
Grazie alla segnalazione di Babbonline ho letto un articolo molto interessante (che ho linkato). Interessante non tanto per la Trilli-presentazione, anche se il personaggio piace molto a Bea e neppure per l'ipotetica rappresentazione paterna che il "cartons" in questione promette di trasmettere, si vedrà. Mi ha interessato il tema dell'ascolto del bambino da parte di un adulto, quindi da parte del padre. E quindi si parla anche di me.
Quest'estate mi sono accorto in maniera evidente che i miei figli parlano. Un sacco. Filippo sembra una radio e Bea non è da meno. Filippo però è nella fase del "cos'è questo, cos'è quello, perchè è così, perchè fai così" oppure del "papà mi racconti ecc.". Bea è più femmina (in senso bonario), il suo parlare è più mirato, calcolato. E' pure intercalato da silenzi impenetrabili: quando non vuol dirti certe cose non la smuovi. E' tosta, la piccola. I momenti peggiori sono quando parlano entrambi contemporaneamente. Se ascolti uno fai ancavolare l'altro e viceversa... un casino.
Ma il punto non è il loro parlare, ma il mio ascoltare. A volte lo ammetto un po' mi rompo... questo turbinio di parole spesso poco coordinate e senza un filo del tutto logico (secondo la mia percezione di adulto) mi stordisce. Dico "sì, va bene, che bello, bravi ecc." ... parole buttate lì tanto per non sembrare indifferente, ma di fatto poco coinvolte dai loro discorsi.
Di contro quando la mia voglia di ascolto si riattiva o è ben predisposta, può succedere che dall'altra parte ci sia il muro del silenzio implacabilmente levato. Stimolo, chiedo, suggerisco: nulla. Soprattutto con Bea cavare una parola è un'impresa.
Mi trovo comunque nella fase iniziale: i miei hanno 3 e 5 anni, ma sto già capendo (e cerco di affrontarle) alcune dinamiche interessanti.
Se voglio ascoltarli davvero, e quindi costruire un dialogo, devo saper cogliere i loro tempi e non i miei: comandano loro, non vanno a comando. Non si scappa!
Devo abituarmi ad avvicinarmi a loro e non pretendere che siano loro a salire al mio livello: ascoltarli significa imparare ad accettare sia i loro ritmi espressivi (a volte lenti, molto lenti... troppo lenti), che le loro contorsioni linguistiche e mentali, non sempre di facile interpretazione. Anzi.
Mi devo poi trattenere dal banalizzare pensieri e parole che dall'altra parte (quella del bambino) invece sono importanti. Il livello di profondità deve avere altre misure che non partano dal mio modo di vedere o di comprendere ma dal loro. Questa è l'asimmetria naturale, quella che non deve farmi arrabbiare (se non capisco o non capiscono), ma semplicemente aiutarmi a mettermi in gioco. Il gioco del loro crescere lento.
Saper sorridere se l'intento è quello, ma solo in questo caso: rischiare di deridere è fonte di delusione.
L'ascolto è divertimento e sforzo: a volte insieme, spesso distinti, ma so di poterli (o doverli) vivere entrambi. Pace all'anima mia.
Ascoltare per capirli, per conoscerli meglio, per saperli mantenere più vicini: non si tratta di un semplice esercizio pedagogico, è qualcosa di molto più profondo. Me lo metto in testa?
Non voglio esplorare meccanismi più complessi... mi vengono in mente molte altre esperienze o interrogativi (perchè certi loro silenzi anche di fronte a noi genitori?), ma probabilmente per andare oltre devo lasciarli crescere ancora un po'.
Cara Trilli, mi sa che mi serve un po' della tua polverina magica. Ti aspetto!