Bea e Filippo

Bea e Filippo

lunedì 28 ottobre 2013

Mamma Imperfetta .... ma che culo!

Questo post lo avrebbe dovuto scrivere  mia moglie. Il pensiero è tutto suo, e pure la maggior parte delle parole. Mi ha delegato, semplicemente perchè non ne aveva voglia.
Ma andiamo in ordine. Qualche ora fa (redatto domenica a tarda sera), prima della cena domenicale, ci ritroviamo io e lei in cucina a sorseggiare una birretta. Un aperitivo artigianale: birra e formaggio stagionato.
I bimbi hanno la loro mezzora di "Max e Ruby", e sono tranquilli sul divano alle prese col solito apero Bio: carote e finocchi crudi,qualche oliva e acqua, rigorosamente naturale. l
Ad un certo punto la mogliettina comincia a dire:
"Mamma imperfetta sì (quella della serie Web del Corriere: questa ), lo sarà pure, ma che culo che ha! 
Lavora nel mondo delle ricerche come me. Mi sa che fa una specie di part time perchè è sempre immersa nelle attività dei figli. E' a scuola alle riunioni. Al campetto a vedere il bimbo giocare. Alla mattina riesce a prendere il cappuccino con le amiche. Arriva sempre tardi al lavoro. Eppure il suo capo la tratta bene, non la cazzia mai. La collega, che dovrebbe essere un po' Iena la copre anche. Al lavoro sembra sempre al telefono per i figli. Pensa alle cose della famiglia. 
Dopo tutto questo? Il capo le chiede di diventare socia. Più responsabilità, maggiori guadagni. Più soddisfazioni. Guadagnerà  più del marito. 
Sarà imperfetta, ma ha un gran culo. E non parlo del culone che crede di avere.
E' vero (e si rivolge a me) guadagno un po' più di te, neanche più di tanto, (era ora che lo ammettesse). Rimango al lavoro quasi tutte le sere fino alle otto. Ieri ed oggi ho pure lavorato da casa, perchè martedì devo andare a fare quel cavolo di meeting col cliente in America. Mi fanno tornare di venerdì, che è festa. Il mio capo non è male, ma i clienti scassano all'inverosimile. A scuola e all'asilo ci vai praticamente sempre tu.
Mai una volta riesco a farmi un cappuccio con qualche amica... ogni tanto ci scappa qualche aperitivo (grazie alle mie benigne concessioni, ndr) ma sono sempre o in ritardo o mezza rimbambita.
Sono imperfetta anche io, lo ammetto, ma decisamente con meno culo!!"
In birra veritas, mi vien da dire.
Le sorrido. Ha detto questo tutto d'un fiato. Mi ha fatto sorridere.
Da un parte perchè è molto vero (mi vien da dire: purtroppo), dall'altra perchè smitizza un po' quell'imperfezione un po' caricaturale. Non negativa, per carità. Anzi. Volutamente simpatica e ironica. Purtroppo, e qui ci sta, rispetto a certi temi della vita, un po' troppo fortunata.
Decisamente un gran culo.


giovedì 24 ottobre 2013

Ascolto del dissenso ... ha senso?

Sono in trip da riflessioni. Capita. La mente ogni tanto va per conto suo. La lascio andare perché possa mettere in fila sollecitazioni, stimoli, pensieri. Che poi ne produca di intelligenti è tutto da verificare. Ma se non ci prova.
In più voglio tirare l'acqua al mio mulino perchè so di essere uno "scassapalle" impenitente.
Ma tant'è che lo faccio.

Qualche giorno fa leggendo l’intervista ad Angela Ahrendts (appena passata da Ceo di Burberry ad Apple come responsabile degli  Store) rimasi colpito da una sua affermazione … che cito a memoria: “Nella guida delle aziende un aspetto fondamentale che deve caratterizzare un manager è l’ascolto del dissenso: quello dei clienti e quello dei dipendenti. Dipendenti sempre allineati e in silenzio non offrono quasi mai un valore aggiunto”.
Da una ricerca del Great Place to work emerge non solo che Google è il luogo di lavoro migliore al mondo, ma che in generale le società dove si lavora meglio sono quelle che da una parte non hanno paura di “essere sottoposte al giudizio dei lavoratori”, e che cercano di  portare avanti una politica generale che aiuti il dipendente ad essere più felice (se lo è di solito raggiunge un tasso di produttività del 30% in più della media).

Queste notizie mi provocano sempre una certa insofferenza. Perché non sono semplice cronaca: esprimono una politica, una visione strategica,  che tenta di unire azienda – lavoro – benessere della persona. Tre fattori inscindibili per costruire il futuro, almeno un futuro dignitoso.

Non conosco benissimo il mondo del lavoro delle grandi aziende in Italia, conosco un po’ quello delle piccole. Ma da italiano, orgogliosamente medio, registro alcune sensazioni.
Da noi il dissenso è vissuto come un fastidio, una scocciatura. In generale, che si tratti di azienda, di struttura sociale (lo Stato, la Chiesa o le varie agenzie educative, anche la famiglia in certi casi), avere a che fare con persone che cercano di esprimere un giudizio di critica, che evidenziano storture (magari anche solo percepite  ….) e che quindi esprimo un dissenso, è ritenuto un ostacolo, un problema.
Mai lo si coglie come una risorsa o una possibilità.
Secondo me la dinamica presente è lineare (quasi banale): la guida o  il sapere ha sempre una dinamica verticale. Chi sta sopra ha l’autorità (i più evoluti la definiscono responsabilità, quasi per farne percepire il peso in senso fisico…) che emana direttive e vie da seguire: il “resto” si deve adeguare. “Il capo sono io, sono io che comando, è mia responsabilità …” quante volte affermazioni di questo tipo riecheggiano nei luoghi di gestione.
Guardiamo alla  politica: c’è un ruolo cristallizzato. Quando un politico raggiunge certe posizioni dimentica la sua dimensione di cittadino e assume il ruolo di “benefattore” particolare: non ascolta od osserva i bisogni, né cerca di spendersi per un bene generale (di solito, per carità). Afferma la sua autorità elargendo favori. Le critiche eventuali vengono relegate nel “vediamo che si può fare”.

Ammetto che anche come papà questo rischio lo corro alla grande. Proprio perché investito, in automatico, del ruolo di padre mi sento depositario di un sacco di cose da dare, dire o spiegare…. Risulto meno incline ad ascoltare o percepire disagi, dissensi o pensieri contro. (ma su questo ci tornerò)

Perché tutto questo? Non sono un sociologo e quindi dalla mia mente non escono di certo  né soluzioni né analisi incontrovertibili.
Ma sono convinto che:
  •  Imporre è molto più semplice che lasciarsi mettere in discussione
  •  Argomentare implica  la fatica di riattivare un ragionamento (processo eluso per motivi o di tempo o di opportunità … paura dell’esito)
  •  Riconoscere errori viene percepito come diminuzione di sé
  •  Imparare ad accogliere idee, suggerimenti, non fa rima con “riconoscimento della propria autorità”
  •  “Buona risorsa” = lavoratore diligente e collaborativo. “cattiva risorsa = lavoratore critico e incline a dire come la pensa.
  •  Si tollera di più il “fannullone silenzioso” del “critico che produce”
Queste ed altre dinamiche, a mio avviso, stanno affossando un sistema. Incrostato dalla presunzione di generazioni che si ritengono depositarie di una verità (gestionale, intellettuale, sociale) che invece è svanita pure dentro di loro. E a loro insaputa.
La storia non si ferma e questo pian piano verrà smascherato e sostituito, ma se si avesse il coraggio di anticiparlo con scelte coraggiose (neppure più di tanto) o almeno di buon senso, cominceremmo a recuperare un po’ di terreno…

E di felicità!

mercoledì 23 ottobre 2013

Papà ... ma prima figlio!

Si diventa genitori nella gioia, nella bellezza del generare e amare i propri figli. Nella fatica quotidiana del crescerli, con gli alti e i bassi nel riscontrare che non sempre rispondono alle attese dei genitori: fanno casino quando non devono, si picchiano (tra fratelli è quasi una regola…), non ubbidiscono o non ascoltano, fanno a se gli chiedi b e viceversa. Ma sanno sorprendere, spesso. Nel loro essere unici. Nel farti sorridere, e amare d’averli con te. E’ tutta una giravolta di esperienze dove spesso la regola è l’imprevedibilità, quella che nei bambini è molto più vera della nostra, quella adulta. Un po’ assopita.
Si diventa genitori, dicevo (stavo divagando lo so…) – e nel caso specifico papà -   mica all'improvviso. C’è tutta una storia che non può essere messa sotto uno zerbino. E’ la storia della nostra vita che ci ha visto, come prima tappa fondamentale, assumere e vivere in pienezza la condizione di figli. Sono stato figlio… e lo sono ancora, per la verità.
Ma “figlio, proprio tanto figlio” lo sono stato da bambino e da ragazzo. Un po’, anche da giovane: insomma fino a quando sono stato dipendente dai miei genitori. Una dipendenza che si è evoluta nel tempo,  ma che nelle sue forme diverse mi ha accompagnato per molti anni.
Guardo i miei di figli. Sono ancora piccoli. Non riesco a  non riportare la mia mente alla mia esperienza di figlio e ogni tanto mi chiedo: ma io che figlio sono stato? Li vorrei come? O meglio lasciar perdere?
Diamo spazio alla memoria. Fino alle medie ho navigato nella zona medio bassa della classifica dei ragazzi bravi, sempre sull'orlo della retrocessione. Non ero un teppista, ma neppure un santerello.
Da una parte me la cavavo a scuola (voti buoni), ma  rispetto al comportamento è un altro discorso. In prima elementare presi ben 6 note (il massimo della classe). In terza media conclusi il percorso con una visita dal Preside. Lingua lunga … troppo, nel bene e nel male. Pure a catechismo mi misero qualche volta fuori dalla porta. Vivevo nel regno dorato di un paese della Valle e quindi in casa non ci stavo praticamente mai. A giocare con gli amici: all'oratorio, nella via, nei cortili. Facevamo mille cose, anche un sacco di “stronzate” (che non elenco per non generare emulazioni spiacevoli). In casa facevo la parte “del cane”, “il gatto” era mia sorella: spesso le mani addosso. Era più forte di noi. Ricordo la mamma che ci sgridava. O gli sguardi di mio padre… a lui bastavano. Ai miei ero molto attaccato, ma non mi pesava il distacco. Da loro ho ricevuto e imparato tantissimo, anche quello che non insegnerò ai miei figli. Fa parte della vita anche questo.
Ero sereno. Non si navigava nell'oro, ma non ricordo rinunce particolari: con gli amici ci si faceva bastare quello che c’era. E ci si divertiva. Mi fermo a quest’epoca, perché il parallelismo è funzionale all'età dei miei bambini.
Lo vorrei come me? Mi ci rivedo? Per me non è questo il punto: io sono io e loro sono loro. Siamo e saremo diversi.
La questione è un’altra: vorrei ricordarmi più spesso come ero io. 
Vorrei farlo riportando nel mio presente le volte che  non ascoltavo, che facevo cavolate o  disubbidivo e deludevo i miei genitori … ma anche quando mi impegnavo, ne azzeccavo qualcuna o riuscivo davvero bene in qualcosa. 
Vorrei ricordarmelo per garantirmi da una parte uno spazio di tolleranza (e di incoraggiamento) di fronte a ciò che mi fa arrabbiare o mi spazientisce. Ma anche per tirar fuori da me gli stimoli perché loro affrontino le cose con serenità e lo spirito giusto (quello positivo e costruttivo). Se spesso ci sono riuscito io ce la possono fare anche loro.
Vorrei ricordamelo di più per non correre il rischio di pretendere da loro riconoscimenti funzionali a me… e non a loro. Il loro futuro è importante, non (solo) il mio  - e nostro -  presente.
Vorrei ricordarmelo perché nel gioco intricato della loro crescita il binomio dipendenza/libertà venga vissuto nella logica del rispetto e dell’amore, non in quella del non avere “fastidi”.
Da papà non posso non intrecciare questi pensieri per accogliere quanto  vissuto da figlio perché mi aiuti ad essere padre.

Un buon padre.

lunedì 21 ottobre 2013

Compiti... ci siamo!

Dovevano per forza arrivare... prima o poi. Il poi è durato poco. 
Ieri siamo stati alle prese con la prima vera sfornata di compiti. Beatrice doveva terminare un lavoro di italiano ("disegnare 4 o 5 oggetti che terminano con la o") e fare matematica. 
Primo problema: la lettura del diario. "Matematica, completare le pagine 3-7 sull'eserciziario". Domanda: deve fare la pagina 3 e la pagina 7, o dalla 3 alla 7?
Wazzappo col mio amico interista (papà di una compagna di Bea): "Noi abbiamo capito 3 e 7, risponde lui... già che ci sei - mi scrive - ma di italiano che devono fare che la mia ha scritto una cosa incomprensibile?". Siamo a posto. 
Mia moglie, malfidente,  parte di sms con alcune mamme. il 3 e 7 batte dal 3 al 7, solo 3 a 2. Di in soffio. regna l'incertezza. Noi comunque optiamo per la scelta minimalista e democratica.
Dopo un quarto d'ora di dubbi si parte.
In casa ci disponiamo nel seguente modo: io e Filippo decidiamo di sfruttare il momento di pace, apparente, e  ci mettiamo a giochicchiare in sala. Lo ammetto,  ogni tanto sbircio diretta gol. Di là (in cameretta) mamma e Bea alle prese con i compiti. Mi sembra equo.
"Mamma mi aiuti?". "Cara Bea: ti aiuto a leggere che cosa devi svolgere - come chiede la maestra -  però poi tocca a te. Capito? Il compito è tuo, non mio". Mamma integralista: l'autonomia come conquista fondamentale. 
Mamma legge e Bea esegue... passano pochi minuti: "Bea, cerca di essere più precisa... Bea non distrarti, cancella meglio...". "Mamma qui mi sa che ho sbagliato." "Ma no che è giusto... aspetta, hai ragione. Hai sbagliato!". "Mamma non distrarti...".
Dopo circa un'oretta. "Ma come stai colorando... tutto storto, Bea, per favore cerca di essere precisa e di fare bene il compito". "Mamma, sono stanca. Mi sto annoiando." "Su cerca di finire... poi arriva la tua amichetta e uscite a giocare". "No, sono stufa..." . 
E inizia la litania mamma e figlia. Quelle due quando ci si mettono danno il meglio.
Pochi minuti, belli intensi: Bea lancia una matita, la mamma sgrida. Bea frigna. Mamma non cede.... Bea di fatto è salvata dal citofono: è arrivata l'amica. Propongo una tregua. Siamo pure all'intervallo delle partire e in più la Juve vince 2 a 0 ..azz. (per poi godere del risultato finale).
"Bea, Chiara, Filippo usciamo... la mamma deve riposare, dopo tutti sti compiti... e sghignazzo"
Fuggo appena in tempo per evitare giuste reazioni.

Associo i fatti: mia figlia sta cominciando a capire che i compiti possono essere noiosi o faticosi. Di fatto non sono un'attività ludico creativa. Sono lunghi.... almeno all'inizio sembrano proprio non terminare mai...
La mamma non molla: "Li deve fare da sola". E in questo l'appoggio. Anche se sarà utile una sana alternanza nel supporto a Bea. 


lunedì 14 ottobre 2013

All'Hangar Bicocca... sorpresi e contenti!

In famiglia abbiamo "deliberato" che finché ce la facciamo cerchiamo di evitare la festa di compleanno... quella "classica". Un po' perché noi "insani genitori post moderni" siamo allergici, un po' perchè comunque di feste i nostri due ne fanno parecchie. Nonna di qua, nonna di là .... Filippo che arriva pure a dire: "Mi il mio compleanno quanto dura?".
Con Bea la prima l'abbiamo fatta a 5 anni... con Filippo vedremo.

Detto questo, pur sapendo che alla sera in casa si sarebbe tagliata la torta con alcuni amici, volevamo far fare a Filippo una cosa diversa, che rendesse il giorno del suo compleanno un po' particolare.
Navigando qua e là ho scoperto che a due passi da casa nostra esiste un luogo particolare che propone anche attività per i bambini: Hangar Bicocca. Uno spazio/progetto, totalmente finanziato dalla Fondazione Pirelli, nato per promuovere l'arte contemporanea. Accanto allo spazio per l'arte vengono proposte attività specifiche (ludico creative legate alle mostre che sono in essere) per i bambini. Basta prenotare: è tutto gratis.
La possibilità mi colpisce. Contatto un amico di Filippo e prenoto per due: sabato alle 11.15. Iscritti al percorso creativo "L'ottava torre", attività legata all'istallazione permanente di Anselm Kiefer "I sette palazzi celesti" (... ma chi lo sapeva che era l'installazione più grande d'Europa? ... è davvero impressionante e unica).
Ecco che puntualissimo con Filippo e Leone arrivo all'Hangar. Li affido a tre carinissime animatrici e mentre i bambini iniziano l'attività comincio a curiosare in giro.  Rimango sorpreso. Al di là delle mostre di Arte contemporanea presenti scopro che all'interno dell' Hangar c'è un bellissimo ristorante, uno spazio di cinema che prevede ogni domenica alle 17.00 la proiezione di un film per bambini (di quelli non distribuiti al grande pubblico). Che oltre alle attività è riservato ai uno spazio giochi tutto per loro. E che tutto (a parte il ristorante) è gratis.
In più è tutto grande. Spazi enormi. Molto curati. Un sito industriale immenso: l'ex Breda, poi Ansaldo, acquistato, ristrutturato e riconvertito a spazio per l'arte dalla Fondazione Pirelli. 

I bambini tornano dalla visita delle Sette torri e iniziano il loro laboratorio: devono costruire l'ottava torre. Li vedo assorti, coinvolti. Il tempo vola anche per loro. Quasi due ore.
E quando tutto è terminato ci fermiamo pure a mangiare, raggiunti dalle sorelle e il resto delle famiglie.

A due passi da casa... caro Hangar Bicocca, felice d'averti scoperto!
Ci rivedremo presto!




sabato 12 ottobre 2013

Auguri Filippo!

Era l'1 e 20. "Papààà. Papààààà. Papàààààà." "Filippo arrivo, non svegliare tutto il palazzo!". Puntualissimo anche stanotte. "Checc'è?". "Papà, lo sai... ho sete, mi riempi la borraccia?".
Dopo aver bevuto a sazietà... mi ricordo di una cosa: "Filippo: buon compleanno!". "Grazie papà... buona notte"!. Era più in coma di me e s'è addormentato subito.
Sono tornato a letto col sorriso... eh eh,  ho battuto tutti sul tempo!

Filippo hai 4 anni!
Ma quanto se cresciuto in fretta! In effetti Beatrice ha inaugurato un percorso che con te, quasi didatticamente, abbiamo vissuto con  un po' più di attenzione... tu hai beneficiato di un pizzico di esperienza in più... e allo stesso tempo di maggiore libertà.
Avevamo capito che spesso i bambini se la sanno cavare molto bene!
Oggi è il tuo compleanno e sfrutto l'occasione per parlare un po' di te e con te.

Filippo sai bene che, rispetto a Beatrice, nei tuoi  primissimi anni di vita (cioè fino a ieri) sei stato molto più scassapalle! Di notte con i tuoi risvegli a ripetizione (e sempre chiamando papà!). A tavola con la tua presunta inappetenza e gli innumerevoli capricci annessi. 
E se calcoli che durante la settimana di fatto ti si vedeva a cena e  nel letto vedi tu...
Vogliamo aprire il capitolo bagnetto o "vestizione mattutina"?

Eppure. C'è un però. Uno vero. 
Quel tuo sguardo. Quel tuo sorridere sereno.Quel tuo prendere la mia mano o quella della mamma.
Quel tuo "Voglio te", dopo ogni sgridata... o tua scenata.
Perché tu sei così. Sai catturare. Intenerisci. Ti fai riaccogliere sempre.

Sei simpatico, lasciatelo dire. Generi simpatia. Fai sorridere con le tue trovate ("Papà compera il pesce che ci facciamo un'insugata"!). Ti piace stare in compagnia e  senza fare il "prezioso" ti butti sempre.
Sei il cocco dei nostri amici, perchè - dicono loro - "Filippo è Filippo".
A volte ti basta uno sguardo. Una carezza. 

Auguri Filippo!
Continua così... fallo da "valtellinese e interista" come ami sottolineare di te stesso.
Fallo magari con meno aggressività verso Bea (ma tra fratelli dicono sia normale)....
Mantieniti sereno, allegro.
Non rinunciare mai alla tua voglia di correre, di esplorare.
Non temere i pasticci e i rischi... sono sempre nuove conquiste!

Auguri Filippo!





martedì 8 ottobre 2013

Ottobre

"Ciao zio, oggi sono andato a raccogliere castagne, ma non ce ne sono ancora molte." Ieri sera mio nipote mi raccontava questo scatenando in me tutta una serie di pensieri, meglio di ricordi.
Quando ero bambino, ma anche da ragazzo, adoravo l'ottobre.

Era il mese della vendemmia.Quel giorno mi era permesso saltare la scuola (da qualche anno hanno capito di tenerle chiuse...). Tutta la famiglia si riuniva nella vigna di mio padre e dello zio a "catà l'uga" si diceva. 
Tra le viti a tagliare e ripulire i grappoli. Ne mangiavo sempre troppa, tanto che ricordo anche un paio di terribili indigestioni.
un paio di giorno full time: tra uva, la prima pigiatura... quel profumo di acino schiacciato. Lo zucchero e il mosto che cominciava a ribollire.
La nonna preparava la polenta nella vecchia casa dei nonni e al tardo pomeriggio (come aperitivo), tutti a mangiare le caldarroste ("i braschee").

Era il mese delle castagne. Dopo la scuola, con gli amici si partiva. Borsa, zaino, e su nei nostri boschi a raccoglierle. Attenti a non invadere terreni off limits. Pomeriggi passati tra castagne, ricci, qualche fungo.... per poi concluderle a rubacchiare qualche fico o qualche grappolo d'uva tardivo. Se era necessario si fuggiva alla grande.... ma tanto si sapeva chi eravamo.

Era il mese del granoturco. Con la nonna al campo a staccare le pannocchie mature per poi ritrovarsi alla sera un garage a "spogliarle" e a sgranarle. Preparare i sacchi di mais da portare al mulino e ritirare, dopo qualche tempo, la farina per la polenta. Serate bellissime, passate attorno a fuoco: con la nonna si badava alle pannocchie e mio papà ci preparava le caldarroste.

Era il mese della torchiatura. Dopo una decina di giorni a riposo il mosto andava spremuto per "fare il vino". Nella frazione del mio paese c'era il torchio in comune (... della Chiesa per la precisione): si doveva prenotarlo. Bellissimo: di pietra, molto grande. E quando pure a me fu concesso di far girare la ruota col palo di ferro fu una delle conquiste più belle che ottenni a quel tempo.

Era il mese dei colori forti. Dei profumi vivaci in attesa che tutto si assopisse sotto giogo del gelo, che a volte arrivava improvviso anche a novembre.

Amo ancora l'ottobre. Ma mi sembra sempre più di doverlo guardare da troppo lontano... non solo nella memoria di appuntamenti da tempo abbandonati, ma anche nell'orizzonte di scenari o usanze ormai scomparse.

Ma non tutto è perduto. 
"Papà, quando andiamo a raccogliere le castagne?"
"Presto, appena torna il bello lo facciamo!"



giovedì 3 ottobre 2013

Il Divano (proprio Lui, quello per Lei) è arrivato!

Eccolo: il nuovo divano della mamma!!!
In ogni casa ci sono spazi e spazi. Piccoli regni dedicati. 
nella nostra c'è un piccolo studio dove di fatto si rintanano all'occorrenza mamma e papà. 
C'è la cucina che è il regno del papà.
La cameretta dei bambini dove loro si sentono più a casa che in casa. Ci vanno a giocare con gli amici o tra di loro... lì ci sono le loro cose e gli spazi ad hoc.
La camera matrimoniale ad uso specifico genitori.

Poi ci sono per necessità gli spazi veramente comuni: i bagni... anche se quello blu è usato in prevalenza dalle donne e quello verde dai maschi.
Il salotto con la zona tv, col grande divano che ci "contiene" tutti.... all'occorrenza. Altrimenti è il divano  dei bambini se è l'ora dei cartoni, o quello nostro nelle ore serali.
Il divano, proprio lui è stato l'oggetto del contendere. E' grande, a L, di pelle chiara. Bello, spazioso, morbido, ... e scelto insieme.
Eppure ha dei difetti "genetici" secondo mia moglie: è troppo grande. E' freddo. Insomma non riesce ad accoglierla a mo' di cuccia nelle numerose ore in cui (soprattutto la sera) lei amerebbe essere accolta  e cullata nel suo sonno pre-letto o pre-notte. Ebbene sì mia moglie dorme in due luoghi o spazi specifici: sul divano (dalle 21.00 alle 24.00 circa) e nel letto (dopo il trasbordo in stato sonnabulistico).

Fatto sta che questa estate la assecondai nel suo desiderio di ricerca della "cuccia" personale: un divano su misura, capace di accoglierla e di permetterle di dormire sonno comodi e tranquilli. Era fine luglio, faceva un caldo boia, ma da buon marito ubbidiente (e sanamente asservito) la accompagnai alla ricerca di sto divano. E lo raccontai qui.

Oggi è il giorno. 
No, non c'entra Letta che ha vinto la battaglia parlamentare.
Il Governo che durerà, la Borsa che risale, l'autunno che pare in arrivo, il funerale di Giuliano Gemma, la seconda puntata di X Factor, tutti dettagli.
E' il Suo giorno: quello del Divano!!!
E' arrivato.

Cara Silvia (nome di mia moglie... per la cronaca) in famiglia siamo tutti contenti per te!
Goditi la tua dolce alcova!
E Tanti sonni tranquilli e profondi (soprattutto quando c'è l'Inter in TV)!

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