Bea e Filippo

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domenica 20 maggio 2012

Effetto Contagio... !

Avevo promesso l'aggiornamento ed eccomi qui!

Bersagli (1)

Ieri giornatona da FestaDellAsilo con tempo clemente, pubblico delle grandi occasioni, bimbi scatenati, maestre felici (e non parevano neppure troppo stanche) e genitori obbligatoriamente sul pezzo.

Bersagli (2)

Per quanto mi riguarda, nelle due ore dei giochi  (con altri quattro intrepidissimi papà.. e non era esattamente una giornata estiva...), mi sono beccato un'infinità di gavettoni... non potevo schivarli proprio tutti! (Ma a Pino ne ho concesso solo uno... di striscio)... per il resto del tempo - rinfresco e il dopo  - ho vissuto momenti molto piacevoli.

Giornata riuscita, non c'è dubbio, con volti sorridenti e soddisfatti da tutte le parti. Va da sè che quello che conta di più, a mio avviso, è ciò che gustano i bambini: sono loro al centro e quindi è fondamentale che siano stati loro a diverstirsi di più. E quest'obiettivo sicuramente è stato raggiunto.

Una giornata come quella di ieri, per come l'ho vissuta e vista,  mi vien da riassumerla in due parole: EFFETTO CONTAGIO. Istintivamente quest'immagine, senza pensarci troppo su, racchiude nel mio immaginario non tanto il senso ma l'effetto di quanto avvenuto.
Il contagio è la capacità di propragarsi di "un qualcosa" (di solito di un virus) in maniera silenziosa, quasi automatica, da una persona ad un'altra. Spesso, quando ci si accorge che un contagio è in corso, è troppo tardi e non si può più far nulla. Questa dinamica l'ho vista ieri, con alcuni "virus speciali" che nessuno è riuscito a contrastare.

Il Super Vulcano fumante!
Il contagio del sorriso. Impegnato com'ero a schivare gavettoni non ho avuto la possibilità di seguire i mei figli in giro per i vari giochi, e neppure - quindi - di osservare ogni lato della festa. Nel mio angolo, però, ho subito notato l'effetto implacabile di uno dei  virus della giornata: il sorriso.

Ho visto sorridere i bambini, i genitori (quelli che giocavano, quelli  che semplicemente guidavano i loro figli) e le maestre. Ho visto sorridere la gente che dal marciapiede vicino, passando, osservava per qualche istante ciò che avveniva. Il contagio è stato rapido e senza sconti: anche tra di noi della zona "gavettoni" s'è creato un "ritorno alla spensieratezza giovanile" che ci ha indotti non solo a coinvolgere i bambini a colpirci (qualcuno appariva un po' intimorito), ma a scatenare -  in certi frangenti -  piccole battaglie con papà e mamme (o maestre) colpevolemente troppo compiacenti della nostra condizione di bersagli...
Ieri si è sorriso davvero tanto. Pare poco?


Bea e Filippo sul Camion dei "Pompieri",
 i super ospiti della festa!

Il contagio del senso di festa: non so se si possa considerate una causa o un effetto, ma a me è parso che tutti siano davvero riusciti ad entrare nel clima della festa, trascinati e contagiati dalla festa stessa. Anche i genitori più compassati o i bimbi più timidi alla fine si sono fatti conquistare. Imparare a far festa non è poi così semplice: vuol dire lasciarsi coinvolgere, non temere di mettersi in gioco, presentarsi con estrema libertà a quanto ti viene offerto.  Ho scorto questo contagio mentre inesorabilmente rapiva tutti, vincendo anche le resistenze di chi forse era lì più per senso del dovere che con il desiderio di un reale coinvolgimento.

Il contagio dell'ambiente. A me fa questo effetto: quando passo dall'asilo respiro l'aria di un ambiente sano. Credo che ciò valga per tutti gli asili, certamente lo percepisco in quello frequetato da Bea. L'effetto che genera un ambiente spesso non è dato solo dall'estetica ma da un intreccio di componenti, soprattutto umane, che rendono l'aria che si respira ricca di positività. Il contagio dell'ambiente è il meno appariscente, ma partecipare ad una festa predisposti dalla simpatia del luogo e delle sue persone permette, più genericamente, all'ambiente stesso di contagiare se stesso e di essere un portatore sano di serenità. Ciò infonde tranquillità, rasserena le menti e, visto che ci sono di mezzo i nostri piccoli bimbi, infonde molta sicurezza. E son certo che se anche qualcosa fosse andato storto, quando l'ambiente è così, non avrebbe cambiato di una virgola la percezione della giornata.

Poca cronaca, ma alcune percezioni personali che mi permettono di sorridere a momenti molto semplici nella loro apparire, ma molto ricchi nel loro essere.








sabato 31 marzo 2012

Saper sorridere!

Quando Beatrice e Filippo erano più piccolini a mia moglie piaceva registrare il suono delle loro risate. Poi ci con calma riascoltavamo i loro sorrisi: sembravamo un po’ buffi, ma ci piaceva un sacco. Il sorriso dei bambini  non solo è contagioso e un vero stimolante! Tanto adoro veder sorridere i miei figli quanto sono insofferente ai capricci e al pianto “finto”. Ma torniamo al sorriso.

Il sorriso per me è (come direbbe Paolo Oreglio) un vero momento catartico: una specie di liberazione e di riappacificazione con tutti e con tutto. Nei miei figli il sorriso mi appare come segno dello star bene, di serenità; è espressione, almeno così mi piace considerarlo, di un animo felice. Nella nostra casa i sorrisi vanno e vengono, ma per fortuna quando vanno riescono a tornare abbastanza rapidamente. Se stanno assenti per troppo tempo ne sentiamo la mancanza! Quando ci sono è come se colorassero ogni stanza, è come se sapessero infondere nell’aria un sapore diverso.
Quando con qualche semplice espediente, il solletico, un gioco particolarmente simpatico, un’espressione buffa ecc. Bea e Filippo si mettono a ridere, ripetono continuamente “ancora, ancora, ancora”, non si stancano mai. Il tempo del sorriso per loro dura sempre poco, e come non dar loro ragione. E le repliche richieste dai bambini sono un segnale da non trascurare: esprimono sempre qualcosa che per loro è speciale!

Senza cadere in retoriche che anche a me non piacciono, sono convinto che  il sorridere sia non solo una necessità, ma molto di più. Non ci vuol niente a trasformare tutto quello che ci circonda in minaccia e gli altri degli inconsapevoli rivali.  Ci si costruisce un  pensare  negativo a prescindere. Questo approccio alla vita, a lungo andare, la rende una specie d’inferno:  ci si costringe a vivere sempre e solamente sulla difensiva. È il dramma (almeno per me è così) dell’autoreferenzialità.
Saper sorridere, saperlo fare di sé o con gli altri, significa, invece,  essere in grado di apprezzare qualcosa che è oltre noi, significa riconoscere che è possibile star bene e che questo può non dipendere solo da noi, ma esserci offerto in maniera inattesa anche da altri.
Quando mia moglie mi dice “uffa, è da un po’ che non mi fai sorridere”, mi allarmo … che cavolo mi sta succedendo? Sono i periodi in cui permetto alle esperienze negative (che ci sono, non lo si può negare) di averla vinta. Magari ci metto un po’, ma fortunatamente mi so riprendere: non so stare senza sorridere (e far sorridere!).
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