Bea e Filippo

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mercoledì 23 ottobre 2013

Papà ... ma prima figlio!

Si diventa genitori nella gioia, nella bellezza del generare e amare i propri figli. Nella fatica quotidiana del crescerli, con gli alti e i bassi nel riscontrare che non sempre rispondono alle attese dei genitori: fanno casino quando non devono, si picchiano (tra fratelli è quasi una regola…), non ubbidiscono o non ascoltano, fanno a se gli chiedi b e viceversa. Ma sanno sorprendere, spesso. Nel loro essere unici. Nel farti sorridere, e amare d’averli con te. E’ tutta una giravolta di esperienze dove spesso la regola è l’imprevedibilità, quella che nei bambini è molto più vera della nostra, quella adulta. Un po’ assopita.
Si diventa genitori, dicevo (stavo divagando lo so…) – e nel caso specifico papà -   mica all'improvviso. C’è tutta una storia che non può essere messa sotto uno zerbino. E’ la storia della nostra vita che ci ha visto, come prima tappa fondamentale, assumere e vivere in pienezza la condizione di figli. Sono stato figlio… e lo sono ancora, per la verità.
Ma “figlio, proprio tanto figlio” lo sono stato da bambino e da ragazzo. Un po’, anche da giovane: insomma fino a quando sono stato dipendente dai miei genitori. Una dipendenza che si è evoluta nel tempo,  ma che nelle sue forme diverse mi ha accompagnato per molti anni.
Guardo i miei di figli. Sono ancora piccoli. Non riesco a  non riportare la mia mente alla mia esperienza di figlio e ogni tanto mi chiedo: ma io che figlio sono stato? Li vorrei come? O meglio lasciar perdere?
Diamo spazio alla memoria. Fino alle medie ho navigato nella zona medio bassa della classifica dei ragazzi bravi, sempre sull'orlo della retrocessione. Non ero un teppista, ma neppure un santerello.
Da una parte me la cavavo a scuola (voti buoni), ma  rispetto al comportamento è un altro discorso. In prima elementare presi ben 6 note (il massimo della classe). In terza media conclusi il percorso con una visita dal Preside. Lingua lunga … troppo, nel bene e nel male. Pure a catechismo mi misero qualche volta fuori dalla porta. Vivevo nel regno dorato di un paese della Valle e quindi in casa non ci stavo praticamente mai. A giocare con gli amici: all'oratorio, nella via, nei cortili. Facevamo mille cose, anche un sacco di “stronzate” (che non elenco per non generare emulazioni spiacevoli). In casa facevo la parte “del cane”, “il gatto” era mia sorella: spesso le mani addosso. Era più forte di noi. Ricordo la mamma che ci sgridava. O gli sguardi di mio padre… a lui bastavano. Ai miei ero molto attaccato, ma non mi pesava il distacco. Da loro ho ricevuto e imparato tantissimo, anche quello che non insegnerò ai miei figli. Fa parte della vita anche questo.
Ero sereno. Non si navigava nell'oro, ma non ricordo rinunce particolari: con gli amici ci si faceva bastare quello che c’era. E ci si divertiva. Mi fermo a quest’epoca, perché il parallelismo è funzionale all'età dei miei bambini.
Lo vorrei come me? Mi ci rivedo? Per me non è questo il punto: io sono io e loro sono loro. Siamo e saremo diversi.
La questione è un’altra: vorrei ricordarmi più spesso come ero io. 
Vorrei farlo riportando nel mio presente le volte che  non ascoltavo, che facevo cavolate o  disubbidivo e deludevo i miei genitori … ma anche quando mi impegnavo, ne azzeccavo qualcuna o riuscivo davvero bene in qualcosa. 
Vorrei ricordarmelo per garantirmi da una parte uno spazio di tolleranza (e di incoraggiamento) di fronte a ciò che mi fa arrabbiare o mi spazientisce. Ma anche per tirar fuori da me gli stimoli perché loro affrontino le cose con serenità e lo spirito giusto (quello positivo e costruttivo). Se spesso ci sono riuscito io ce la possono fare anche loro.
Vorrei ricordamelo di più per non correre il rischio di pretendere da loro riconoscimenti funzionali a me… e non a loro. Il loro futuro è importante, non (solo) il mio  - e nostro -  presente.
Vorrei ricordarmelo perché nel gioco intricato della loro crescita il binomio dipendenza/libertà venga vissuto nella logica del rispetto e dell’amore, non in quella del non avere “fastidi”.
Da papà non posso non intrecciare questi pensieri per accogliere quanto  vissuto da figlio perché mi aiuti ad essere padre.

Un buon padre.

martedì 9 ottobre 2012

Presente e Ricordi

Forse certe cose non si devono più fare. Non lo so.
Domenica ho portato i mei bimbi, con alcuni amici a raccogliere castagne.
Ho scelto i luoghi della mia infanzia, i boschi dove da bambino passavo ore con mia nonna e con mio padre.
Ho ripercorso itinerari conoscevo a menadito... un tempo meglio, ma la memoria regge ancora.
Era davvero da tanto che non mi rimmergevo con calma in questi luoghi.
Tanta familiarità. Tante Esperienze.
Belle e spensierate e anche faticose.
Ho incontrato dei mei parenti alla lontana che terminavano la vendemmia. La vendemmia: bellissima! Per me indimenticabile.
Addirittura una cugina di mio padre mi ha detto che "sembro ringiovanito".
Abbiamo mangiato davanti alla chiesetta di una piccola frazione disabitata, su un tavolino in pietra costruito da mio padre almeno 30 anni fa con il mio aiuto.
Era caldo, si stava bene. Anzi benissimo.
I colori non erano ancora quelli autunnali, ma i profumi quelli sì.
Uva, castagne, fichi, funghi, noci... muffa.
Bimbi scatenati, contenti, allegri, liberi, spensierati.
Completamente a loro agio.
Si sono lasciati conquistare da cose semplici e le hanno lasciate entrare, senza barriere, in loro.
E così hanno gustato i luoghi e il tempo. Se si è liberi è facile.
Pure io contento per loro e con loro.
Ma quanti ricordi. Di volti che non ci sono più.
Di momenti unici. Di un mondo passato, lontano.
La natura non passa, si ripresenta e ti ripresenta i suoi cicli, i suoi frutti, i suoi odori.
Lei aiuta a fissare i ricordi. Per fortuna non tradisce.
A due passi dal mondo che ha corso avanti davvero in fretta, lì sembrava che tutto si fosse fermato.
E il mio parlare, per molti momenti della giornata, è stato quello di un vecchio... sembravo mio nonno.
"Qui ho fatto, qui ho detto, lì con mia nonna, là con mio papà...Ricordo che una volta... e così via".
Mi sono ripigliato sul tardi.
Tornando in città la mia mente era ancora rapita dai quei ricordi. Non riusciva a liberarsi. Tanti ricordi.
Di chi non c'è più.
Contento e malinconico, pensavo.
Tutti domivano in macchina... ed io mi tornavo a quel mondo..
Forse certe cose non si devono più fare.
O forse sì, senza paura dei ricordi. E di se stessi.

martedì 26 giugno 2012

Canada, non ci hai deluso!


Vancouver

Lo prometto, mi  prendo solo una seconda licenza storico-biografica. L’ultima (...fino alla prossima). Ma sono i pensieri che mi girano in testa in questa serata. Dopo il taglio della torta tanto amata da mia moglie (hi hi hi), ci fu un’altra giornatona in compagnia degli amici e poi, il giorno dopo, il classico e fatidico viaggio di nozze. Meta: Canada, costa Ovest. Da Vancouver ai parchi del Banff e del Jaspers,  fino all’isola Victoria. A caccia di paesaggi nuovi, di orsi, balene e orche. Undici ore di volo, la mia prima volta così tanto… non passava mai.
Il Jaspers

 Ed eccoci in Canada. Per certi versi mi sono sentito quasi a casa: fresco, pini, tanti pini, verde da tutte le parti. In una casa però molto più grande, anzi troppo grande. Il Canada: ma quanto cavolo di spazio ha? Distese infinite di boschi, strade lunghissime con tre macchine in croce: tutto grande. Le auto, i parcheggi, i lodge, i piatti di cibo, gli animali: cervi grandi, scoiattoli grandi, orsi di razze più grandi. Ghiacciai immensi, distese d’acqua in ogni angolo. Tutto grande e libero. A suo agio, al proprio posto. Silenzioso, calmo, tranquillo, lento. Quella parte di mondo così lontana, così moderna, ma così fuori dall’ordinario. La natura che confina con la tecnologia delle grandi città: si sfiorano e sembrano neppure darsi fastidio. In pochi chilometri incontri le balene, accarezzi e cervi e spii senza farti notare troppo gli orsi.
 La grandezza dell’oceano che scruta l’elevarsi di montagne maestose non tanto in altezza quanto in dimensioni. Ci lasciammo avvolgere da questo mondo riconciliato con se stesso che ti permette di dormire con un’aquila da collo bianco sulla tua testa, una foca che nuota tranquilla a pochi metri nel mare che accarezza l’alloggio e una marmotta che silenziosa e placida fa la guardia perché nessuno disturbi. Tutto vero. Tutto osservato con lo stupore di chi queste emozioni, nel nostro mondo così pieno di gente, non le ha mai provate. Macinammo km con nostro Pk Ford F150 (sembrava un camion!) : mai una coda, ma un problema d’orientamento, mai il timore di perderci. Novelli sposi felici di essere insieme in quel luogo così riconciliante. L’emozione più grande: l’improvvisa comparsa di una balena a pochi metri dalla barca. Dopo tre ore di vento gelido, pioggerellina antipatica, nonostante avessimo avvistato un simpatico gruppetto di orche, un po’ delusi ci eravamo rassegnati a non vedere balene. Invece ad un certo punto ecco lo schizzo d’acqua e la coda che si alza imperiosa! Uno spettacolo.
Caro Canada, non ci hai deluso: non sapevamo benissimo che cosa ci aspettasse (le guide le leggo poco per non generarmi illusioni). Sapevamo con certezza che non avremmo trovato né l’arte né il caos. Ma quello che ci hai offerto in quei giorni è stato tanto: ti sei mostrato per come sei.
Una specie di gigante buono che accoglie tutti, mostrando semplicemente se stesso. Con chi ci vive! Canada, torneremo: con Bea e Filippo! Ne vale la pena!

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