti e unici?
Come non fantasticare su occasioni di scoperta, di piccole avventure?
Come non ritenere un vero regalo da fare quello di aprire gli orizzonti dei "mondi nuovi", delle città più importanti, dei confini da superare?

Insomma ce li immaginavamo per le vie di Parigi, di Barcellona, di Berlino, di Londra, di Praga (le città che amiamo di più), accanto a noi a osservare, commentare, domandare... ci vorrà tempo. E un po' di spending review, ma ce la faremo.

Speriamo a breve...

mercoledì 13 novembre 2013

Parigi e ... distacco

L'ultimo è stato 2 anni fa... (o 3?)... non ricordo con precisione. A Berlino, ponte di S. Ambrogio. Bello.
Venerdì invece si va a Parigi. Soli. Io e la mia dolce metà. Un viaggio in cantiere da un sacco di tempo. Messo in agenda come desiderio di prenderci uno spazio nostro. E si partirà.
I bambini al "sicuro": Filippo in Valtellina: "Papà, mi raccomando non venirmi a prendere prima di domenica, voglio stare qui almeno una settimana".  Chi "lo ammazza quello"? Lui sta pacifico in Valle: gioca con cugino e amichetti, si fa coccolare dalla nonna, dorme quanto gli pare... si riossigena. 
Bea invece, sotto la supervisione della nonna Renata, sarà ospite da due amiche: "Mamma, ma quando andate a Parigi, così che io vado da Sara e Chiara due giorni?". Spavalda pure lei, di fatto s'è praticamente organizzata da sola.

Noi partiremo tranquilli. Lo eravamo anche 2 inverni fa (mi sono ricordato: Berlino 2011), ma adesso un po' di più. Sono i bambini stessi che ci rendono sereni. Ce lo dicono e lo leggiamo nei loro volti.
Questi distacchi, seppur brevi, sinceramente mi pesano sempre meno. Nel senso che non mi causano più ansie o preoccupazioni. Nella loro crescita si sta facendo spazio non solo una certa capacità  di rimanere sereni lontani da noi (con i nonni o da  amici), ma anche quel pizzico di autonomia che rende il distacco un'esperienza... e non una penitenza.
Altre volte ho accennato a questo tema, nel contesto della nostra famiglia. Rimane sempre vivo il mio desiderio che in loro cresca una certa autonomia. La speranza che possano sentirsi a loro agio anche con altre persone. Questo per loro, anzitutto. 
Non so se si tratti di una questione di carattere personale, di attitudine. O abbia contribuito una certa abitudine a stare fuori di casa che fin da piccoli abbiamo cercato di condividere con loro.
Sta di fatto che Bea e Filippo non vivono come un dramma lo stare un poco lontani da mamma e papà. Mamma e papà riescono quindi a "sopportare" queste parentesi senza ansie o drammi. Possono godersi momenti tutti loro proprio perché Bea e Filippo sono così. a
Tutto questo non pregiudica l'unità familiare, né la rende meno solida. Né allarga le dinamiche inserendo progressivamente situazioni di lontananza che saranno poi il destino che la vita riserverà. Senza enfasi. Ma con i riconosciuti benefici. Posso chiamarla fortuna?

Parigi, arriviamo!

venerdì 8 novembre 2013

Anch'io sono una maestra!

Due interventi di maestre sul Corriere della Sera: "Il mestiere di maestra? Più duro che fare il soldato" e "Pensate sia facile? Venite voi ad insegnare!". Un sacco di commenti "contro" le maestre. Un putiferio. Militaristi... e quindi a favore dei soldati. Anti-dipendenti pubblici: lavorano poco, se ne fregano, fanno 3 mesi di vacanza. C'è pure qualche difesa. Poche per la verità.
Semplicemente mi domando: in un paese dove consiglieri regionali spendono 30.000 euro in cene o pagano le spese del matrimonio dei figli. In un paese dove gestire la camera dei deputati costa 1.000.000.000,00 di euro e ben 5.000.000,00 sono spesi (all'anno) per fare fotocopie....
In un Paese dove magari ti scontano l'IMU ma poi ti aumentano la refezione scolastica, la retta dell'asilo, la tassa sui rifiuti, ti tolgono le detrazioni per il mutuo, ti bloccano gli assegni familiari (ben 30 euro per 2 figli).
In un Paese dove la scuola ti chiede di portare la carta igienica e il materiale didattico (anche se poi insegnanti si sbattono un sacco per non fare mancare nulla).
In un Paese dove in finanziaria si tolgono 200 ml di euro per le scuole paritarie (la maggior parte asili) rischiando di creare un buco educativo i centinaia di comuni. 
In un Paese dove 4 scuole su 10 cadono a pezzi ... e i soffitti in testa ai bambini e alle insegnanti...
In un Paese dove 4.000.000 di persone fanno fatica a mangiare e il Governo stanzia per loro l'equivalente di 2 kg di pasta all'anno!
Ecco in questo Paese di solito se ne esce grazie alle guerre tra poveri. In questo caso tra i militari e le maestre. Ma sì facciamo diventare una giusta rivendicazione una scintilla che accenda il rogo. Ma quel titolo, caro Corriere l'ha scelto la maestra?
E a margine di una rivendicazione escono rivoli di fiele dalle tastiere di un sacco di italiani. Perchè in fondo siamo un paese dove lo sport preferito è cazziare qualcuno. Siamo tutti tribuni impeccabili. E magari le cazziate sane che fa una maestra a scuola ai nostri figli vengono prese come atti prevaricatori.... se penso a quante ne ho prese io.

Non sono un insegnante. Un semplice genitore di bambini che frequentano la scuola.
Ebbene un Paese che non si rende conto che la categoria degli insegnanti è trattata in modo indegno. Che accetta che abbiano stipendi indecorosi, prospettive professionali nulle. 
Un Paese che considera la scuola una realtà di serie B, dove si drenano risorse, senza cercarne una vera modernizzazione per il futuro e per il bene degli studenti.
In una scuola dover se sei in certi territori (es. Bolzano o Valle d'Aosta hai in classe un Tablet per alunno, lavagne digitali o multimediali ecc.) se hai la  sfiga di abitare in altre zone ti cambiano tra insegnati ion due mesi o non hai neppure un banco decente.
Un paese dove la presenza di qualche insegnante inadeguato o incompetente spinge a denigrare una categoria intera.
Un paese che non riconosce che la Scuola è necessaria per il futuro dei suoi figli e che necessita investimenti, passione, cura, dedizione.
Un paese che non rispetta chi nella scuola prende a cuore il futuro dei nostri figli, chi insegna con competenza per passione e amore dei bambini, dei ragazzi e dei giovani. 
Un paese che non lotta perchè gli insegnanti vengano aiutati, supportati, valutati (certo), sostenuti.
Questo è un Paese destinato ad una lenta ed inesorabile agonia.

La Scuola, gli insegnati (maestre, professori, docenti universitari) non sono un di più. Sono la base del futuro, se non il nostro (ormai non lunghissimo) almeno quello dei nostri figli!



giovedì 7 novembre 2013

Dall'antibiotico alla fiducia

Stasera in farmacia. Una mamma in fila davanti a me. Si avvicina al banco e chiede al farmacista di turno: "Scusi dovrei prendere l'antibiotico per mia figlia, ma vorrei sapere se, secondo lei, si tratta già del virus influenzale o è un semplice raffreddamento con febbre? Fuori fa ancora caldo, non capisco cosa possa essere successo, le che ne pensa?"
Il farmacista la osserva un po' sorpreso e le risponde con molta calma: "Signora, faccia quello che le ha detto il pediatra... sinceramente non saprei dirle di che tipo di malattia si possa trattare... io vendo farmaci, non faccio diagnosi". "Lo so ma se inizio a novembre a dare l'antibiotico, poi con le influenze invernali cheffaccio? Almeno mi dica se ne sta vendendo anche ad altri?". "Bhe, in questi giorni qualche caso si è verificato, ma non si tratta di statistica, ma di salute, bisogna fidarsi del pediatra, secondo me". Conclude il farmacista, le prende la ricetta dalle mani e le consegna quanto prescritto.

Ascolto tra il divertito e lo sbigottito. Quella mamma ha a fianco la figlia che ogni tanto, nel suo pallore evidente, emette qualche colpo di tosse diciamo bello tosto.
Guardo la ricetta della mia pediatra che nel pomeriggio ha visitato Bea. Pure a me tocca comperare l'antibiotico. Bea s'è fatta due giorni di febbre alta, tre giorni sfebbrata e poi ci risiamo: ancora febbre. In mezzo tosse costante che di notte evolveva in "abbaiante", con i rimedi soliti perchè non degenerasse in spasmo laringo faringeo, che in passato ci ha spaventato non poco.
Dicevo che, anche a Bea, il pediatra ha prescritto l'antibiotico. Gola arrossata, inizio di otite, catarro, febbre. Tosse abbaiante. Tanto basta. Areosol e antibiotico. A casa qualche giorno e si rimetterà in sesto.
"Bisogna fidarsi dal pediatra", mi risuona questo consiglio del farmacista. Mi sembra ovvio, quasi scontato... ma non sempre è così. In questi anni, tante volte ho letto e sentito pareri discordanti. 
Di chi, nonostante le prescrizioni e le diagnosi, non usa farmaci. Di chi nonostante la richiesta non fa vaccinare i figli. 
Di chi oggettivamente non si fida e sottopone i figli a supplementi di visite. ecc. 
Ma non solo rispetto alla salute: chi critica le maestre, il falegname, l'elettricista, l'architetto.... ormai siamo tutti esperti di tutto.

Per scelta mi fido di chi fa un mestiere specifico diverso dal mio. 
Mi fido del pediatra e dell'elettricista. Del dentista e dell'idraulico. Del cardiologo e delle maestre. Del contadino e del fisioterapista. Dello psicologo (soprattutto se si chiama Stratobabbo).
Non sto equiparando funzioni diverse come se tutto avesse lo stesso valore. Sto solo dicendo che non conoscendo (e leggere su internet info di vario tipo non significa conoscere, ma semplicemente essere un po' più informati... e non è la stessa cosa) la medicina, l'elettricità, i principi della termodinamica, la biologia, le tecniche della didattica, faccio fatica a giudicare e a non fidarmi del lavoro altrui. Per principio. 
Questo non significa che a volte ci si trovi di fronte a risultati deludenti... che possa succedere di mal riporre la fiducia. Non vuol dire che non io stia attento e cerchi di capire, di farmi spiegare. Non vuol dire non informarsi e magari confrontarsi. Vigilanza, attenzione, senso critico e fiducia mica sono nemiche!
Ma credo sia molto più pericoloso mettere sempre in discussione la professionalità di chi fa un mestiere diverso dal nostro. 
Trasformarsi in professionisti "per un giorno" solo per millantate conoscenze, spesso estemporanee, secondo me è pericoloso... soprattutto in campo medico. Molto pericoloso, a volte. Facciamolo su noi stessi - se ci va - , non sui nostri figli...

Quindi il problema non è il mese (novembre o febbraio), il  problema è la diagnosi: se l'antibiotico fa guarire mia figlia, non bado al periodo o alle temperature esterne! Glielo do, e basta!




martedì 5 novembre 2013

Random, tra armadi e mamme bollite

Alcuni pensieri veloci...

Cambio di stagione.

Il mio cambio di stagione è durato esattamente 20 minuti. Non è un vero e proprio cambio di stagione, per la verità,  ma un semplice cambio posto: i maglioni ritornano in basso, le polo e le magliette a mezze maniche tornano sù, nel ripiano alto. I pantaloni corti con i pigiami leggeri prendono (sempre in altro) il posto dei pile e dei pigiami pesanti. Detto fatto. Un semplice mini trasloco, nella zona dell'armadio a me riservata, inferiore a quella che occupa mia moglie. Ma non polemizzo. Ci attacco anche un minimo di selezione naturale: ho eliminato i maglioni e i pantaloni che non indossavo dal 2009 e qualche camicia ormai priva di colletto... il prossimo anno toccherà a quelli del 2010. Rapido ed essenziale e probabilmente facilitato da un guardaroba piuttosto  minimalista. 

Il cambio di stagione dei bambini è stato più o meno come il mio. E' durato un po' di più perchè sono in due ed è stata necessaria l'analisi delle taglie.... crescono in fretta, quindi ho dovuto (sì, l'ho fatto io il loro cambio di stagione)  eliminare quanto diventato piccolo. Diciamo che me la sono sbrigata in 3, 4 ore (pause sigarette incluse)...

Il cambio di stagione di mia moglie è in divenire. E' un'azione che ha un inizio, ma fatica ad indirizzarsi verso una fine. Il primo freddo (quei giorni gelidi di metà ottobre) sembrava avesse innescato una sorprendente azione virtuosa: il cambio anticipato. Invece di fatto si sono materializzati sulla cassapanca in fondo al lettone due grandi contenitori con una parte dei suoi abiti invernali (maglioni vari ecc.) e sono lì. Come dei dispenser: un po' aperti, un po' chiusi. Lì come nuovi componenti d'arredo, tanto che io non ho più lo spazio per appoggiare gli abiti del giorno dopo. Questo non perchè mia moglie stia meditando come applicare i suggerimenti di Mo te lo spiego a Papà nel suo simpatico e utile post Come fare il cambio di stagione, ma semplicemente per una congiuntura negativa: non ho tempo.
La mia unica speranza è che la super amica vicina di  casa, l'iperattiva Cinzia, si commuova anche quest'anno e intervenga... come ha già fatto qui.

MammaBollita

Qualche giorno fa mi sono imbattuto su una nuova pagina di facebook. Mi ha colpito, per il titolo, per l'idea per le prime battute, per lo spirito, per l'ironia, per quanto potrà riservare.
Si chiama MammaBollita. Bella anche la grafica. E questo è un buon segno.
MammaBollita: l'immagine è troppo simpatica. 

A me il bollito, per fare un paragone culinario, è sempre piaciuto un sacco. Per due motivi: 
a. Il brodo. Il bollito lascia in eredità un brodo fantastico, col quale si possono fare un sacco di prelibatezze... ed io adoro, per esempio,  il riso fatto col brodo "vero". Tutta un'altra cosa, non me voglia il dado.
b. La carne. I bolliti mi piacciono anche perchè mi permettono di utilizzare tutte quelle ottime salse (quella verde, la senape, la maionese stessa, ecc.) che solitamente manco mi ricordo che esistono. Apparentemente la carne sembra ammosciata... ma si rianima esaltando se stessa grazie a pochi accorgimenti.

Ora che c'azzecca la mamma bollita col brodo e la carne?
Abbiamo il brodo: è la sostanza della vita di una mamma. Sapore. Ricchezza. Tanta roba, insomma. 
C'è il risultato: una mamma apparentemente moscia (nel senso di stanca, provata, affaticata, destabilizzata...) ma che se ci prende gusto, si può esaltare in fretta con poche parole. Le salse sono i pensieri ironici, sarcastici. Frecciatine e dardi. Come solo le donne sanno scagliare o mettere nero su bianco. 
Il tutto sintetizzato (per ora) in poche righe. Ma eloquenti. Molto. Ilarità condivisa, come segno di soddisfazione. Bollita, ma contenta!

Bella idea! Care mamme bollite vi seguirò con molto interesse!!!
... anche perchè un po' bollito lo sono pure io!

PS. Chiarisco che il mio post non è sponsorizzato. Non ho ricevuto nessun dono in cambio. Nessuna mammabollita (che non ho il piacere di conoscere) è mia parente. Neppure amica. No, neanche amante, lo saprei, suvvia. 
Va da sè che se l'idea avesse un successo planetario mi propongo come segretario tutto fare!

sabato 2 novembre 2013

"Ridere a Catinelle"

In una seconda vita - se mai me la concedessero (a proposito a chi si deve chiedere?) -, giuro che studio da critico cinematografico. Si va al cinema, di solito gratis e poi si scrive. Solitamente si stronca, perchè un critico buonista non vale una mazza. Ma mica devo parlare di questo.
Ieri sera avevo serata libera. Moglie con Jet Lag operativo (arrivava da Dallas...), Bea e Filippo a nanna alle 20.45. Ho fiutato l'opportunità: l'amico Zanardi e Paolino disponibili ad assecondare una mia voglia: quell'americanata di Ender's Games. Guerre stellari, azione. Sfide interplanetarie. Film libera pensieri.
Purtroppo giunti al cinema ci dicono che c'è un problema tecnico ed Ender's Games non verrà proiettato... abbiamo pochi secondi per decidere un'alternativa (c'era una fila infinita). "Allora ci facciamo Checco Zalone", diciamo in coro. In terza fila  laterale... ma chi se ne frega. Si va.
"Il Sole a Catinelle" (mo' comincio a fare il critico) non so se si possa definire un bel film, in senso artistico. Ma in fondo non ho mai capito come si possano considerare opere d'arte certe espressioni dell'arte contemporanea. 
Non so con quale criterio gli abbiano attribuito tre stelle. Posso solamente condividere quello che ho vissuto: ho riso un casino. Ma tanto. Non solo io, la sala intera. Per le trovate, le gag, le battute, le situazioni. 
Un sorriso istintivo. Bello fresco. Il tempo è volato: un'ora o due, non so quanto sia durato... 
L'inteccio narrativo si gioca su due dinamiche quasi contrapposte: da una parte la storia di un papà oggettivamente svarionato che, con la moglie subisce, a suo modo, le conseguenze della crisi economica. Dall'altra quella di una parte della società che, guardando la crisi dal porto sicuro della propria condizione privilegiata, pare bearsi della capacità di approfittarsene. E Checco, il papà svarionato, accompagnato da un bambino bello sveglio, inconsciamente ribalta la prospettiva. Toglie certezze ai ricchi. Smaschera ipocrisie. Ci gioca. La rende da vincente a perdente. E manco se ne accorge.
Un Superpapà, come si definisce in una delle sue canzoni (quella "Che ho fatto di male" è fantastica - che ne dite mamme? -), quasi alieno. Proprio perchè tale così vicino a quanto accade: alla verità di sentimenti che non muoiono nel cuore della gente.... specialmente nel suo, in quello di suo figlio e di sua moglie. Tocca la nostra "pancia", ma non ci impedisce di attivare il cervello.
Un film divertente, satirico nell'intreccio e nella prospettiva. 
Si ride "a catinelle" perchè Zalone è un fenomeno di comicità
Un film che consiglio... perchè ridere fa bene!



lunedì 28 ottobre 2013

Mamma Imperfetta .... ma che culo!

Questo post lo avrebbe dovuto scrivere  mia moglie. Il pensiero è tutto suo, e pure la maggior parte delle parole. Mi ha delegato, semplicemente perchè non ne aveva voglia.
Ma andiamo in ordine. Qualche ora fa (redatto domenica a tarda sera), prima della cena domenicale, ci ritroviamo io e lei in cucina a sorseggiare una birretta. Un aperitivo artigianale: birra e formaggio stagionato.
I bimbi hanno la loro mezzora di "Max e Ruby", e sono tranquilli sul divano alle prese col solito apero Bio: carote e finocchi crudi,qualche oliva e acqua, rigorosamente naturale. l
Ad un certo punto la mogliettina comincia a dire:
"Mamma imperfetta sì (quella della serie Web del Corriere: questa ), lo sarà pure, ma che culo che ha! 
Lavora nel mondo delle ricerche come me. Mi sa che fa una specie di part time perchè è sempre immersa nelle attività dei figli. E' a scuola alle riunioni. Al campetto a vedere il bimbo giocare. Alla mattina riesce a prendere il cappuccino con le amiche. Arriva sempre tardi al lavoro. Eppure il suo capo la tratta bene, non la cazzia mai. La collega, che dovrebbe essere un po' Iena la copre anche. Al lavoro sembra sempre al telefono per i figli. Pensa alle cose della famiglia. 
Dopo tutto questo? Il capo le chiede di diventare socia. Più responsabilità, maggiori guadagni. Più soddisfazioni. Guadagnerà  più del marito. 
Sarà imperfetta, ma ha un gran culo. E non parlo del culone che crede di avere.
E' vero (e si rivolge a me) guadagno un po' più di te, neanche più di tanto, (era ora che lo ammettesse). Rimango al lavoro quasi tutte le sere fino alle otto. Ieri ed oggi ho pure lavorato da casa, perchè martedì devo andare a fare quel cavolo di meeting col cliente in America. Mi fanno tornare di venerdì, che è festa. Il mio capo non è male, ma i clienti scassano all'inverosimile. A scuola e all'asilo ci vai praticamente sempre tu.
Mai una volta riesco a farmi un cappuccio con qualche amica... ogni tanto ci scappa qualche aperitivo (grazie alle mie benigne concessioni, ndr) ma sono sempre o in ritardo o mezza rimbambita.
Sono imperfetta anche io, lo ammetto, ma decisamente con meno culo!!"
In birra veritas, mi vien da dire.
Le sorrido. Ha detto questo tutto d'un fiato. Mi ha fatto sorridere.
Da un parte perchè è molto vero (mi vien da dire: purtroppo), dall'altra perchè smitizza un po' quell'imperfezione un po' caricaturale. Non negativa, per carità. Anzi. Volutamente simpatica e ironica. Purtroppo, e qui ci sta, rispetto a certi temi della vita, un po' troppo fortunata.
Decisamente un gran culo.


giovedì 24 ottobre 2013

Ascolto del dissenso ... ha senso?

Sono in trip da riflessioni. Capita. La mente ogni tanto va per conto suo. La lascio andare perché possa mettere in fila sollecitazioni, stimoli, pensieri. Che poi ne produca di intelligenti è tutto da verificare. Ma se non ci prova.
In più voglio tirare l'acqua al mio mulino perchè so di essere uno "scassapalle" impenitente.
Ma tant'è che lo faccio.

Qualche giorno fa leggendo l’intervista ad Angela Ahrendts (appena passata da Ceo di Burberry ad Apple come responsabile degli  Store) rimasi colpito da una sua affermazione … che cito a memoria: “Nella guida delle aziende un aspetto fondamentale che deve caratterizzare un manager è l’ascolto del dissenso: quello dei clienti e quello dei dipendenti. Dipendenti sempre allineati e in silenzio non offrono quasi mai un valore aggiunto”.
Da una ricerca del Great Place to work emerge non solo che Google è il luogo di lavoro migliore al mondo, ma che in generale le società dove si lavora meglio sono quelle che da una parte non hanno paura di “essere sottoposte al giudizio dei lavoratori”, e che cercano di  portare avanti una politica generale che aiuti il dipendente ad essere più felice (se lo è di solito raggiunge un tasso di produttività del 30% in più della media).

Queste notizie mi provocano sempre una certa insofferenza. Perché non sono semplice cronaca: esprimono una politica, una visione strategica,  che tenta di unire azienda – lavoro – benessere della persona. Tre fattori inscindibili per costruire il futuro, almeno un futuro dignitoso.

Non conosco benissimo il mondo del lavoro delle grandi aziende in Italia, conosco un po’ quello delle piccole. Ma da italiano, orgogliosamente medio, registro alcune sensazioni.
Da noi il dissenso è vissuto come un fastidio, una scocciatura. In generale, che si tratti di azienda, di struttura sociale (lo Stato, la Chiesa o le varie agenzie educative, anche la famiglia in certi casi), avere a che fare con persone che cercano di esprimere un giudizio di critica, che evidenziano storture (magari anche solo percepite  ….) e che quindi esprimo un dissenso, è ritenuto un ostacolo, un problema.
Mai lo si coglie come una risorsa o una possibilità.
Secondo me la dinamica presente è lineare (quasi banale): la guida o  il sapere ha sempre una dinamica verticale. Chi sta sopra ha l’autorità (i più evoluti la definiscono responsabilità, quasi per farne percepire il peso in senso fisico…) che emana direttive e vie da seguire: il “resto” si deve adeguare. “Il capo sono io, sono io che comando, è mia responsabilità …” quante volte affermazioni di questo tipo riecheggiano nei luoghi di gestione.
Guardiamo alla  politica: c’è un ruolo cristallizzato. Quando un politico raggiunge certe posizioni dimentica la sua dimensione di cittadino e assume il ruolo di “benefattore” particolare: non ascolta od osserva i bisogni, né cerca di spendersi per un bene generale (di solito, per carità). Afferma la sua autorità elargendo favori. Le critiche eventuali vengono relegate nel “vediamo che si può fare”.

Ammetto che anche come papà questo rischio lo corro alla grande. Proprio perché investito, in automatico, del ruolo di padre mi sento depositario di un sacco di cose da dare, dire o spiegare…. Risulto meno incline ad ascoltare o percepire disagi, dissensi o pensieri contro. (ma su questo ci tornerò)

Perché tutto questo? Non sono un sociologo e quindi dalla mia mente non escono di certo  né soluzioni né analisi incontrovertibili.
Ma sono convinto che:
  •  Imporre è molto più semplice che lasciarsi mettere in discussione
  •  Argomentare implica  la fatica di riattivare un ragionamento (processo eluso per motivi o di tempo o di opportunità … paura dell’esito)
  •  Riconoscere errori viene percepito come diminuzione di sé
  •  Imparare ad accogliere idee, suggerimenti, non fa rima con “riconoscimento della propria autorità”
  •  “Buona risorsa” = lavoratore diligente e collaborativo. “cattiva risorsa = lavoratore critico e incline a dire come la pensa.
  •  Si tollera di più il “fannullone silenzioso” del “critico che produce”
Queste ed altre dinamiche, a mio avviso, stanno affossando un sistema. Incrostato dalla presunzione di generazioni che si ritengono depositarie di una verità (gestionale, intellettuale, sociale) che invece è svanita pure dentro di loro. E a loro insaputa.
La storia non si ferma e questo pian piano verrà smascherato e sostituito, ma se si avesse il coraggio di anticiparlo con scelte coraggiose (neppure più di tanto) o almeno di buon senso, cominceremmo a recuperare un po’ di terreno…

E di felicità!

mercoledì 23 ottobre 2013

Papà ... ma prima figlio!

Si diventa genitori nella gioia, nella bellezza del generare e amare i propri figli. Nella fatica quotidiana del crescerli, con gli alti e i bassi nel riscontrare che non sempre rispondono alle attese dei genitori: fanno casino quando non devono, si picchiano (tra fratelli è quasi una regola…), non ubbidiscono o non ascoltano, fanno a se gli chiedi b e viceversa. Ma sanno sorprendere, spesso. Nel loro essere unici. Nel farti sorridere, e amare d’averli con te. E’ tutta una giravolta di esperienze dove spesso la regola è l’imprevedibilità, quella che nei bambini è molto più vera della nostra, quella adulta. Un po’ assopita.
Si diventa genitori, dicevo (stavo divagando lo so…) – e nel caso specifico papà -   mica all'improvviso. C’è tutta una storia che non può essere messa sotto uno zerbino. E’ la storia della nostra vita che ci ha visto, come prima tappa fondamentale, assumere e vivere in pienezza la condizione di figli. Sono stato figlio… e lo sono ancora, per la verità.
Ma “figlio, proprio tanto figlio” lo sono stato da bambino e da ragazzo. Un po’, anche da giovane: insomma fino a quando sono stato dipendente dai miei genitori. Una dipendenza che si è evoluta nel tempo,  ma che nelle sue forme diverse mi ha accompagnato per molti anni.
Guardo i miei di figli. Sono ancora piccoli. Non riesco a  non riportare la mia mente alla mia esperienza di figlio e ogni tanto mi chiedo: ma io che figlio sono stato? Li vorrei come? O meglio lasciar perdere?
Diamo spazio alla memoria. Fino alle medie ho navigato nella zona medio bassa della classifica dei ragazzi bravi, sempre sull'orlo della retrocessione. Non ero un teppista, ma neppure un santerello.
Da una parte me la cavavo a scuola (voti buoni), ma  rispetto al comportamento è un altro discorso. In prima elementare presi ben 6 note (il massimo della classe). In terza media conclusi il percorso con una visita dal Preside. Lingua lunga … troppo, nel bene e nel male. Pure a catechismo mi misero qualche volta fuori dalla porta. Vivevo nel regno dorato di un paese della Valle e quindi in casa non ci stavo praticamente mai. A giocare con gli amici: all'oratorio, nella via, nei cortili. Facevamo mille cose, anche un sacco di “stronzate” (che non elenco per non generare emulazioni spiacevoli). In casa facevo la parte “del cane”, “il gatto” era mia sorella: spesso le mani addosso. Era più forte di noi. Ricordo la mamma che ci sgridava. O gli sguardi di mio padre… a lui bastavano. Ai miei ero molto attaccato, ma non mi pesava il distacco. Da loro ho ricevuto e imparato tantissimo, anche quello che non insegnerò ai miei figli. Fa parte della vita anche questo.
Ero sereno. Non si navigava nell'oro, ma non ricordo rinunce particolari: con gli amici ci si faceva bastare quello che c’era. E ci si divertiva. Mi fermo a quest’epoca, perché il parallelismo è funzionale all'età dei miei bambini.
Lo vorrei come me? Mi ci rivedo? Per me non è questo il punto: io sono io e loro sono loro. Siamo e saremo diversi.
La questione è un’altra: vorrei ricordarmi più spesso come ero io. 
Vorrei farlo riportando nel mio presente le volte che  non ascoltavo, che facevo cavolate o  disubbidivo e deludevo i miei genitori … ma anche quando mi impegnavo, ne azzeccavo qualcuna o riuscivo davvero bene in qualcosa. 
Vorrei ricordarmelo per garantirmi da una parte uno spazio di tolleranza (e di incoraggiamento) di fronte a ciò che mi fa arrabbiare o mi spazientisce. Ma anche per tirar fuori da me gli stimoli perché loro affrontino le cose con serenità e lo spirito giusto (quello positivo e costruttivo). Se spesso ci sono riuscito io ce la possono fare anche loro.
Vorrei ricordamelo di più per non correre il rischio di pretendere da loro riconoscimenti funzionali a me… e non a loro. Il loro futuro è importante, non (solo) il mio  - e nostro -  presente.
Vorrei ricordarmelo perché nel gioco intricato della loro crescita il binomio dipendenza/libertà venga vissuto nella logica del rispetto e dell’amore, non in quella del non avere “fastidi”.
Da papà non posso non intrecciare questi pensieri per accogliere quanto  vissuto da figlio perché mi aiuti ad essere padre.

Un buon padre.

lunedì 21 ottobre 2013

Compiti... ci siamo!

Dovevano per forza arrivare... prima o poi. Il poi è durato poco. 
Ieri siamo stati alle prese con la prima vera sfornata di compiti. Beatrice doveva terminare un lavoro di italiano ("disegnare 4 o 5 oggetti che terminano con la o") e fare matematica. 
Primo problema: la lettura del diario. "Matematica, completare le pagine 3-7 sull'eserciziario". Domanda: deve fare la pagina 3 e la pagina 7, o dalla 3 alla 7?
Wazzappo col mio amico interista (papà di una compagna di Bea): "Noi abbiamo capito 3 e 7, risponde lui... già che ci sei - mi scrive - ma di italiano che devono fare che la mia ha scritto una cosa incomprensibile?". Siamo a posto. 
Mia moglie, malfidente,  parte di sms con alcune mamme. il 3 e 7 batte dal 3 al 7, solo 3 a 2. Di in soffio. regna l'incertezza. Noi comunque optiamo per la scelta minimalista e democratica.
Dopo un quarto d'ora di dubbi si parte.
In casa ci disponiamo nel seguente modo: io e Filippo decidiamo di sfruttare il momento di pace, apparente, e  ci mettiamo a giochicchiare in sala. Lo ammetto,  ogni tanto sbircio diretta gol. Di là (in cameretta) mamma e Bea alle prese con i compiti. Mi sembra equo.
"Mamma mi aiuti?". "Cara Bea: ti aiuto a leggere che cosa devi svolgere - come chiede la maestra -  però poi tocca a te. Capito? Il compito è tuo, non mio". Mamma integralista: l'autonomia come conquista fondamentale. 
Mamma legge e Bea esegue... passano pochi minuti: "Bea, cerca di essere più precisa... Bea non distrarti, cancella meglio...". "Mamma qui mi sa che ho sbagliato." "Ma no che è giusto... aspetta, hai ragione. Hai sbagliato!". "Mamma non distrarti...".
Dopo circa un'oretta. "Ma come stai colorando... tutto storto, Bea, per favore cerca di essere precisa e di fare bene il compito". "Mamma, sono stanca. Mi sto annoiando." "Su cerca di finire... poi arriva la tua amichetta e uscite a giocare". "No, sono stufa..." . 
E inizia la litania mamma e figlia. Quelle due quando ci si mettono danno il meglio.
Pochi minuti, belli intensi: Bea lancia una matita, la mamma sgrida. Bea frigna. Mamma non cede.... Bea di fatto è salvata dal citofono: è arrivata l'amica. Propongo una tregua. Siamo pure all'intervallo delle partire e in più la Juve vince 2 a 0 ..azz. (per poi godere del risultato finale).
"Bea, Chiara, Filippo usciamo... la mamma deve riposare, dopo tutti sti compiti... e sghignazzo"
Fuggo appena in tempo per evitare giuste reazioni.

Associo i fatti: mia figlia sta cominciando a capire che i compiti possono essere noiosi o faticosi. Di fatto non sono un'attività ludico creativa. Sono lunghi.... almeno all'inizio sembrano proprio non terminare mai...
La mamma non molla: "Li deve fare da sola". E in questo l'appoggio. Anche se sarà utile una sana alternanza nel supporto a Bea. 


lunedì 14 ottobre 2013

All'Hangar Bicocca... sorpresi e contenti!

In famiglia abbiamo "deliberato" che finché ce la facciamo cerchiamo di evitare la festa di compleanno... quella "classica". Un po' perché noi "insani genitori post moderni" siamo allergici, un po' perchè comunque di feste i nostri due ne fanno parecchie. Nonna di qua, nonna di là .... Filippo che arriva pure a dire: "Mi il mio compleanno quanto dura?".
Con Bea la prima l'abbiamo fatta a 5 anni... con Filippo vedremo.

Detto questo, pur sapendo che alla sera in casa si sarebbe tagliata la torta con alcuni amici, volevamo far fare a Filippo una cosa diversa, che rendesse il giorno del suo compleanno un po' particolare.
Navigando qua e là ho scoperto che a due passi da casa nostra esiste un luogo particolare che propone anche attività per i bambini: Hangar Bicocca. Uno spazio/progetto, totalmente finanziato dalla Fondazione Pirelli, nato per promuovere l'arte contemporanea. Accanto allo spazio per l'arte vengono proposte attività specifiche (ludico creative legate alle mostre che sono in essere) per i bambini. Basta prenotare: è tutto gratis.
La possibilità mi colpisce. Contatto un amico di Filippo e prenoto per due: sabato alle 11.15. Iscritti al percorso creativo "L'ottava torre", attività legata all'istallazione permanente di Anselm Kiefer "I sette palazzi celesti" (... ma chi lo sapeva che era l'installazione più grande d'Europa? ... è davvero impressionante e unica).
Ecco che puntualissimo con Filippo e Leone arrivo all'Hangar. Li affido a tre carinissime animatrici e mentre i bambini iniziano l'attività comincio a curiosare in giro.  Rimango sorpreso. Al di là delle mostre di Arte contemporanea presenti scopro che all'interno dell' Hangar c'è un bellissimo ristorante, uno spazio di cinema che prevede ogni domenica alle 17.00 la proiezione di un film per bambini (di quelli non distribuiti al grande pubblico). Che oltre alle attività è riservato ai uno spazio giochi tutto per loro. E che tutto (a parte il ristorante) è gratis.
In più è tutto grande. Spazi enormi. Molto curati. Un sito industriale immenso: l'ex Breda, poi Ansaldo, acquistato, ristrutturato e riconvertito a spazio per l'arte dalla Fondazione Pirelli. 

I bambini tornano dalla visita delle Sette torri e iniziano il loro laboratorio: devono costruire l'ottava torre. Li vedo assorti, coinvolti. Il tempo vola anche per loro. Quasi due ore.
E quando tutto è terminato ci fermiamo pure a mangiare, raggiunti dalle sorelle e il resto delle famiglie.

A due passi da casa... caro Hangar Bicocca, felice d'averti scoperto!
Ci rivedremo presto!




sabato 12 ottobre 2013

Auguri Filippo!

Era l'1 e 20. "Papààà. Papààààà. Papàààààà." "Filippo arrivo, non svegliare tutto il palazzo!". Puntualissimo anche stanotte. "Checc'è?". "Papà, lo sai... ho sete, mi riempi la borraccia?".
Dopo aver bevuto a sazietà... mi ricordo di una cosa: "Filippo: buon compleanno!". "Grazie papà... buona notte"!. Era più in coma di me e s'è addormentato subito.
Sono tornato a letto col sorriso... eh eh,  ho battuto tutti sul tempo!

Filippo hai 4 anni!
Ma quanto se cresciuto in fretta! In effetti Beatrice ha inaugurato un percorso che con te, quasi didatticamente, abbiamo vissuto con  un po' più di attenzione... tu hai beneficiato di un pizzico di esperienza in più... e allo stesso tempo di maggiore libertà.
Avevamo capito che spesso i bambini se la sanno cavare molto bene!
Oggi è il tuo compleanno e sfrutto l'occasione per parlare un po' di te e con te.

Filippo sai bene che, rispetto a Beatrice, nei tuoi  primissimi anni di vita (cioè fino a ieri) sei stato molto più scassapalle! Di notte con i tuoi risvegli a ripetizione (e sempre chiamando papà!). A tavola con la tua presunta inappetenza e gli innumerevoli capricci annessi. 
E se calcoli che durante la settimana di fatto ti si vedeva a cena e  nel letto vedi tu...
Vogliamo aprire il capitolo bagnetto o "vestizione mattutina"?

Eppure. C'è un però. Uno vero. 
Quel tuo sguardo. Quel tuo sorridere sereno.Quel tuo prendere la mia mano o quella della mamma.
Quel tuo "Voglio te", dopo ogni sgridata... o tua scenata.
Perché tu sei così. Sai catturare. Intenerisci. Ti fai riaccogliere sempre.

Sei simpatico, lasciatelo dire. Generi simpatia. Fai sorridere con le tue trovate ("Papà compera il pesce che ci facciamo un'insugata"!). Ti piace stare in compagnia e  senza fare il "prezioso" ti butti sempre.
Sei il cocco dei nostri amici, perchè - dicono loro - "Filippo è Filippo".
A volte ti basta uno sguardo. Una carezza. 

Auguri Filippo!
Continua così... fallo da "valtellinese e interista" come ami sottolineare di te stesso.
Fallo magari con meno aggressività verso Bea (ma tra fratelli dicono sia normale)....
Mantieniti sereno, allegro.
Non rinunciare mai alla tua voglia di correre, di esplorare.
Non temere i pasticci e i rischi... sono sempre nuove conquiste!

Auguri Filippo!





martedì 8 ottobre 2013

Ottobre

"Ciao zio, oggi sono andato a raccogliere castagne, ma non ce ne sono ancora molte." Ieri sera mio nipote mi raccontava questo scatenando in me tutta una serie di pensieri, meglio di ricordi.
Quando ero bambino, ma anche da ragazzo, adoravo l'ottobre.

Era il mese della vendemmia.Quel giorno mi era permesso saltare la scuola (da qualche anno hanno capito di tenerle chiuse...). Tutta la famiglia si riuniva nella vigna di mio padre e dello zio a "catà l'uga" si diceva. 
Tra le viti a tagliare e ripulire i grappoli. Ne mangiavo sempre troppa, tanto che ricordo anche un paio di terribili indigestioni.
un paio di giorno full time: tra uva, la prima pigiatura... quel profumo di acino schiacciato. Lo zucchero e il mosto che cominciava a ribollire.
La nonna preparava la polenta nella vecchia casa dei nonni e al tardo pomeriggio (come aperitivo), tutti a mangiare le caldarroste ("i braschee").

Era il mese delle castagne. Dopo la scuola, con gli amici si partiva. Borsa, zaino, e su nei nostri boschi a raccoglierle. Attenti a non invadere terreni off limits. Pomeriggi passati tra castagne, ricci, qualche fungo.... per poi concluderle a rubacchiare qualche fico o qualche grappolo d'uva tardivo. Se era necessario si fuggiva alla grande.... ma tanto si sapeva chi eravamo.

Era il mese del granoturco. Con la nonna al campo a staccare le pannocchie mature per poi ritrovarsi alla sera un garage a "spogliarle" e a sgranarle. Preparare i sacchi di mais da portare al mulino e ritirare, dopo qualche tempo, la farina per la polenta. Serate bellissime, passate attorno a fuoco: con la nonna si badava alle pannocchie e mio papà ci preparava le caldarroste.

Era il mese della torchiatura. Dopo una decina di giorni a riposo il mosto andava spremuto per "fare il vino". Nella frazione del mio paese c'era il torchio in comune (... della Chiesa per la precisione): si doveva prenotarlo. Bellissimo: di pietra, molto grande. E quando pure a me fu concesso di far girare la ruota col palo di ferro fu una delle conquiste più belle che ottenni a quel tempo.

Era il mese dei colori forti. Dei profumi vivaci in attesa che tutto si assopisse sotto giogo del gelo, che a volte arrivava improvviso anche a novembre.

Amo ancora l'ottobre. Ma mi sembra sempre più di doverlo guardare da troppo lontano... non solo nella memoria di appuntamenti da tempo abbandonati, ma anche nell'orizzonte di scenari o usanze ormai scomparse.

Ma non tutto è perduto. 
"Papà, quando andiamo a raccogliere le castagne?"
"Presto, appena torna il bello lo facciamo!"



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