Bea e Filippo

Bea e Filippo

lunedì 29 aprile 2013

Ci sono periodi

Ci sono periodi, o momenti prolungati, dove quello che rimane in mente sono immagini, piccole frasi, semplici situazioni quotidiane.
Rimangono quelle perché tutto ruota attorno all'imprevedibile, al non programmato.
Il tutto però sottratto a particolari slanci.
Dove quasi tutto assume semplicemente i contorni del quotidiano, apparentemente senza picchi, di fatto con tasselli che si incastrano costruendo quanto di normale non sarà mai: la propria vita.
E questo è uno di quei periodi.
La primavera non decolla. 
Si rimane in questa stagione di mezzo, del  voglio ma non posso. 
Il cielo grigio, minaccioso e sovente bagnato diventa il deterrente per liberare i desideri. 
Tutto rimane un po' lì, sospeso.
A farla da padrone è un malessere fuori stagione che soffoca i desideri anche nei momenti di luce.
E' un periodo così.
Ho vissuto circa 10 giorni di rimbambimento, alle prese con malesseri di vario genere: non troppo forti da imporre cure particolari, ma sufficienti a inibire lo spirito combattivo che la vita merita sempre.
Anche la mente s'è presa una pausa. 
Pigra e svogliata. 
Mi addormento pure a giocare a Ruzzle.
Vedo però che la ripresa è vicina.
Che ricomincia a farsi largo la tensione al positivo.
In fondo è nato pure un governo, lo spread è in picchiata: che si vuole di più dalla vita?
Bea e Filippo sono sempre iperattivi, per fortuna.
Mi richiamano all'ordine!
Rimane solo la pioggia.

Al cielo non si comanda, ma credo sia concesso mandarlo a cagare...




mercoledì 17 aprile 2013

Sole, fantasia e dolce dormire

Aprile dolce dormire.... per me è così. 
Il primo caldo affossa la mia  reattività. Ho il metabolismo rallentato e propenso all'orizzontalità...
Impietositasi, una mia collega mi ha regalato delle miracolose compresse omeopatiche, chissà se funzionano.
Ma lo spirito non si lascia abbattere! La voglia c'è sempre... i neuroni reagiscono all'inattività del corpo producendo stimoli a go go. Non sempre ascoltati invero.... ma tant'è!
L'inerzia paterna (e materna... ma quella è cronica) è contrastata dalla vitalità dei bambini.
Operosi, ridestati dal clima finalmente favorevole.
Non li tieni: i loro ormoni sono usciti dal letargo.
La collezione di Filippo
E si fanno sentire!
Il sole però ha un potere in più: stimola la mia creatività... ridesta la fantasia.
Creatività, fantasia, imprevedibilità, sono tutte qualità che mi aiutano a non essere eccessivamente statico, a saper affrontare il nuovo, o quanto non ancora conosciuto, non come un pericolo - o un ostacolo -  ma come una possibilità o una risorsa.
E non importa che si tratti di persone, cose, esperienze.
Mi piace giocare di fantasia e cercare di generare in loro il desiderio di far viaggiare la loro mente.
Di trovare soluzioni, di costruire occasioni con poco, o con quello che c'è!
Cheddire di Filippo che riempie le tasche di sassolini per la sua nuova collezione?
O di Bea che ogni giorno torna a casa con un fiore diverso che puntualmente pianta con cura sperando possa mantenersi in vita?
In fondo fantasia significa anche autonomia. Capacità di rivalutare ogni momento.
Di appropriarsi degli spazi e di sfruttare quello che c'è!
Eccomi allora a coniugare la necessità, utile ai bimbi, di momenti e spazi programmati, con il tentativo di riempirli di approcci nuovi, non scontati, lasciando spazio anche a ciò che è imprevedibile.
L'importante è fare in modo che l'indolenza e la noia non si approprino mai del nostro tempo.
E' dura... in certi momenti.
Ma ce la farò!
Nonostante l'aprile col suo dolce dormire.

mercoledì 10 aprile 2013

Il mistero del calzino spaiato!

I misteri esistono. Sono dei rompicapo.
 volte delle semplici scocciature, altre volte tolgono addirittura  il sonno.
Non è semplice affrontarli. La loro soluzione talvolta è misteriosa come il loro apparire.
Beato chi non ne ha. Chi ha il privilegio di regolare ogni fattore della propria esistenza con meticolosa precisione e senza enigmi di sorta.
Per me non è così. 
Un angolo oscuro tormenta la mia pace interiore, toglie serenità al mio animo fanciullesco e alla mia voglia di fare.
Il mio è un problema concreto, un mistero che si tinge - lavaggio dopo lavaggio - di fosche ombre.
Vengo al dunque e  svelo l'enigma che mi assilla: il calzino che scompare in lavatrice.

Non riesco ad uscirne. Dopo ogni lavaggio c'è un calzino che non s'accoppia. Lo metto da parte con gli altri rimasti soli... nella speranza che il fratello ritorni presto. Ma non succede!
scelgo questo?
Oddio, qualcuno rispunta. Ma la maggior parte giace in solitudine per mesi, fino alla fine della loro avventura, quando vengono definitivamente eliminati come "calzini" non più utili alla causa.
Addirittura è nato il Club del calzino spaiato... ma non vorrei che s'allargasse troppo!

Ma il mancante dove cavolo è sparito? Come ha fatto a smaterializzarsi? 
E' stato rapito? Ma di riscatto neanche l'ombra.
E' andato a vivere da solo? Ma almeno poteva avvertire!

Fatto sta che non se ne esce... 

Ma ieri una battuta di Stratobabbo, in un commento mi ha acceso una lampadina. 
o questo?
La soluzione c'è! Era a portata di mano e non me ne ero accorto.
Accecato dall'alone misterioso del fenomeno non ho mai considerato il fatto dell'evoluzione, dell'innovazione del lavaggio del calzino!
Ecco la soluzione! L'accoppia calzini!
Soluzione e rivoluzione: panacea dell'anima e chiave di ogni misteriosa scomparsa... d'ora in poi non più possibile.
Ho solo l'imbarazzo della scelta rispetto alla tipologia e ai colori.
E qui accetto consigli.
Oggi è il gran giorno dell'Ordine On Line!

Sarà la svolta.



martedì 9 aprile 2013

Davide Van De Sfroos. Umile omaggio.

"Papà ci fai ascoltare la Machina del ziu toni?". Bea ultimamente, ogni volta che ci mettiamo in strada, avanza questa richiesta. Le canzoni dei "bambini" sono al secondo posto. 
Prima, ora, viene Davide Van De Sfroos
Sono contento. Li ha rapiti, e nonostante le proteste della moglie,  inizia l'ascolto.


So di essere un pessimo ascoltatore di musica... non ho grandi collezioni di CD. Preferisco leggere o scrivere. Non ho doti canore o attitudini artistiche per giudicare o criticare.
Ma da un po' di tempo mi frulla in testa questo omaggio. 
Ed ora che piace anche ai miei figli non riesco a trattenermi.

A Davide sono affezionato. Lo seguo da una vita, quando tra giovani ci scambiavamo le copie dell'introvabile primo CD "Manicomi". Dall'esordio non l'ho più perso di vista... mi è pure capitato di organizzarne un concerto in Valtellina. 
Lo adoro per lo stile, le sonorità, l'ironia, le storie che racconta. 
Perché canta in dialetto. Questa lingua della gente semplice (si fa per dire): di mia nonna, dei miei genitori... e un po' anche la mia perché la capisco e la so parlare. 
Il dialetto che nelle sue canzoni non è solo una lingua, è una specie di lasciapassare nell'anima di un mondo che pian piano sta svanendo... e con la lingua rischia di oscurare ricordi, passioni, emozioni, esistenze.
Davide ha questo dono: trasferisce nelle sue canzoni tutto questo. Lo fa con una capacità poetica originale, con uno sguardo ironico, con una passione che emoziona. Senza retoriche inutili o ammiccamenti artificiosi. 
E' genuino... e chi ha memoria del mondo che racconta lo riconosce. E ci si specchia.
Davide ama condividere scenari di luoghi amati (AkuadulzaBreva e tivàn), divertire con ballate uniche e coinvolgenti (La BaleraPulenta e galena fregiaNona Lucia). Sa far divertire con caricature di vicende o personaggi che prendono vita tra musiche e parole mai scelte a caso (El CiminoIl figlio del Guglielmo tellIl Duello). 
E poi emoziona con le esistenze e le storie del nostro mondo: il Lago di Como, le prealpi, e le alpi. Indimenticabili rimarranno  Ninna nanna del contrabbandiere, Sciuur capitan40 passPica
Ma quanti ne sto tralasciando? Vorrei continuare.

Quando partecipò al festival di Sanremo con Yanez, dalle mie parti si scatenò un tifo impressionante. 
Perché Davide un po' ci rappresentava. Nelle sue canzoni per certi versi diffonde anche la nostra terra, i suoi vissuti. 
Perché con il dialetto fa rivivere un'appartenenza che non sa di arcaico, ma di nuovo. Il nuovo che nei cuori della gente non si spegnerà mai.

Ai suoi concerti (gli unici che frequento invero) ogni età è sempre ben rappresentata. Giovani e meno giovani. Ma soprattutto famiglie con bambini. E' sempre uno spettacolo nello spettacolo.

Mi vien voglia di chiedere scusa per questo omaggio un po' barbaro... ma mi è uscito così, istintivo, forse ingenuo. 

Chiudo con la canzone con cui ci saluti spesso ai concerti (la Curiera!).
Ciao Davide al prossimo disco!





venerdì 5 aprile 2013

Fratelli e coltelli

... magari fossero sempre così
E' un dato di fatto... inutile nasconderlo. 
I miei figli ogni tanto si menano. 
Non so se si tratti di istinto di sopravvivenza domestico, non so se il tutto nasce dall'ancestrale lotta per il dominio tra maschio e femmina.
Non so neppure se sia segno di cattiva educazione ... spero di no.
Fatto sta che le scene che si presentano sono: 

a. Bea sta facendo un'attività  tutta bella tranquilla. Filippo in maniera premeditata le rompe le scatole, anche in modo piuttosto invasivo, (le pasticcia il disegno, le ruba qualcosa, le scombussola una creazione ecc.). A questo punto Bea prima accenna una protesta, poi rifila a Filippo una manata o una spinta, o.... Tutto si chiude con entrambi  bimbi in lacrime. (l'aggressore che piange sa di attenuare ipotetiche repressioni genitoriali).

b. Filippo è alle prese con qualche attività o con un gioco nuovo. Bea si accosta per osservare ed inizia e chiedere di provarlo/la. Le si fa presente che è il momento di Filippo. Ma lei non molla, finché si appropria di quanto richiesto:  ad un certo punto esaspera talmente Filippo che a lui non resta altro (è ciò che gli accade) che colpirla con quel che capita. Idem come caso a: entrambi piangono.

c. Filippo ha 3 anni e ogni tanto fa ricorso a espressioni o vocaboli non precisi. Bea corregge, Filippo insiste. Bea ricorregge e rafforza il richiamo alla precisione formale. Filippo si scassa e reagisce.

In ogni situazione chi colpisce per primo giura di non "averlo fatto apposta"! 
Chi subisce sostiene di aver subito danni fisici irreparabili. 

Ricordo la mia infanzia, il rapporto con mia sorella, gli indimenticabili momenti di scontro con lei. 
Le lotte sul divano che iniziavano per gioco e finivano in lacrime. 
Lei aveva la tendenza a mordere, io menavo in moto più convenzionale.
Lei mi lanciava di tutto, io sapevo schivare alla grande. 
Io provocavo, lei reagiva e mia mamma puniva lei - di solito - ... astuzia vincente.

Quando vedo Bea e Filippo alle prese con le loro scaramucce, rimembro le mie. 
Riconduco istintivamente gli scontri alla dinamica del normale rapporto fratello e sorella. 
Contestualizzo: sono piccoli ... dovrebbero superare questa fase. Come è successo a me.
Sono tranquillo e ci spero, anche se questa loro tendenza non mi piace. 
Certe reazioni sono esagerate a prescindere. 
L'istinto ad alzare le mani è negativo in sè.
Con mia moglie si cerca di adottare interventi immediati con un mix di sdrammatizzazioni e richiami decisi ad atteggiamenti diversi. Non è semplice trovare una chiave, anche perché sia Bea che Filippo quando ci si mettono esasperano la vittima di turno e certe reazioni hanno un senso, se non nella declinazione "manesca", certamente come risposta a livelli di irritazione poco sopportabili. 
E non è neppure semplice prevenire.
Osservare, mitigare, sdrammatizzare, intervenire duramente?
Di tutto un po'... ma quando passerà?











mercoledì 3 aprile 2013

Educarli a parlare


Li guardo. Sorrido con loro. Ogni tanto mi arrabbio. Gioie e ansie. Tante parole e silenzi.
I silenzi. Quando si manifestano a volte normalizzano e portano un po' di sollievo... a volte no. Sono un segnale di "non condivisione".
Cosa c'è dietro questi silenzi? Che cosa voglio dire... ebbene sì perchè pure loro parlano?
Un anno fa mi capitò questa riflessione... va a pennello.

Questa sera un mia  cara amica   mi ha mandato questo sms: "dobbiamo educare i nostri bimbi a parlare, a parlarsi e a parlarci delle cose del cuore.... questa sera penso che a me manca molto questa cosa: il non esserci educati, io e i miei genitori a poter dire e dare un nome alle inquietudini ...". Le ho risposto semplicemente: "Hai ragione!".
Se ripenso al rapporto con i miei genitori non posso che sottoscrivere questa diagnosi: anche nella mia famiglia non ci si è educati a parlarsi per dare un nome alle inquietudini. Non è che si tacessero i problemi o che non ci fosse dialogo, ma il tirar fuori e dare un nome, almeno provare a farlo, a quello che succedeva dentro i nostri cuori, questo no, non succedeva. Non so perchè, ma non sono cresciuto con questo desiderio. E tanto di ciò che avveniva dentro di me o veniva tenuto dentro, o veniva semplicemente rivelato altrove, spesso da chi  non sapeva neppure capirne bene il senso e la portata.
Ma tornare al passato ora non mi interessa, preferisco prendere la prospettiva più costruttiva del messaggio, che mi spinge a guardare al presente e al futuro,  e a chi  mi è affidato: i miei figli. "Educarli a parlare, parlarsi e parlarci delle cose del cuore": questa è la sfida. Ma ancor di più "saper dare un nome alle inquietudini". E riconoscere che queste conquiste non sono solo un dettaglio nel loro cammino di crescita, ma un fattore che potrebbe determinare una migliore qualità e una maggiore serenità della loro vita. Parlare delle cose del cuore significa aiutare i miei figli a sentirsi liberi, non giudicati, accolti nel momento in cui desiderano confidare qualcosa che hanno dentro e che non sanno bene come dirlo,  non sono certi se sia bene o male, o se a noi possa far far piacere o meno. Significa farli sentire al sicuro nel momento in cui decidono di rivelare qualcosa che li turba e li rende inquieti.
Dare un nome alle inquietudini va addirittura oltre: significa aiutarli a riconoscere, perchè identificato, ciò che genera un malessere interiore; e dare un nome permette di chiarirne l'identità con il vantaggio di poterne affrontare le cause. E, si spera, risolverle.
Il messaggio di questa mia  amica mi ha costretto a riconosce che già oggi ad esempio mia figlia, che ha solo quattro anni, fa una grossa fatica, in certi casi, a confidare qualche delusione che le è successa con le amiche o a condividere ciò che ha provocato in lei qualche sentimento spiacevole (magari di poco conto in sè, ma per lei importante). Ci accorgiamo, io e mia moglie, che qualcosa non va, ma a volte non riusciamo a trovare la chiave per fare in modo che si apra a noi. "Educare a parlare..." ritorno al messaggio e dico grazie a chi me l'ha scritto perchè mi ha ricordato che essere un padre significa anche avere a cuore, in certi momenti, più quello che non si vede e non si sente, di quello che appare ed è evidente. Se mi limito a ciò che vedo e sento, ma non so leggere certi segnali e certi silenzi, non sarò mai in grado di educare a "parlare, a parlarmi". Devo, inolte, essere consapevole che in quei momenti la parola, nell'esprimere certe inquietudini, costa fatica, esce a stento o è impacciata, ma è quella che libera, fa sentire leggeri e permette una vicinanza molto più profonda. Fare in modo che i mie figli mi parlino, dipende davvero molto anche da me.

martedì 2 aprile 2013

Alla faccia del Meteo!

Cielo Pasquale
Se il Meteo fosse una droga? 
Se fosse un alibi?
Se fosse una fregatura?
Ogni tanto ci penso... 
Al mattino una delle prime cose che controllo sono le previsioni settimanali. 
Se devo organizzare un'uscita con la famiglia l'umore si sintonizza sugli orizzonti metereologici... il sole fa salire il desiderio e lo spread, nuvole e pioggia abbattono la borsa dell'entusiasmo e della voglia di uscire.
Conquista delle vette
Il meteo oggi dà sicurezza e induce sorrisi, o frena entusiasmi. 
Spinge a partenze repentine o fa dismettere propositi.

Per questa Pasqua le avvisaglie di un tempo infernale c'erano tutte: proclami di bufere e burrasche. 
Pioggia, neve e vento. 
Risultato: ci si mette in viaggio o no? 
Il dubbio viene spontaneo: perché farsi del male?
Ma noi siamo un po' masochisti. 
Ci piace il rischio: tanto alla fine non cambia tantissimo. 
E siamo partiti, avevamo voglia del nostro rifugio alpino.
L'impatto è stato invernale (non infernale): sabato tanta neve... scenario natalizio.
Ma  domenica mattina ci ha svegliato un cielo azzurro e il sole che faceva capolino sui nostri volti. 
Scenario splendido. Sole, neve fresca, temperatura accettabile. 
E così anche il lunedì... e oggi (martedì).
La casetta degli uccelli

Una sorpresa che abbiamo preso al volo ... non tutti per la verità: la mamma s'è beccata una fastidiosa tonsillite. 
Ma si sa il meteo e le malattie a volte fanno comunella.
Questa appendice invernale è diventata divertimento. E tanto. 
Si stava bene, sia sulle piste che nel bosco: si è sciato, bobbato, camminato.
Si è preso colore: giusto contrasto al grigio milanese.

E' andata bene, molto meglio del previsto. 
Meritata Merenda
Ma, lo confesso, che la tentazione di rimanere a casa era stata sul punto di vincere. Sfidare l'imprevisto: perché mai? 
Meglio la sicurezza del noto e del tranquillo.
Il meteo a che serve altrimenti: a fornire certezze. A non buttare via il tempo... soprattutto se quest'ultimo farà schifo.

Eppure le certezze sono svanite per conto loro. L'ha vinta il sole. Alla faccia del meteo, delle previsioni catastrofiche. 
Un cosa è certa: il Meteo ogni tanto sbaglia. Il vento gira all'improvviso, le nuvole dovevano essere lì e invece se ne vanno altrove. Il sole compare inatteso: tiè!

Prevedere di fatto è difficile: il futuro (che sia prossimo o remoto) per fortuna ha sempre in serbo delle sorprese. Non tutto è controllabile. Spesso le sicurezze di chi preannuncia conseguenze, risultati certi, situazioni ineluttabili, sono smentite dall'unica certezza: siamo padroni di ben poco.
E' così con i figli. E' così con noi stessi. E' così con la vita.

Alla faccia del Meteo!



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