Bea e Filippo

Bea e Filippo
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sabato 16 agosto 2014

Un po' di vacanza...

Riappaio perché sono contento!
Anche se ho superato la metà. Sì la metà delle vacanze. Per la vita c'è ancora tempo... spero.

Ma mica ho voglia di filosofeggiare perché in questi dieci giorni me la sono proprio goduta! Non perché ci siano stati eventi o esperienze particolarmente straordinarie. 
Ciò che è cambiato è l'età di Filippo e Beatrice e fare vacanza con loro è diventata tutta un'altra cosa. L'unico aspetto rimasto costante è la loro narcolessia serale (al max alle 21.30 crollano inesorabilmente).
Ma per il resto è tutta un altro modo di fare vacanza!

Abbiamo fatto un po' di mare e da mercoledì siamo in montagna. In fondo nei soliti luoghi. Ma se la prospettiva muta è come ripartire per mete nuove. In questi giorni funziona davvero così.
Giocare, camminare, riposarsi. Mangiare, parlare, affrontare le novità. Riuscire a farlo in famiglia e con gli amici scorgendo nei propri figli una luce di consapevolezza, di desiderio, di coinvolgimento più intensi : tutto questo infonde in tutti i momenti vissuti un tono molto più vivo!

Non posso tracciare bilanci e non riesco ancora ad andare a fondo, magari al rientro.

Oggi condivido la soddisfazione di riuscire a fare molte più cose con loro! Insieme: genitori e figli. Meno vincoli, meno ansie e preoccupazioni. Più libertà. E complicità.

Rimane sempre la necessità di essere comunque presenti a loro e con loro, ma il tipo di interazione è ad un livello oggettivamente diverso che aiuta tutti ad essere più sereni e contenti. 
Quella che sto vivendo è una stanchezza diversa. Pesa molto meno di quella di anche solo due o tre anni fa...

... mi sta venendo sonno... a presto!

Alcune istantanee tanto per segnare questa tappa!


giovedì 6 febbraio 2014

Di arrabbiature e no ...

Condivido "a casa mia" due estratti di articoli pubblicati sul magazine On Line I Nuovi Papà.

Sono due temi a cui sono molto legato. Perché toccano la mia vita quotidiana e a volte smascherano difficoltà reali di coerenza  rispetto alle piccole scelte che sono costretto a fare.
Sono temi allo stesso tempo normali e complessi. Per il presente e di prospettiva. Uniscono e dividono. Pacificano e causano piccoli conflitti.
E mi fanno riflettere. Son fatto così, che ci posso fare?

Sto parlano di alcuni no detti ai miei figli per aiutarli, almeno questa è la mia intenzione, a crescere rispetto al loro grado di autonomia. 


Ebbene sì, ogni tanto i miei figli me lo chiedono. Forse che mi travesta di uomo crudele e indifferente ai loro bisogni? Forse che mi diverta, ogni tanto, nel vederli in difficoltà alle prese con qualche richiesta specifica, subdolamente imposta?
Non mi sembra, ma questo “perché” nasce da un dato di fatto: non è semplice abituarli all'autonomia.
E quando ci si prova i primi ad obiettare sono proprio loro. Sì quegli stessi bambini, e mi riferisco proprio ai miei figli,  che se da una parte, in altre circostanze (soprattutto precedenti), rivendicavano proprio il “poter fare da soli”, in altri frangenti chiedono aiuto. Un supporto che faciliti, richiesto o per pigrizia o per oggettiva difficoltà. O semplicemente come compagnia rassicurante.
Il problema, però, non è la domanda, apparentemente stonata: come, un papà che non aiuta i propri figli? Ma la risposta: come comportarsi? E’ giusto, opportuno, utile offrire sempre il proprio aiuto o, in certi casi, è più educativo lasciare che se la sbroglino da soli?
La casistica è davvero varia, non solo quella legata agli episodi con protagonisti i bambini, ma soprattutto quella che ha messo in gioco le mie certezze o i miei sentimenti di papà.
Per un certo periodo (che non si è del tutto concluso), e in relazione a determinate situazioni, molto forte è stata in me la tentazione di “fare cambio”. Il desiderio di sostituirmi a loro.

Sto parlando delle mie arrabbiature... quelle che che fan parte di una relazione (la mia di certo) con i propri figli. Quelle che se esistono avranno un perché ... non sempre corretto, però.


“E me lo chiedete pure? Vi lascio un minuto da soli e vi mettete la mani addosso. Vi chiedo di rimettere a posto i pennarelli e vi trovo a lanciarvi cuscini. Vi invito gentilmente ad andare a lavarvi i denti e vi viene in mente di svuotare la cesta dei pupazzi! 
Come faccio a non arrabbiarmi? E sempre poi a scaricare le eventuali colpe sull’altro: è stata la Bea! No, è colpa di Filippo. Mi ha colpito per primo, no, ha iniziato lei! Sapete simulare meglio dei calciatori! A me non piace proprio arrabbiarmi. Se alzo la voce, se mi esce la faccia da cattivo, se parto col pippotto che vi ricorda quello che dovevate fare e non avete fatto, il perché e il per come ci si deve comportare in un altro modo … arrivare a questo punto mi irrita. Mi da fastidio. 
Perché mi arrabbio? 
Non tanto perché vi vorrei perfetti, ma ogni tanto sembrate voler fare il contrario di quanto richiesto. E ci resto male, mi sembra sempre di contribuire a creare un clima di tensione che non sopporto. Dovete ammettere che non arrabbiarsi mai è impossibile. Come si fa? Ditemi voi! Ma anche voi vi arrabbiate: se vi dico qualche no, a volte sembra cascare il mondo. 
Ma torniamo alla vostra domanda: insomma, dovrei continuamente far finta che non sia mai successo nulla, che il disubbidire sia sempre accettabile o comunque un comportamento naturale e accolto senza problemi. Ubbidire, non esageriamo, che poi mica vi do’  ordini da caserma. 
Vi chiedo (anzi, io e la mamma vi chiediamo) il minimo sindacale. Più che ordini sia chiamano memo di comportamenti alla base della convivenza civile: non picchiatevi, sistemate, lavatevi, vestitevi, non allagate il bagno, provate ad allacciarvi la scarpe da soli, mangiate sui piatti per non sbriciolare da tutte le parti, non buttate i vestiti a terra, ecc. Siamo ben al di sotto anche dei 10 comandamenti. 
Suvvia, avete pure di che lamentarvi? Perché mi arrabbio? Perché nonostante tutto spesso fingete di non sentire. Vi sembra del tutto naturale fingere di non aver capito. Non sempre, lo so, ma spesso ci cascate. Perché in certi casi è davvero complicato farne a meno. Alzo la voce: mi impongo e vedo che capite che dovete cambiare registro. Lo capite perché non siete stupidi... e lo fate. E’ chiaro?”
“Papà, però tante volte non ti arrabbi e noi poi ti ubbidiamo lo stesso? E allora perché ti arrabbi?”
... continua Qui

mercoledì 13 novembre 2013

Parigi e ... distacco

L'ultimo è stato 2 anni fa... (o 3?)... non ricordo con precisione. A Berlino, ponte di S. Ambrogio. Bello.
Venerdì invece si va a Parigi. Soli. Io e la mia dolce metà. Un viaggio in cantiere da un sacco di tempo. Messo in agenda come desiderio di prenderci uno spazio nostro. E si partirà.
I bambini al "sicuro": Filippo in Valtellina: "Papà, mi raccomando non venirmi a prendere prima di domenica, voglio stare qui almeno una settimana".  Chi "lo ammazza quello"? Lui sta pacifico in Valle: gioca con cugino e amichetti, si fa coccolare dalla nonna, dorme quanto gli pare... si riossigena. 
Bea invece, sotto la supervisione della nonna Renata, sarà ospite da due amiche: "Mamma, ma quando andate a Parigi, così che io vado da Sara e Chiara due giorni?". Spavalda pure lei, di fatto s'è praticamente organizzata da sola.

Noi partiremo tranquilli. Lo eravamo anche 2 inverni fa (mi sono ricordato: Berlino 2011), ma adesso un po' di più. Sono i bambini stessi che ci rendono sereni. Ce lo dicono e lo leggiamo nei loro volti.
Questi distacchi, seppur brevi, sinceramente mi pesano sempre meno. Nel senso che non mi causano più ansie o preoccupazioni. Nella loro crescita si sta facendo spazio non solo una certa capacità  di rimanere sereni lontani da noi (con i nonni o da  amici), ma anche quel pizzico di autonomia che rende il distacco un'esperienza... e non una penitenza.
Altre volte ho accennato a questo tema, nel contesto della nostra famiglia. Rimane sempre vivo il mio desiderio che in loro cresca una certa autonomia. La speranza che possano sentirsi a loro agio anche con altre persone. Questo per loro, anzitutto. 
Non so se si tratti di una questione di carattere personale, di attitudine. O abbia contribuito una certa abitudine a stare fuori di casa che fin da piccoli abbiamo cercato di condividere con loro.
Sta di fatto che Bea e Filippo non vivono come un dramma lo stare un poco lontani da mamma e papà. Mamma e papà riescono quindi a "sopportare" queste parentesi senza ansie o drammi. Possono godersi momenti tutti loro proprio perché Bea e Filippo sono così. a
Tutto questo non pregiudica l'unità familiare, né la rende meno solida. Né allarga le dinamiche inserendo progressivamente situazioni di lontananza che saranno poi il destino che la vita riserverà. Senza enfasi. Ma con i riconosciuti benefici. Posso chiamarla fortuna?

Parigi, arriviamo!

lunedì 6 maggio 2013

Un centimetro e mezzo

In un mese o poco più Filippo s'è alzato di un centimetro e mezzo.
Il dato di cronaca non è rilevante in sè. 
Pure Bea ha messo su un centimetro, ed è pure passata dal 27 al 28 di scarpe.
Sono numeri, semplici riferimenti grafico/spaziali di una crescita naturale. In linea con l'età.
Ma non sono quelli che attirano la mia attenzione...ciò che mi colpisce oggi è la rapidità delle conquiste.

Nei primi post di questo Blog, mi sono soffermato più volte sul fatto che i miei figli mi costringessero a rallentare, a percepire il tempo in modo diverso. Era naturale adattarsi a concedere loro il tempo, quello necessario perchè affrontassero serenamente quanto si apriva alla loro esperienza.
L'esercizio dell'attesa non mi è sempre risultato semplice, anche se pian piano ho imparato ad adattarmi.
Oggi è diverso. E credo che lo sarà in prospettiva sempre di più.

Quei centimetri in più di Bea e Filippo chiudono di fatto un periodo. 
Vederli vestirsi da soli, lavarsi di denti (quando si riesce a convincerli) senza aiuti. 
Sentire i loro commenti, le domande, i discorsi.
Uscire al parco e sentirsi quasi di troppo perchè giocano con gli amici senza supporti... anzi.
Percepire in loro non solo un desiderio di autonomia e conquista, ma vederli arrivati a certi traguardi  è oggettivamente un punto d'arrivo. 
Il tutto affrontato a modo loro e con caratteristiche che giorno dopo giorno ne esaltano ulteriormente le peculiarità. La loro diversità mi affascina.
Beatrice che senza colpo ferire, ad esempio, sta a dormire da un'amica. Nessuna nostalgia. Tranquilla e serena. Pare fin troppo autonoma.... in fondo io a sei anni andavo in colonia un mese e scrivevo ai miei di lasciarmi anche quello successivo. 
A casa fa la signorina: sta allo specchio a controllare come si veste, se è tutto ok. Verifica lo stato dei capelli, vuole le scarpe eleganti. Femmina fino al midollo...
Filippo è ruspante. E' pure nella fase logorroica. 
Dà soddisfazione perchè è atletico. Ha un destro mica male, ma più del calcio ama correre, saltare, scavare. 
Non sono le cose in sè: è come le fa. 

Un centimetro e mezzo alla fine sta significando più libertà: per loro e per me.
Quel centimetro e mezzo sta significando tanto...







martedì 12 marzo 2013

Di sera e di mattina

E' Sera.
Ieri sera Bea e Filippo ci hanno fatto una sorpresa: ad un certo punto sono spariti nella loro cameretta. qualche minuto ed eccoli apparire tutti sorridenti e orgogliosi. Si sono messi il pigiama da soli! 
Bella sorpresa! Un tassello in più nella loro voglia di autonomia. 
O più in concreto nel comprendere che in effetti si devono un pochetto arrangiare... ogni giorno di più. 
E in più cose.
Il loro sguardo era proprio bello, soddisfatti e coscienti di averci fatto contenti. 
Orgogliosi. Belli da vedere.

E' Mattina.
Questa mattina invece la scena è stata un po' diversa. Se da una parte il risveglio è sempre un'attentato alla pace del loro sonno (e qui li capisco fin troppo bene), dall'altra il momento del vestirsi è regolarmente una vera e propria battaglia. 
Bea di solito è alle prese con la madre: la vedono in maniera diversa e non se la mandano a dire. La mamma la vorrebbe un po' più casual, Bea preferisce la comodità. 
Di compromessi non se ne parla. Finisce sempre con una vincitrice per la buona pace dell'altra... se la vince Bea, la mamma borbotta incavolata, se la spunta la mamma Bea frigna per mezz'ora.
Filippo, invece, è un caso "patologico". E mi tocca.
Vestirlo può essere uno spasso o un dramma. E il dramma prevale.
Proponi la tuta, vuole i pantaloni. Ma quelli verdi non vanno bene, quelli grigi sono stretti, quelli blu solo se c'è il sole, quelli rossi sono brutti e così via. 
Mantenere la calma è durissima, infatti dopo un'iniziale tentativo di mediazione di solito lo vesto con quanto scelgo io. Piange, ma si lascia vestire, e dopo qualche minuto si tranquillizza.

Sera e mattina... spesso due scenari diversi. Spesso due bambini diversi. 
Sono due bambini molto normali... che si ritrovano due genitori altrettanto in balia dei momenti della giornata: solitamente più tranquilli la sera e spesso di corsa al mattino.
In entrambe le situazioni ci si rende conto che in famiglia dovrebbe prevalere la dinamica del saper accogliere, del saper osservare e condividere il momento per quello che è, senza trascurare i momenti belli, come se fossero "dovuti" e senza esasperare le dinamiche conflittuali pronte ad esplodere in altre circostanze.
E' la continua ricerca della serenità, del giusto esserci. Pazienza, fermezza, accoglienza, gratitudine, attesa, comprensione. Di tutto un po', e sempre.

Di sera e di mattina.




mercoledì 9 maggio 2012

Il sentirsi a “casa” anche lontano da casa

Stasera, papà e Filippo al telefono:
"Ciao Filippo, come stai?”.
“Bene!”.
“Che cosa hai fatto di oggi di bello?”.
“Giocato”.
“E poi”.
“Piantato i pomodori nell’orto con la nonna, mi sono tutto sporcato di terra…e la zia mi ha lavato. Non volevo!”
Silenzio… e in sottofondo sento: “Basta, nonna, vado a giocare”.
Colloquio con figlio in vacanza dalla nonna: durata 20 secondi!
Eppure Filippo a casa è un super coccolone della mamma, ma soprattutto del papà!
Quando è con la nonna in montagna (o con l’altra nonna qui a 200 mt da casa) rivela un lato di sé che mi (ci) stupisce: la sua adattabilità (si dice così?), il suo sentirsi “a casa” anche lontano da casa.
Ogni volta che io e mia moglie lasciamo o Filippo o Beatrice qualche giorno dai nonni o per esigenze particolari o anche solo (come in questo caso) per concedere un momento di rigenerazione fisica in un ambiente più compassato e tranquillo, per qualche momento compare in noi una specie di groppo in gola. Sindrome “d’abbandonamento”? Senso di colpa? Non so.
Per fortuna quello che ci tranquillizza è come i nostri figli sappiano vivere questi momenti con estrema naturalezza, come  non soffrano il distacco. E ci consola il modo con cui vivono -  con estrema gioia -  il ritorno alla propria casa. Forse è questione di abitudine, di sicurezza fornita da ambienti comunque ritenuti molto simili a quello familiare. Probabilmente sta contribuendo molto a questo loro atteggiamento la nostra decisione fin da piccoli di abituarli a stare anche con i nonni, fuori casa per qualche giorno (anche senza particolari necessità o urgenze). Istigazione all’autonomia? Magari esagero, ma sapere di avere bimbi sereni e tranquilli anche fuori casa, comunque rende me e mia moglie molto più rilassati. Il sapere che si sanno staccare dalla “gonna della mamma o dai pantaloni del papà” senza mostrare particolari traumi, ci rende consapevoli di aver favorito in loro un sano spirito di adattamento, mai trascurabile. Possono così scrutare ambienti diversi, fare esperienze nuove.
Allargare i loro orizzonti grazie anche a insoliti e particolari incontri con persone, situazioni e cose diverse. Trascendere per qualche giorno l’ordinario per essere sempre pronti all’eventuale straordinario.  Mi ripeto: la diversità, l’insolito e il nuovo come risorsa e ricchezza e non come minaccia! Sono convinto che non solo “tutto fa brodo” nella loro crescita, ma il “ brodo buono” vada ricercato con attenzione perché diventi per loro nutrimento gradito e quindi non gli rimanga sullo stomaco.

domenica 15 aprile 2012

Voglia di autonomia!

I bimbi questa mattina, ad un certo punto,  hanno deciso di chiudersi in cameretta, da soli: “Papà, mamma possiamo giocare da soli?”. “Va bene – dopo rapido consulto visivo e “approvativo”  con mia moglie -  ma le condizioni sono:  che non distruggiate nulla e che al primo litigio con pianto noi entriamo!”. “Va bene, va bene, saremo bravissimi” replica Beatrice la “caposquadra”. “Saremo bravissimi” le fa  da eco Filippo.  In camera da soli…. In fondo una banale richiesta e una semplice concessione può già far pensare, ma scacciamo ogni ipotesi di preoccupazione.  Partendo dalla filosofia che debbono avere i loro spazi decidiamo quindi di lasciarli fare, pronti ad intervenire al primo pianto. Scommettiamo pure sul risultato: per mia moglie non reggono più di dieci  minuti, io dando (dopo aver consultato furbescamente la quota Snai) più punto su venti: chi perde cucina per il pranzo! Affare fatto.
Invece i minuti passano, dieci, venti, si arriva a mezz’ora e a parte qualche rumorino sospetto, ma non preoccupante, e qualche scontato micro scontro verbale, sembra tutto nella norma. Il primo dato è che mi tocca cucinare perché a scommessa pari si fa secondo consuetudine, vabbè. Il secondo è che stanno reggendo sorprendentemente oltre le attese. Con mia moglie ci gustiamo il momento di pace senza troppi pensieri. Dopo un ora, per non apparire genitori disinteressati,  bussiamo alla porta e loro rispondono in coro: “Non entrate, non è ancora ora di aprire, vogliamo stare da soli!”… Dopo quasi un’ora e mezza decidiamo di fare irruzione. Concordiamo comunque di non giudicare male l’eventuale disordine o di manifestare istintivamente disappunto nel caso ci sia qualcosa di irrimediabilmente rovinato: questo loro desiderio di autonomia va sostenuto. Ma mentre siamo ancora intenti a “stendere il piano di attacco” ecco improvviso il loro grido: “Mamma, papà veniteeee!!!” Con un po’ di timore e tremore apriamo la porta della stanza. La scena  che si presenta ai nostri occhi è apocalittica e bellissima allo stesso tempo. Vestiti e giocattoli ovunque, ma la  SORPRESA è che, sorridenti e orgogliosi, ci stanno mostrando in bella posa  uno spettacolo: entrambi  bimbi sono vestiti (nel senso che si sono tolti il pigiama e si stanno presentando a noi in abiti civili)! Si sono vestiti da soli  con Bea che ha  aiutato Filippo. Hanno scelto i vestiti (probabilmente selezionandoli accuratamente tra tutti quelli che poi distrattamente hanno lasciato sul pavimento) e si sono presentati a noi con un mega sorriso già belli pronti e sistemati. Rimaniamo di fatto senza parole, la loro posa  e il loro sguardo compiaciuto quasi quasi ci commuove… Vestirli spesso è un’impresa ed ora lo hanno fatto da soli! E sono consapevoli di averci dimostrato qualcosa che a noi genitori sta provocando un enorme piacere. Le condizioni pietose della cameretta passano immediatamente in secondo piano, in coro ci viene spontaneo un “Bravissimi!!!”, e la loro risposta è “Abbiamo fatto tutto da soli, siamo stati bravi vero?”!
Non siamo soliti enfatizzare piccole cose, ma questa scena ci ha davvero sorpresi. Da una parte forse stanno cominciando a giocare insieme in modo non necessariamente conflittuale e dall’altra hanno fatto con consapevolezza qualcosa che ai loro occhi è davvero importante… e se lo è per loro perché non lo deve essere anche per noi?




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