Bea e Filippo

Bea e Filippo
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martedì 6 maggio 2014

Figli costosi e inutili!

Il Censis è spietato. Ha studiato le ricchezze degli italiani e alcune dinamiche rispetto alla gestione dei redditi. Il CDS ne ha descritto i risultai in questo articolo: "I dieci italiani più ricchi possiedono quanto 500.000 operai"
Ma dell'articolo quello che mi ha colpito maggiormente è stata la parte finale introdotta così: "Il secondo figlio raddoppia la possibilità di diventare povero". Immagino che un'affermazione del genere non si riferisca ai 10 italiani più ricchi, che probabilmente di figli ne potrebbero fare una vagonata senza problemi. Riguarda il il resto... che pare sia molto più ampio.
Ma torniamo ai figli: il secondo è un casino, col terzo il default è dietro l'angolo. Anzi, quasi certo.
Non ci sono cazzi: fare figli è stupido, inutile e dispendioso. Come cavolo ce lo devono far capire? 
Infatti una coppia senza figli, dice sempre il Censis, riduce sensibilmente il rischio di indebitamento per mutuo, bollette, affitti, rette di sta cavolo di asili nido, baby sitter, ecc.

Il figlio è una (o due o tre o quattro)  bocca in più da sfamare, un corpo da vestire, un insieme di bisogni da soddisfare. Un certo numeri di vizi certificati che non si possono eludere. I figli sono rette da pagare, spazi in più da occupare, tempo da riempire in vario modo. Ogni loro vagito, ogni loro respiro è un costo. Se poi crescono, azz.., il vortice assume contorni drammatici: corsi, feste, vacanze, vestiti, giochi elettronici, cultura, salute.

La soluzione però si staglia con una chiarezza abbagliante davanti ai nostri occhi: basta figli! 
Si risolverebbero una marea di problemi: 
- la disoccupazione: meno figli, meno potenziali rivendicatori di un posto di lavoro
- la bamboccionite: niente figli niente bamboccioni parassiti incagliati nelle case di papà e mammà!
- i debiti: senza figli una giovane coppia si può far bastare un tranquillo bilocale e quindi non è costretta a implorare un mutuo. a questo punto non necessita di un lavoro stabile: può benissimo accontentarsi del lavoro precario a vita! Che pacchia!
- i consumi inutili: niente cameretta, game boy, play station, passeggini o carrozzine, pannolini, tricicli o monopattini, bambole, libri dei dinosauri.
- le scocciature: niente asili, scuole, cartelle, quaderni, colloqui con le insegnati, compiti, niente sport (corsi di nuoto, di danza, scuole calcio del cavolo o giù di lì), pediatri ecc.
- l'illegalità: niente baby sitter in nero, ripetizioni pagate sottobanco agli stessi prof  che impongono recuperi lampo.

In fondo uno stato migliore, più ricco, più sereno.
Per incentivare questo implicito invito a non fare figli chiederei a Renzi di applicare da subito una patrimoniale speciale (non saprei come chiamarla): chi fa il secondo figlio viega ridotto immediatamente in povertà, senza passare per l'inutile agonia dell'impoverimento progressivo. Certe scelte devono essere radicali!
Quoziente familiare? Ma chi rompe le palle con queste proposte anacronistiche, idiote e illusorie? Bisognerebbe espellere questi dal parlamento! Subito!

Purtroppo io faccio parte di quei cretini che hanno il secondo figlio! Appartengo ad uno stato che però nella sua lungimiranza me lo sta facendo pagare ed in futuro probabilmente mi aiuterà a peggiorare la mia situazione. Ben ci sta (ci metto anche mia moglie)!

L'Italia merita un futuro radioso: che diventi il  Paese dell'invecchiamento sereno, tutelato e valorizzato. Che gli asili vengano trasformati in residenze per anziani. Che le scuole in circoli ricreativi per il tempo libero dei cassaintegrati o dei pre-pensionati.
E quel cazzone di Renzi (ma si facciamo fare tutto a lui) che ha parlato di rottamazione se ne torni a cuccia. Ridiamo i posti a chi se li merita, a chi ha aperto orizzonti di futuro alla nostra Italia. 
Anzi che si faccia immediatamente una legge: tutti i posti di responsabilità debbo assolutamente essere affidati a persone sopra i 75 anni. E i genitori che hanno più di un figlio (e non sono tra i 10 più ricchi d'Italia) devono essere assolutamente inibiti sia a qualsiasi posizione dirigenziale che a cariche pubbliche rilevanti.
Mettiamo le cose a posto!

E' giusto così!
Lo dice il Censis!







giovedì 6 febbraio 2014

Di arrabbiature e no ...

Condivido "a casa mia" due estratti di articoli pubblicati sul magazine On Line I Nuovi Papà.

Sono due temi a cui sono molto legato. Perché toccano la mia vita quotidiana e a volte smascherano difficoltà reali di coerenza  rispetto alle piccole scelte che sono costretto a fare.
Sono temi allo stesso tempo normali e complessi. Per il presente e di prospettiva. Uniscono e dividono. Pacificano e causano piccoli conflitti.
E mi fanno riflettere. Son fatto così, che ci posso fare?

Sto parlano di alcuni no detti ai miei figli per aiutarli, almeno questa è la mia intenzione, a crescere rispetto al loro grado di autonomia. 


Ebbene sì, ogni tanto i miei figli me lo chiedono. Forse che mi travesta di uomo crudele e indifferente ai loro bisogni? Forse che mi diverta, ogni tanto, nel vederli in difficoltà alle prese con qualche richiesta specifica, subdolamente imposta?
Non mi sembra, ma questo “perché” nasce da un dato di fatto: non è semplice abituarli all'autonomia.
E quando ci si prova i primi ad obiettare sono proprio loro. Sì quegli stessi bambini, e mi riferisco proprio ai miei figli,  che se da una parte, in altre circostanze (soprattutto precedenti), rivendicavano proprio il “poter fare da soli”, in altri frangenti chiedono aiuto. Un supporto che faciliti, richiesto o per pigrizia o per oggettiva difficoltà. O semplicemente come compagnia rassicurante.
Il problema, però, non è la domanda, apparentemente stonata: come, un papà che non aiuta i propri figli? Ma la risposta: come comportarsi? E’ giusto, opportuno, utile offrire sempre il proprio aiuto o, in certi casi, è più educativo lasciare che se la sbroglino da soli?
La casistica è davvero varia, non solo quella legata agli episodi con protagonisti i bambini, ma soprattutto quella che ha messo in gioco le mie certezze o i miei sentimenti di papà.
Per un certo periodo (che non si è del tutto concluso), e in relazione a determinate situazioni, molto forte è stata in me la tentazione di “fare cambio”. Il desiderio di sostituirmi a loro.

Sto parlando delle mie arrabbiature... quelle che che fan parte di una relazione (la mia di certo) con i propri figli. Quelle che se esistono avranno un perché ... non sempre corretto, però.


“E me lo chiedete pure? Vi lascio un minuto da soli e vi mettete la mani addosso. Vi chiedo di rimettere a posto i pennarelli e vi trovo a lanciarvi cuscini. Vi invito gentilmente ad andare a lavarvi i denti e vi viene in mente di svuotare la cesta dei pupazzi! 
Come faccio a non arrabbiarmi? E sempre poi a scaricare le eventuali colpe sull’altro: è stata la Bea! No, è colpa di Filippo. Mi ha colpito per primo, no, ha iniziato lei! Sapete simulare meglio dei calciatori! A me non piace proprio arrabbiarmi. Se alzo la voce, se mi esce la faccia da cattivo, se parto col pippotto che vi ricorda quello che dovevate fare e non avete fatto, il perché e il per come ci si deve comportare in un altro modo … arrivare a questo punto mi irrita. Mi da fastidio. 
Perché mi arrabbio? 
Non tanto perché vi vorrei perfetti, ma ogni tanto sembrate voler fare il contrario di quanto richiesto. E ci resto male, mi sembra sempre di contribuire a creare un clima di tensione che non sopporto. Dovete ammettere che non arrabbiarsi mai è impossibile. Come si fa? Ditemi voi! Ma anche voi vi arrabbiate: se vi dico qualche no, a volte sembra cascare il mondo. 
Ma torniamo alla vostra domanda: insomma, dovrei continuamente far finta che non sia mai successo nulla, che il disubbidire sia sempre accettabile o comunque un comportamento naturale e accolto senza problemi. Ubbidire, non esageriamo, che poi mica vi do’  ordini da caserma. 
Vi chiedo (anzi, io e la mamma vi chiediamo) il minimo sindacale. Più che ordini sia chiamano memo di comportamenti alla base della convivenza civile: non picchiatevi, sistemate, lavatevi, vestitevi, non allagate il bagno, provate ad allacciarvi la scarpe da soli, mangiate sui piatti per non sbriciolare da tutte le parti, non buttate i vestiti a terra, ecc. Siamo ben al di sotto anche dei 10 comandamenti. 
Suvvia, avete pure di che lamentarvi? Perché mi arrabbio? Perché nonostante tutto spesso fingete di non sentire. Vi sembra del tutto naturale fingere di non aver capito. Non sempre, lo so, ma spesso ci cascate. Perché in certi casi è davvero complicato farne a meno. Alzo la voce: mi impongo e vedo che capite che dovete cambiare registro. Lo capite perché non siete stupidi... e lo fate. E’ chiaro?”
“Papà, però tante volte non ti arrabbi e noi poi ti ubbidiamo lo stesso? E allora perché ti arrabbi?”
... continua Qui

martedì 19 novembre 2013

Parigi, ritorno e progetti

Tornati da Parigi. Famiglia riunita. Tutto è ripreso con i ritmi soliti... un po' troppa pioggia, forse, ma passerà.
Parigi rapisce sempre. Ma devo essere sincero... atterrato a Milano, ho come dovuto riprendere fiato. Riacquistare confidenza con la mia dimensione. Perchè là è tutto grande. Molto grande.
I palazzi storici o di valenza nazionale, i musei, le strade, la metropolitana.
Questa grandeur palpabile in ogni angolo. 
Sti francesi, dove hanno potuto, hanno davvero fatto le cose giganti.
E pensare che i vari Luigi, e Napoleone stesso, erano dei tappi. Sarà stata una specie di rivalsa?

Parigi rapisce non solo per le cose da vedere - c'è proprio di tutto -, ma anche per il suo essere viva anche "fuori stagione". Per la moltitudine di colori: delle persone e negli sfondi cittadini. 
Per una vitalità culturale che si respira davvero in ogni angolo. 
Per i profumi. 
Per  il riuscito connubio tra passato,  presente e futuro.
Ha pure le sue gatte da pelare... la miseria  - in certi angoli - è palpabile quasi quanto il benessere.

Da domenica sera, però,  mi ronza in testa questo pensiero che esprimo ad alta voce: "Viaggiare senza i propri figli, ti fa venir voglia di farlo con loro".
Girovagando tra musei e monumenti a me e mia moglie venivano spontanee affermazioni di questo tipo "Questo sarebbe piaciuto un sacco a Bea.... Qui Filippo si sarebbe divertito un tantissimo... Se venissimo con i bimbi dobbiamo prevedere questo. Lì si può andare, di là meglio di no....". 
Ci immaginavamo con loro. Ed erano bellissime sensazioni.

In giro da soli, è vero. Con tutti i benefit del caso.
Ma con i bimbi bene in mente, non tanto per l'ansia di averli a casa, ma nei progetti di quanto poter fare con loro. I tuoi figli non ti mollano, ti lasciano libero incerti momenti, ma non si riesce a pensare avanti senza di loro.
Come non immaginare di condividere la bellezza del viaggiare, dello scoprire luoghi nuovi, affascinanti e unici?
Come non fantasticare su occasioni di scoperta, di piccole avventure?
Come non ritenere un vero regalo da fare quello di aprire gli orizzonti dei "mondi nuovi", delle città più importanti, dei confini da superare?

Insomma ce li immaginavamo per le vie di Parigi, di Barcellona, di Berlino, di Londra, di Praga (le città che amiamo di più), accanto a noi a osservare, commentare, domandare... ci vorrà tempo. E un po' di spending review, ma ce la faremo.

Speriamo a breve...

mercoledì 13 novembre 2013

Parigi e ... distacco

L'ultimo è stato 2 anni fa... (o 3?)... non ricordo con precisione. A Berlino, ponte di S. Ambrogio. Bello.
Venerdì invece si va a Parigi. Soli. Io e la mia dolce metà. Un viaggio in cantiere da un sacco di tempo. Messo in agenda come desiderio di prenderci uno spazio nostro. E si partirà.
I bambini al "sicuro": Filippo in Valtellina: "Papà, mi raccomando non venirmi a prendere prima di domenica, voglio stare qui almeno una settimana".  Chi "lo ammazza quello"? Lui sta pacifico in Valle: gioca con cugino e amichetti, si fa coccolare dalla nonna, dorme quanto gli pare... si riossigena. 
Bea invece, sotto la supervisione della nonna Renata, sarà ospite da due amiche: "Mamma, ma quando andate a Parigi, così che io vado da Sara e Chiara due giorni?". Spavalda pure lei, di fatto s'è praticamente organizzata da sola.

Noi partiremo tranquilli. Lo eravamo anche 2 inverni fa (mi sono ricordato: Berlino 2011), ma adesso un po' di più. Sono i bambini stessi che ci rendono sereni. Ce lo dicono e lo leggiamo nei loro volti.
Questi distacchi, seppur brevi, sinceramente mi pesano sempre meno. Nel senso che non mi causano più ansie o preoccupazioni. Nella loro crescita si sta facendo spazio non solo una certa capacità  di rimanere sereni lontani da noi (con i nonni o da  amici), ma anche quel pizzico di autonomia che rende il distacco un'esperienza... e non una penitenza.
Altre volte ho accennato a questo tema, nel contesto della nostra famiglia. Rimane sempre vivo il mio desiderio che in loro cresca una certa autonomia. La speranza che possano sentirsi a loro agio anche con altre persone. Questo per loro, anzitutto. 
Non so se si tratti di una questione di carattere personale, di attitudine. O abbia contribuito una certa abitudine a stare fuori di casa che fin da piccoli abbiamo cercato di condividere con loro.
Sta di fatto che Bea e Filippo non vivono come un dramma lo stare un poco lontani da mamma e papà. Mamma e papà riescono quindi a "sopportare" queste parentesi senza ansie o drammi. Possono godersi momenti tutti loro proprio perché Bea e Filippo sono così. a
Tutto questo non pregiudica l'unità familiare, né la rende meno solida. Né allarga le dinamiche inserendo progressivamente situazioni di lontananza che saranno poi il destino che la vita riserverà. Senza enfasi. Ma con i riconosciuti benefici. Posso chiamarla fortuna?

Parigi, arriviamo!

martedì 19 marzo 2013

Diventare Papà

.... in occasione della festa del papà mi "riprendo" un post che ho scritto qualche tempo fa per IpadMamma.

Nessun fulmine a ciel sereno. Bea e Filippo sono figli voluti, cercati per dare “compimento” alla nostra famiglia. 
Che parolone. Ma non saprei come esprimermi in modo diverso. Ma una famiglia non è un’entità astratta: c’è una mamma, un papà, e i figli (uno o di più non importa).
Ed io sono il papà.
Non sono nato papà, lo sto diventando.
La nascita di un figlio per quanto attesa, desiderata, destinata al contesto migliore che si possa offrire, genera un piccolo sconvolgimento esistenziale. Per me è stato così.
Quella creaturina (prima Bea e poi Filippo) che ho cominciato a prendere in braccio, in modo quasi impacciato, pochi istanti dopo la sua nascita, ha aperto orizzonti nuovi.
Diventare padre è stata anzitutto un’emozione enorme. Di quelle che non si scordano per il resto della vita. Di quelle che stupiscono. Che commuovono.
E’ stato una specie di nuovo inizio: i figli il tuo mondo un po’ te lo ribaltano. Cambiano i tempi, i ritmi, le priorità, la prospettiva sulle cose… non necessariamente ti cambiano dentro, ma fuori eccome. Ma se cambi fuori, un poco alla volta cambi anche dentro.
Diventare padre ha voluto dire cominciare ad imparare, e in fretta, una marea di cose. Senza libretti d’istruzione. Non lo si fa da soli… con mamma accanto.
Ma il cammino, per quanto bello e affascinante, non ammette deroghe: è un continuo fare e apprendere. I figli crescono in fretta ed in fretta si deve cliccare il tasto “aggiorna”… altrimenti si perdono i pezzi.
Paradossalmente diventare padre significa da una parte rallentare certi ritmi, usare il tempo che ci vuole per fare anche le piccole cose, e dall’altra tutto va capito in fretta perché il tempo dei bimbi è lento nel fare, ma è veloce nel passare.
Come dicevo pocanzi mi sono buttato in questo nuovo inizio ed ora, rivedendo il percorso compiuto con due bambini che ora hanno 3 e 5 anni, mi accorgo che ti riscopri padre vivendone l’esperienza giorno per giorno.
Andiamo al sodo.
Diventare padre è stare accanto a loro, osservarli, metterli al centro ma non troppo (… c’è la moglie, mica lo dimentico … a molto altro che non scompare), tendere la mano e lasciare fare, abbracciare e richiamare.
Diventare padre è giocare con loro, preoccuparsi e sorridere, ascoltare e spiegare. E’ prendersi il tempo e concederlo, anche quando è poco. E’ andare oltre le apparenze per generare libertà e autostima.
Diventare padre è arrabbiarsi, e pentirsi per i modi o le ragioni. E’ palpitare per le prime volte e sorridere per gli impacci delle seconde.
Diventare padre è proteggere, ma non assillare. E’ vivere con loro, non al posto loro. E’ progettare e ripartire da capo, senza rimpianti.
Ci sarà molto di più. Lo so.
C’è certamente molto di più.
Ma è un diventare… e quindi le pagine da scrivere sono ancora moltissime.

lunedì 18 marzo 2013

In fondo è sempre tempo di esami...

Sono sposato da oltre sette anni e padre da cinque anni e mezzo (da tre anni bi-padre) e confesso che la presenza di Beatrice e Filippo ha radicalmente cambiato la mia vita. E quella di mia moglie. Insomma la nostra. 
La nostra vita di famiglia ha dovuto riprogrammarsi totalmente: sono cambiati i modi di gestire le amicizie, di vivere il lavoro, di organizzare il tempo, le vacanze, gli hobby e così via.
In certi momenti affermerei che tutto è cambiato in meglio, in altri un po' meno.
Il più delle volte mi limito a registrare il cambiamento come una fase diversa della mia vita, una fase che se da una parte è uno sbocco voluto del nostro matrimonio (non l'avevamo mai immaginato senza figli) dall'altra è semplicemente nuova e profondamente diversa,  arricchita da due splendidi bambini!
Comunque un dato è certo:  i bambini sanno arricchire, spesso inconsapevolmente, il bagaglio esperienziale dei loro genitori (il mio di sicuro), rendendoli alla fine molto più preparati ad ogni evenienza.
I bambini, sono una vera scuola di vita. Anzi  di più, sono una specie di interrogazione continua dove non sempre l'aver studiato paga... a volte ci vuole intuito, fortuna, abilità, e pure un po' di scaltrezza!
Ma alla fine si impara un sacco. Le novità, le situazioni che loro ti mettono davanti, oggettivamente ti rendono un po' più ricco. Sempre po' predisposto alle successive interrogazioni.
Ogni tanto mi diverto semplicemente ad elencare "il di più scoperto" grazie a loro. A volte cose semplice, molto terra a terra,  in altri casi simpatiche.  Spesso decisive per il dopo. Quasi sempre nuove, almeno per me.
In ordine sparso, così quasi per diletto, metto sul piatto qualche tassello di vita che  grazie a loro ho imparato. Per esempio ho scoperto:
  • che esiste un alimento che si chiama "crema di riso, mais e tapioca"
  • che cambiare il pannolino ad un maschietto, almeno all'inizio, è molto pericoloso ("l'idrante" va preventivamente posizionato)
  • che quando si sta via qualche giorno, qualsiasi auto tu abbia, è sempre troppo piccola
  • che lo "spasmo  laringo faringeo" è una brutta gatta da pelare
  • che leggere le favole è bello... ma non si può "barare"
  • che le malattie vengono incubate all'asilo tra il giovedì e il venerdì e si manifestano regolarmente il sabato e la domenica
  • che quanto hai fretta a loro non frega nulla...
  • che esistono la Pimpa, Dora l'esploratrice, il Pirata Jake, Angelina ballerina, Il magico mondo di Ben e Holly eccccc.
  • che le vacanze, per i primi anni,  è meglio chiamarle semplicemente "cambio d'aria"
  • che i bambini al mare fino ai tre anni è molto meglio che ci vadano con la nonna
  • che le tappe infantili si chiamano "inserimento": sempre e dovunque... il distacco è temuto  più del "nuovo" (e pensare che Beatrice dopo il secondo giorno d'asilo diceva alla mamma "ma perché stai qui anche tu?")
  • che il tuo fisico regge anche alla riduzione drastica della ore di sonno... 
  • che gli amici non ti fanno più regali ("avremmo pensato a qualcosa per i bambini")
  • che nonostante si predichi il pacifismo tra fratelli si menano...
  • che la pazienza non si compra... 
Si potrebbe continuare quasi all'infinito.
Quante esperienze si vivono senza la necessità di frequentare master costosissimi. Basta far tesoro della vita, della presenza dei bambini: il loro esserci impone attenzioni, ragionamenti, scelte, razionalizzazioni, pensieri... di tutto un po'. Un minestrone esistenziale che ti trasforma...
In questa scuola di vita gestita dai miei figli comincio a superare le prime classi.... mi pace andare avanti e comincio a temere le impegnative materie future (scuola, preadolescenza ecc.).
Mi sa che mi conviene mettermi a studiare!!!

giovedì 7 febbraio 2013

Padre peluche? Ma è una malattia?

Tempo fa lessi quest’articolo: I grandi siamo noi, dimenticarlo costa caropubblicato su la 27esima ora, del Corriere della Sera.. Lo commentai rapidamente, ma quelle righe scritte mesi fa ogni tanto mi ritornavano alla mente. A freddo,  in questi giorni l’ho ripreso. Riletto con calma. Qualcosa non mi tornava rispetto al giudizio globale della famiglia, dei papà, della nostra generazione, insomma. 
Non che non ci siano osservazioni e pensieri condivisibili, per carità, ma è il sottofondo che non mi quadra. 


In generale credo che sia un errore strategico (o una tattica?) quello di far diventare alcuni esempi di comportamento strumenti base per costruire un fenomeno. Studiare i comportamenti non è semplice ma l’orizzonte di riferimento dovrà contare un poco? Mi piacerebbe davvero capire, non tanto le basi teoriche di certe ipotesi socio pedagogiche, ma le fondamenta numeriche sulle quali si fondano per definire un fenomeno. Che ci sia molta tattica? Che gli orizzonti siano funzionali a far cassetta? Non pensar male … suvvia.

Molti atteggiamenti errati di noi genitori (spesso circostanziati, con mille concause – compreso il nostro limite oggettivo – ) non sono, a mio avviso,  necessariamente segno di una generazione di genitori “sbagliati”. Partiamo con i confronti? Il passato era meglio? Anzi: quali modelli esistono? Dove è il giusto o il perfetto? Ogni genitore si porta dietro e dentro  scelte, consistenza etico morale, consapevolezze educative, voglie, desideri, sogni, fragilità e doti che non si è inventato, ma che almeno in larga parte ha visto nascere in sé nella sua storia. Una storia in parte consegnata dal passato e dalla propria famiglia, in parte plasmata a pennellate irregolari dalla società e in parte costruita con le proprie forze e scelte. E’ così per tutti e lo sarà anche in futuro. Le presunte (e spesso vere) debolezze dei genitori a volte sono le stesse di una società che si sviluppa  nell’intreccio di mille fenomeni che cambiano le generazioni. Anche quelle dei professori, dei sociologi, degli psicologi. Quelli che si definiscono esperti. Che da una parte fanno i consulenti a certi personaggi perché sfruttino queste debolezze (e ne inducano altre) e dall’altra pontificano sulle generazioni dei papà peluches (e poi di peluches ce ne sono un'infinità... anche quelli che non si accarezzano tanto volentieri).
Ma un genitore non perfetto ha bisogno di un esperto inteso come psicoterapeuta o psicologo? Ma la presunta imperfezione educativa è una patologia? Se è virtù per un politico, perché è debolezza per un papà?

I genitori (mamma e papà insieme) la loro storia se la costruiscono insieme, aggiungendo tasselli, scelte sbagliate e giuste. Esperienze ragionate o intuizioni del momento. Comunque nuove e diverse, poco inclini a lasciarsi categorizzare,  sia perché diversi sono coloro che le compiono sia perché unici sono i destinatari-ricettori: i bimbi. E loro non sono automi … sono unici, difficili da decifrare a volte, da plasmare, da capire. Sempre buoni da amare … ed questo il bello e l’unicità di questa  avventura. Questi manuali aiutano? Servono?
Personalmente ho iniziato a leggerne alcuni, ma dopo poche pagine li ho miseramente mollati. Non riesco a lasciarmi entusiasmare. La colpa è mia: potrei davvero essere un papà peluche.
Sono certo che alcune intuizioni frutto  di attenta e scrupolosa osservazione di fenomeni siano intelligenti e aiutino a  riflettere … ma osservare è più semplice … il difficile è il dopo.  Passare alla pars costruens. Senza generalizzare e senza logiche universalistiche.

Da un anno mi sono messo, riflettere, “giocare con pensieri e riflessioni” sulla mia esperienza di padre. Ho letto molto (soprattutto di altri blogger nella stessa barca), ho pensato molto e ho scritto anche tanto (non vuol dir nulla, ma pare che scrivere faccia figo, a prescindere). 

Ho capito che trovare ricette universali non è semplice, se mai esistano, perché noi uomini (per fortuna) non siamo identici e non siamo così facilmente classificabili. Come non sono replicabili le famiglie. 
Belle perché uniche e diverse. Sentimenti, approcci, consuetudini, reazioni emotive, fragilità, capacità: un mix che ci rende inimitabili (spesso anche indecifrabili) e che ci deve responsabilizzare nella condivisione per guardare avanti, non per un sommario giudizio spesso povero.
Essere genitori è una scelta, una responsabilità, un’avventura, una gioia e una fatica: tutto insieme. Ci vuole cuore e testa perché ai figli si regali un futuro che sappiano affrontare … non pronto, ma vero e affascinante!
Studiare il fenomeno della genitorialità, della paternità e della maternità, della famiglia nel suo complesso implica, a mio modesto parere, una grande scrupolosità, un’attenzione ai dettagli più che ai fenomeni. 

Vabbè, ho scritto fin troppo... ma se fossi davvero ammalato?
Datemi il mio peluche!

martedì 6 novembre 2012

Il volto sereno

Questo Post partecipa al Blogstorming sul tema del mese: l'autostima.
In Genitoricrescono mica vanno per il sottile. Ogni mese mettono sul piatto temi importanti, interessanti, che fanno riflettere. E ogni tema viene affrontato da destra, sinistra, sopra e sotto. Con esperienze e riflessioni.
Novembre è il mese dell'autostima. E' un tema che mi ha costretto a pensare perchè riguarda me, ma come papà tocca anche i miei bambini. Perchè è una condizione che ci si porta dietro e che, per certi versi, si può anche trasmettere. Determina non solo una certa visione della vita, ma un approccio alla stessa tale da renderla più o meno serena.
Autostima e sè stessi.
Non riesco a non legare questo tema a quello della libertà. Quella dentro di sè. Quella che si conquista nel tempo e che permette di non ancorarsi a sovrastrutture di qualsiasi genere.
L'autostima è la serena e consapevole visione di sè. Serena perchè obiettiva rispetto ai propri pregi e difetti. Consapevole perchè non li nasconde e li accetta: i primi - i pregi - per valorizzarli, i secondi - i difetti - per vincerli.
L'autostima ti permette di non sentirti mai schiacciato dal timore del giudizio. Non lo eludi perchè a volte aiuta (mica si è perfetti), ma non ti lasci abbattere. Permetti al tuo volto di rimanere sereno, nonostante le piccole sconfitte quotidiane.
L'autostima crea prossimità, è contagiosa, non si lascia abbattere. Non è autoreferenzialità, nè arroganza intesa come pretesa di totale autosufficienza. Non è sentirsi "di più" ma star bene per come si è: senza rimpianti per eventuali doti non possedute o invidie per traguardi non raggiungibili.
Mi piace, inoltre, accostare l'autostima ad una certa dose di autoironia. Saper sorridere di se stessi è "catartico". Non per minimizzare o essere superficiali, ma per dare il giusto peso a tutto. Anche alle proprie cavolate.
Autostima e figli.
Per un genitore, inoltre, l'autostima è fondamentale come risorsa quasi osmotica per i propri figli. I bambini assorbono molto. Da varie fonti.  Sono delle piccole spugne. L'autostima quindi può essere almeno trasmessa come stile percepito: come atmosfera attraente, perchè la si respira. I figli saranno comunque un mondo a sè e quindi non è assolutamente detto che tutto sia determinabile. Ma se scorgono genitori che stanno bene con se stessi probabilmente impareranno pian piano ad asservarsi con meno distacco o timore.
L'autostina dei propri figli può passare anche dal modo con cui ci si pone nei loro confronti: pretese eccessive, sfide inutili. Dare troppo peso agli errori, ai presunti difetti o limiti. Tutto questo può far insorgere un disagio, spesso latente, che impedisce all'autostima di consolidarsi in loro. Faranno un'enorme fatica a volersi bene. Perchè devo credere in me stesso se non sono apprezzato neppure dai miei genitori?
C'è pure l'altra faccia della medaglia: confondere l'autostima con improprie esaltazioni. Far credere di essere quel che non si è: quasi imporrre una maschera. Prima o poi cascherà per conto suo, lasciando a terra cocci difficilmente ricomponibili.
Il peggio è indurre ansie e paure. Timori inutili. Insicurezze. Alimentano le delusioni e non li aiuteranno mai ad essere pienamente se stessi.

Infine
L'autostima si alimenta dalla capacità di essere veri con se stessi: pregi e difetti, doti e limiti convivono in noi e in loro: sono gli elementi imprescindibili "dell'unicità che si è". Nascondere i secondi ed esaltare i primi è inutile. Convivere serenamente con entrambi è libertà. E' autostima.


giovedì 4 ottobre 2012

Arrabbiarsi s'impara...

Non arrabbiarsi mai è impossibile. Come si fa? Ripeto: è impossibile. Almeno per me.
Adoraboli e scassapalle! Divertenti e irritanti. Teneri e insensibili. Pacifici e scatenati. Calmi e isterici.
Tutto e il contrario: un mix esplosivo che a volte mette a dura prova ogni tentativo del "devo stare calmo". E' impossibile non arrabbiarsi mai. Almeno per me.
Giocano e dopo qualche minuto uno dei due piange. Poi tocca all'altro. E finiscono insieme, con Filippo cheddice "è stata la Bea" e Bea che risponde "non ho fatto apposta": come se un calcio negli stinchi o una sberla fossero imprevedibili. Non apposta de che?
Entrano in casa tolgono la felpa e la lanciano per terra. Perchè? Mi sto ancora rispondeno che una scarpa vola sul tavolino e fa cadere il telefono.
Ti chiedono:  "papà ci fai la pasta col pesto, dai papà.." ... e dopo non la mangiano. Miiii che rabbia.
Si mettono in camera loro e l'obiettivo non è tanto disordinarla (chissenefrega), ma rompere qualcosa: che sia un libro, un pupazzetto, un gioco ...
Vogliono disegnare. Che bello! Ma poi li trovi per terra col parquet arcobaleno che comincia a prendere tonalità impensabili. E mai che rimettessero un tappo!
Buttano i cuscini del divano sistematicamente sul pavimento: ma io e la mamma (soprattutto la mamma) ci appoggiamo la testa!
Si bagnano solo perchè mentre bevono pretendono di fare altro o di farsi i dispetti. E se fanno il bagnetto acqua da tutte le parti... manco a dirlo.
Raccomandi e ricordi, inviti o ordini (quando ci vuole), suggerisci e richiami... ma  - spesso - mica ascoltano.
Tante volte non mi arrabbio (ammetto ce la faccio), li prendo per il lato storto, li smusso col sorriso, con  gesti più lenti, con parole che sdrammatizzano - ci provo almeno -. Ripeto o rassicuro. Sono rigido e mi smollo: cerco di ottenere attraverso le vie della bonarietà o del compromesso. faccio il paziente: non è la mia dote migliore, ma con l'esercizio...
Ma a volte proprio non ci riesco. Non mi è possibile.
Un po' perchè in certe circostanze sono davvero bravissimi ad esasperarti.
Per loro non ci sono mai attenuanti o condizioni particolari: mal di testa, stanchezza, ritardi, necessità di un po' di raziocinio o ordine. Per loro - d'altronde è così - è sempre il momento di essere se stessi, nel bene o nel male. Nella pace o nel caos. Nella serenità o nel conflitto. Non sanno mentire a loro stessi: è bello questo. Ma è una sentenza: soprattutto se ti pesa riescono a farti arrabbiare!
Mi arrabbio: so che quando ci vuole ci vuole. Alzo la voce: mi impongo e vedo che capiscono che devono cambiare registro. Lo capiscono perchè non sono scemi... e lo fanno.
Ma non mi piaccio mai quando mi arrabbio! E mi piaccio ancora meno quando mi rendo conto che mi sono arrabbiato per un motivo non del tutto valido. Capita anche questo.
Anzi ogni tanto mi pento anche... era il caso? Forse non ho esagerato nell'alzare la voce? Non potevo avere un po' più di pazienza? E mi pento.
Fatto sta che è così: pure l'arrabbiarsi fa parte della relazione papà e figli. Al di là dei modi, delle dinamiche o dell'intensità, i bambini lo sanno ( a volte lo temono) e ne sanno cogliere -  crescendo sempre di più - ragioni e conseguenze. Implicazioni e insegnamenti.
Non arrabbiarsi? E' impossibile... ma non mi piace.

martedì 4 settembre 2012

Ritorno alla base!

Beatrice e Filippovi ricordate ancora dove sta la vostra casa? Dal 28 giugno non ci siete... un'estate fa'!
Le vacanze (le lunghe vacanze) sono finite e domani si rientra.
Un'estate lunga. Su e giù per l'Italia. Sempre in buone mani e con mille attenzioni.
Domani si ritorna.
So che ne avete voglia pure voi.
Della vostra cameretta, dei vostri giochi, dei momenti tra le mura più familiari.
So che in fondo desiderate riabbracciare i vostri ritmi: quei momenti che appartengono a voi e che l'estate per certi versi mette per qualche mese in un angolo.
Ma quei momenti non spariscono: da domani riappariranno con i vostri luoghi, con i volti che più conoscete.
In più si ricomincia con l'asilo. Sarete pure insieme.
Vi aspetta molto: amici, maestre, giochi, attività, appuntamenti speciali.

Ritornate diversi: non solo in peso e altezza. Sembrate così cresciuti. Siete così cresciuti!
Allora pronti a ripartire?
Mi raccomando, ricordatevi che anche mamma e papà saranno immersi nei loro tempi: abbiate pazienza se qualche volta saranno di corsa, se non sempre saranno pronti ad ascoltarvi o a capirvi.
Ma vedrete che anche quest'anno tutto andrà bene.
Pronti?

giovedì 30 agosto 2012

Ascoltare i propri figli: si può?


"...Una vera e propria favola moderna a cui sottende una morale più che mai attuale: l'importanza dell'ascolto come strumento di conoscenza di se stessi e dell'altro e soprattutto l'importanza del dialogo come strumento di unione generazionale, dove la forza immaginativa di un bambino diventa terreno di comune crescita, a prescindere da ogni tipo di età e ruolo.L'ascolto di un bambino da parte di un adulto è una conquista recente. Per secoli adulto e bambino non si sono, realmente, parlati. Un bimbo si poteva curare, educare, magari proteggere, ma non era previsto che lo si potesse (e men che mai dovesse) ascoltare. Il bambino non era, propriamente, un "soggetto". Il concetto che un bambino abbia il diritto di esprimere le proprie esigenze e sia un soggetto attivo che deve essere ascoltato è un concetto che solo da poco è entrato nella psicologia, nella pedagogia e persino nella legge (Maurizio Quilici)".


Grazie alla segnalazione di Babbonline ho letto un articolo molto interessante (che ho linkato). Interessante non tanto per la Trilli-presentazione, anche se il personaggio piace molto a Bea e neppure per l'ipotetica rappresentazione paterna che il "cartons" in questione promette di trasmettere, si vedrà. Mi ha interessato il tema dell'ascolto del bambino da parte di un adulto, quindi da parte del padre. E quindi si parla anche di me.
Quest'estate mi sono accorto in maniera evidente che i miei figli parlano. Un sacco. Filippo sembra una radio e Bea non è da meno. Filippo però è nella fase del "cos'è questo, cos'è quello, perchè è così, perchè fai così" oppure del "papà mi racconti ecc.". Bea è più femmina (in senso bonario), il suo parlare è più mirato, calcolato. E' pure intercalato da silenzi impenetrabili: quando non vuol dirti certe cose non la smuovi. E' tosta, la piccola. I momenti peggiori sono quando parlano entrambi contemporaneamente. Se ascolti uno fai ancavolare l'altro e viceversa... un casino.
Ma il punto non è il loro parlare, ma il mio ascoltare. A volte lo ammetto un po' mi rompo... questo turbinio di parole spesso poco coordinate e senza un filo del tutto logico (secondo la mia percezione di adulto) mi stordisce. Dico "sì, va bene, che bello, bravi ecc." ... parole buttate lì tanto per non sembrare indifferente, ma di fatto poco coinvolte dai loro discorsi.
Di contro quando la mia voglia di ascolto si riattiva o è ben predisposta, può succedere che dall'altra parte ci sia il muro del silenzio implacabilmente levato. Stimolo, chiedo, suggerisco: nulla. Soprattutto con Bea cavare una parola è un'impresa.
Mi trovo comunque nella fase iniziale: i miei hanno 3 e 5 anni, ma sto già capendo (e cerco di affrontarle) alcune dinamiche interessanti.
Se voglio ascoltarli davvero, e quindi costruire un dialogo, devo saper cogliere i loro tempi e non i miei: comandano loro, non vanno a comando. Non si scappa!
Devo abituarmi ad avvicinarmi a loro e non pretendere che siano loro a salire al mio livello: ascoltarli significa imparare ad accettare sia i loro ritmi espressivi (a volte lenti, molto lenti... troppo lenti), che le loro contorsioni linguistiche e mentali, non sempre di facile interpretazione. Anzi.
Mi devo poi trattenere dal banalizzare pensieri e parole che dall'altra parte (quella del bambino) invece sono importanti. Il livello di profondità deve avere altre misure che non partano dal mio modo di vedere o di comprendere ma dal loro. Questa è l'asimmetria naturale, quella che non deve farmi arrabbiare (se non capisco o non capiscono), ma semplicemente aiutarmi a mettermi in gioco. Il gioco del loro crescere lento.
Saper sorridere se l'intento è quello, ma solo in questo caso: rischiare di deridere è fonte di delusione.
L'ascolto è divertimento e sforzo: a volte insieme, spesso distinti, ma so di poterli (o doverli) vivere entrambi. Pace all'anima mia.
Ascoltare per capirli, per conoscerli meglio, per saperli mantenere più vicini: non si tratta di un semplice esercizio pedagogico, è qualcosa di molto più profondo. Me lo metto in testa?
Non voglio esplorare meccanismi più complessi... mi vengono in mente molte altre esperienze o interrogativi (perchè certi loro silenzi anche di fronte a noi genitori?), ma probabilmente per andare oltre devo lasciarli crescere ancora un po'.
Cara Trilli, mi sa che mi serve un po' della tua polverina magica. Ti aspetto!


martedì 10 luglio 2012

Bella scoperta

Non si scappa.
Quando si diventa papà  si cambia vita.
Bella scoperta!
Me lo dico e ridico spesso, ma che ci posso fare?
Essere papà è un di più o un di meno? Aggiunge o toglie?
Domande da risposte scontate o ci devo pensare?

Non si scappa, si cambia vita.
Perché loro ci sono, sempre.
Diventano i protagonisti dei pensieri, delle scelte, dei menù.
Ti si appiccicano perché chiedono affetto, protezione.
Calore o semplice presenza.
Ti strappano sorrisi.
Ti fanno preoccupare.
Pure arrabbiare.

Ti cambiano la vita, non si scappa.
Dettano tempi. Disegnano nuovi programmi.
Definiscono priorità. Ti impongono scelte.
Generano imprevisti.. e sorprese.
Rompono le abitudini e ti offrono nuovi riti.

La vita è diversa, ormai ci sei dentro.
Il tempo con loro è il tuo nuovo tempo.
Non sei più tu che diventi grande o maturo.
Ci sono loro.
Percorri i loro passi e insieme ripercorri i tuoi.
Riparti da dove eri arrivato, ma da papà.
Ora sei un papà! Grande opportunità.

Bella scoperta! Sì proprio bella!

(... è il caldo, lo giuro)

giovedì 5 luglio 2012

Certezze e sensazioni: a Bea e Filippo

"Ciao Papà, lo sai che fra poco andiamo a vedere il tramonto nella pineta?". "Ciao Papà, lo sai che oggi abbiamo fatto i tuffi?". "Ciao Papà, lo sai che stamattina un'onda mi ha fatto cadere, ma non ho bevuto e mi sono alzata da sola?". "Ciao Papà, lo sai che....".
No, non lo so. Lo immagino e vi penso. Vi sento contenti e so che lo siete. Certo che state bene, lo si capisce dalle vostre parole, dal tono delle vostre voci, sempre allegro e desideroso di raccontare a me e alla mamma quanto vi accade: che sia un fatto semplice, o una piccola avventura. Che bello sentirvi raccontare: fino allo scorso anno era difficile parlarvi al telefono, oggi è uno spasso. Crescete. E imparate a narrare trasmettendo emozioni.
Dopo ogni telefonata con mamma ci scambiamo un sorriso e stiamo qualche istante in silenzio: non riusciamo a non far volare i nostri pensieri a voi per immaginare, trasformare in fotogrammi quanto ci avete appena fatto sentire con  le vostre parole.
La mente per pochi istanti ci avvicina tantissimo a voi, perchè sa riprodurre i suoni in immagini. Istantanee tanto distanti quanto reali. Le nostre certezze, che siete parte di noi. Un paradosso?
Al contempo si insinua una sensazione: quella che ci stiamo perdendo qualcosa. In effetti, non si tratta solo di una sensazione: sta nella natura di quel tempo che trascorriamo senza avervi accanto. In questi momenti questa sensazione è più forte, perchè la distanza nè amplifica gli effetti.
Senza avervi accanto: ma quante volte succede e di fatto non ce ne accorgiamo? O non ne diamo peso? Quante piccole esperienze ci perdiamo, ci sfuggono e sicuramente ci sfuggiranno?
Non riusciremo mai ad avervi sempre accanto. E' impossibile. Per fortuna, mi vien da dire. Dobbiamo e dovremmo spesso affidarci ai vostri racconti, ai vostri sguardi. Sappiamo bene che non tutto di quello che ci sfugge (e sfuggirà) riusciremo a saperlo. Dovremmo saper ascoltare anche i vostri silenzi.
Quella sensazione lì, del post vicinanza (anche solo telefonica), sarà sempre una nostra compagna di viaggio. E questi giorni prolungati lontano da voi, ci  aiutano a renderla più evidente come un mezzo di conoscenza e non come un sintomo di disagio.
Cari Bea e Filippo: sapete darci molte certezze, perchè vi sentiamo parte di noi, ma allo stesso tempo è giusto che "ci sfuggiate un po'", per ricordarci che non siete una nostra proprietà.
Avanti con la vostra vacanza!


giovedì 21 giugno 2012

"Rimbambimento da figli": quali le ragioni?

Diventare genitori può giocare brutti scherzi. Solo pochi non ne sono contaminati: quelli duri e puri, quelli che sanno come si fa, quelli che non vivono di bisogni ma di certezze, quelli che conoscono ogni veerità, anzi sono la verità, quelli che sono di più, anzi molto di più. Putroppo (o per fortuna) non appartengo a quelle categorie e quindi tanti "scherzi della paternità" me li prendo ... e me li gusto!
Ma di che sto parlando? Della tendenza al "bonario rimbambimento da figli (in altre parole: rincoglionimento da papà contemporaneo)" che i figli stessi mi inducono. Bisogna essere predisposti (e quindi non appartenere alle categorie citate prima), ma se solo si lascia aperto qualche spiraglio di troppo, la frittata è fatta. Ti ritrovi tutto d'un colpo a fare quello che non avresti mai immaginato, a governare situazioni che magari qualche anno prima deridevi o osservavi con orrore in qualche papà amico. Senza rendertene conto vai contro i principi che spesso ti sei ripetuto - o hai affermato -  come irrinunciabili, o accetti di vivere situazioni, magari non proprio imbarazzanti, ma spesso al limite. Sì quel limite lì. Ti ritrovi, ad esempio, alle undici di sera, occhio traballante, desiderio di divano irrefrenabile, tutto preso, invece,  a incollare con la colla a caldo - nuovo ritrovato della moglie creativa e amica delle mie dita - delle ali di cartoncino rosa per Bea e le sue amichette (l'aggiunta dei brillantini l'ho scampata). Questo è un primo esempio, ma sfogliando il libretto del percorso genitoriale emergono tanti altri piccoli esempi del rincoglionimento evidenziato.
A mezzanotte a "giocare" a riaccoppia il calzino, operazione altamente impegnativa qunado lo rinvii per settimane , altrimenti non sai che mettergli ai piedi.
Eccoti anche a cercare ingredienti naturali, con estrema prefessionalità, per permettere ai tuoi figli e all'allegra compagnia del parchetto di "cucinare" un minestrone con i fiocchi. Il tutto simulato nella buca ricavata  nella sabbia, che tu per non far sporcare troppo i bambini ti premuri di rimescolare (con le mani): il realismo va difeso fino in fondo.
Come non prepare per cena il primo (con la sua riserva) e il secondo (con l'alternativa a rapido scodellamento): di fatto due primi e due secondi. Con l'aggiunta del dolcino e la frutta indispensabili integratori per una dieta spesso squilibrata. Il tutto perchè se non mangiano si va in ansia, si teme la denutrizione o il deperimento. A te non pensi, tanto ti toccano gli avanzi, che necessariamente - viste le premesse - si generano. 
Quante volte - poi -  per vestire i tuoi figli parti deciso ("fanno quello che dico io!") per poi scoprirti a soccombere alle richieste, ai vezzi o peggio ancora alle pretese di due marmocchi di 2 e 5 anni. Gran bell'esempio di autoritaria autorevolezza (non suona male, vero?). Bravo papà, bravo! ... talemnte arrendevole che per prevenire questo delirio hai deciso di anticipare la tua sveglia di 20 minuti.
Per non dire "dell'adesso basta!", pronunciato con fermezza, con tono duro e, in quel momento lì, proprio necessario. Magari hai battuto la mano sul tavolo. Tre minuti dopo, dilaniato dal senso di colpa, cerchi però  di ricucire con una battuta, con un sorriso  o una concessione temporanea. Assecondi ciò che  ti impone quella cavolo di tua coscienza che non sa tacere neppure sotto tortura! E ti impone il cedimento al servilismo più debole.
Per fortuna non t'arrendi, sai accogliere con filosofia tutto questo: ogni episodio ha un suo perchè. Ha una sua ragione: la principale è il tuo esserci. Sempre al limite del "rimbabimento da figli", ma almeno presente. Un rimbambimento che ha cause ancestrali nel tuo essere così: un po' di tutto, perfetto in nulla. Deciso e bonario. Rispettoso delle regole, ma tifoso della creatività. Difensore dei principi, ma convinto del senso della loro conquista graduale... eccezioni inclusa.
Un po' di tutt vuol dire scarso per forza? ... provo a pensarci su... con calma.

mercoledì 30 maggio 2012

Fare cambio: che voglia! O che tentazione?

Quando vedo i miei figli in difficoltà per qualsiasi cosa vivo la voglia – o la tentazione – di fare cambio. Ci sono dei momenti in cui vorrei potermi sostituire a loro in modo che possano affrontare e superare rapidamente quanto in quel momento magari li turba, li mette in difficoltà o addirittura li fa soffrire.
Mi capita quando vedo Beatrice, ad esempio,  alle prese con  le sue prime sofferenze legate ai piccoli dispetti che subisce (probabilmente ne fa pure… non è una santa) dalle sue amiche, che la portano a chiudersi in se stessa. 
Mi succede quando vedo Filippo che vorrebbe fare una cosa o raccontare un suo pensiero, ma non riesce: il suo sforzo a volte  mi intenerisce. Che voglia di farlo al suo posto per vederne il sorriso e non la fatica. 
Mi succede quando li vedo star male: febbre, tosse, dolori vari… e a me, nonostante cerchi di farmi contagiare per fare qualche giorno di sana malattia a casa, non capita mai nulla. 
Mi succede quando sono tristi o delusi; quando non riescono ancora ad accettare alcune regole o impegni e quindi si ribellano.
Istintivamente mi viene voglia di  sostituirmi a loro affinché possano essere preservati da ciò che in qualche modo ne mette a nudo le loro fragilità o le difficoltà naturali. 
Ma non solo: poter fare -  o sistemare – al loro posto renderebbe comunque tutto più agevole: meno fatiche, meno volti tristi, meno delusioni… e meno pensieri per me.
Il mio "stare in pensiero"… allora, per dirla tutta,  il volere sostituirsi a loro significa non solo desiderare di diminuire certe loro difficoltà, ma togliere da me il disagio di vederli come non vorrei. 
Fare cambio quindi può diventare non una semplice voglia, giustificabile e quasi naturale, ma anche una piccola tentazione. Anzi una doppia tentazione: verso i miei figli perché rischierei di non far vivere a loro in pienezza quanto è naturale vivano; verso di me perché mi costruirei uno scenario non reale, un po' romanzato magari. 
Invece le difficoltà ci sono ed è giusto che siano affrontate e vissute  fino in fondo, anche se questo spesso può pesare molto ai bimbi e di conseguenza anche a me.
La speranza che i miei figli possano viverne il meno possibile (le difficoltà e le fatiche mica si devono per forza cercare), non deve spingermi a togliere loro quelle che comunque arrivano: solo affrontandole e non fuggendole, diventano ostacoli superabili. 
E forse anche utili. Anche per me!
Senza scomodare, inoltre, la retorica della responsabilizzazione a tutti i costi, con l'umana e serena convinzione che nessuno può vivere la vita degli altri... soprattutto quella dei figli.

lunedì 14 maggio 2012

L'ansio-papà?

Mia moglie dice che sono troppo ansioso, che verso Bea e Filippo mi preoccupo troppo. A me non pare. È vero, mi preoccupo un po’  più di lei rispetto a certi temi, ma chiamarla ansia mi sembra esagerato. E poi, non sono una persona ansiosa. Anzi, col tempo ho  perso anche quella “micro-sindrome da esame” che di fronte a certi  momenti, appuntamenti o  scadenze importanti un tempo mi prendeva.
Però, non lo posso negare, se ci sono di mezzo i mei figli le mie attenzioni, ogni tanto, aumentano esponenzialmente. Mia moglie sostiene che ogni tanto sono esagerato e la sua insistenza su questo tema dell’ansia mi ha fatto credere che potesse esserci sotto qualcosa di vero: è proprio vero che la mia calma (a volte apparente ma non alziamo troppo la voce), si smarrisce quando entrano in campo Bea e Filippo? Com’è possibile? In quali occasioni? Eccomi allora tutto concentrato su me stesso per capire che cosa giustifichi questa opinione, e quali e quante siano le mie presunte eccessive preoccupazioni che spingono mia moglie a darmi dell’ansioso (proprio lei che riesce a farsi venire “ la sindrome d’esame” anche quando deve andare dalla parrucchiera).
Con un po' di fatica ci sono arrivato! Dopo un'attenta introspezione sono pronto ad ammettere quali sono gli aspetti esistenziali caratterizzanti la vita di Bea e Filippoche generano in me qualche preoccupazione in più. Nel mio manuale di pedagogia esperienziale i cardini su cui non riesco a derogare sono: il cibo, il sonno e il freddo. I bambini devono mangiare, dormire e non prendere freddo!
Il cibo. Retaggio giovanile? Non so, ma nelle mie orecchie risuonano ancora le parole delle mie nonne che nonostante avessi divorato due volte la loro mitica pasta e avessi fatto anche il bis del secondo avevano il coraggio di dirmi: “Ma perché mangi così poco? Non stai bene?”. L’appetito è sinonimo salute, inappetenza (anche solo presunta) significa indisposizione. Nel mio inconscio probabilmente questo dato è talmente radicato che, secondo me, Bea e Filippo non mangiano mai abbastanza. Li vedo immancabilmente inappetenti. Quindi da una parte sono alla continua ricerca di combinazioni culinarie che li spingano a mangiare di più, dall’altra quando mangiano poco (e questo – secondo me- accade spesso) mando segnali d’allarme a mia moglie che immancabilmente mi risponde: “Ma non ti preoccupare, quando avranno fame mangeranno”. E se la fame non torna? O torna tardi? O torna quando non ho che cosa la possa placare?
Il sonno. “mens sana in corpore sano” : macché sport! Il corpo è sano quando è riposato! Sarà perché oggettivamente quando non risposano abbastanza i miei figli diventano dei rompi scatole galattici, sarà perché il loro dormire mi genera tranquillità perché lo associo a serenità, sarà perché quando dormono sono davvero dei bimbi adorabili (e concedono tanta pace alla casa). Sarà per tutto questo, e quindi  se non si addormentano in fretta alla sera o se per imprevisti vari si riducono le loro ore di sonno, comincio ad immaginare quale indisposizione psico-fisica li stia colpendo o li colpirà.  Sul sonno non mollo: devono poter riposare tanto!
Il freddo. Il freddo, infine, è il nemico più tosto perché quando colpisce lascia il segno: raffreddori, tosse, mal di gola, otiti, bronchiti, e così via. in più sono un montanaro atipico: rifuggo il freddo e preferisco il caldo (anche se da quando abito in zona Milano e ho scoperto che cos’è l’afa cittadina, un po’ mi sono un po’ ricreduto…). La stagione invernale per me è una vera e propria via crucis attraverso il potere del gelo. I bimbi “potrebbero aver freddo”: quindi è fondamentale coprirli bene. Dalle scarpe adatte  (Le tennis d’inverno non si usano!!), alla berretta, passando per magliette, maglioni, felpe, pantaloni, sciarpe, guanti ecc., il corpo deve essere sempre coperto e riscaldato! Di giorno e di notte! ma perchè i bimbi si scoprono sempre??

Queste sono le mie tre preoccupazioni di base! Quelle basiche, probabile reale retaggio della mia esperienza infantile. E le mie attenzioni, particolarmente evidenti, probabilmente (e forse in certi casi anche giustamente) spingono mia moglie  a bollarmi come un ansioso. Vabbè finchè si tratta di presunta ansia non mi preoccupo... se cominciasse a diventare una forma di ossessione compulsiva vi chiederei immediatamente: "Fermatemiiii"!!!

mercoledì 9 maggio 2012

"Figura di merda?"

Oggi sono di riunione all’asilo: verdi 2 a rapporto. Due papà, un nonno (ha preso un sacco di appunti… sarà stato minacciato?) e tutte mamme! E la maestra (non ancora mamma). Clima sereno per le valutazioni globali della seconda parte dell’anno e l’elenco degli appuntamenti di fine anno: festa della mamma, festa dell’asilo, mini gita dei bimbi, festa dei diplomi, pizzata di saluto dei grandi ecc. quanta carne al fuoco! Ma perché questi asili del XXI secolo non si fanno una pagina web con agende aggiornate?
Terminata la riunione non posso saltare il consueto appuntamento dal mio macellaio preferito. Mi serve poco:  latte, pane e un paio di bistecchine (sono a cena da solo con la mia principessina Bea!) e me la sbrigo in fretta. Un saluto ai miei amici del negozio di articoli per bambini e corro verso la  macchina. Bea mi aspetta e questa sera voglio cenare in balcone!
Sto per salire macchina quando mi risulta impossibile fare a ameno di ascoltare queste parole: “Smettila che cosa faiii! Non devi fare la maleducata, hai capito? Basta farmi fare queste figure di merda!”. Una mamma – per la cronaca una di quelle che attira l’attenzione, diciamo che si lascia guardare… anche l’occhio vuole la sua parte (so che non c'entra nulla ma nella mia meschina socio-psico-logica mentalità maschile mi  piace associare bellezza a bontà, e quando questo binomio si elide ci rimango male)  – ha appena sgridato, in modo energico e senza mezzi termini,  la propria figlia (5/6 anni max).
Non ho potuto non osservare brevemente la scena. Salgo in auto e torno a casa.
Ripenso all’accaduto. Non mi interessa minimamente entrare nel merito delle ragioni della reprimenda, ma quelle parole mi hanno colpito un sacco. Da una parte perché sono parole che magari pure io ho pronunciato, ma soprattutto perché se penso ai miei figli e a come agiscono mi sorge una domanda: “Se fanno i  maleducati in pubblico con altre persone, fanno  fare “una figura di merda” a me?”.  
Ma è così automatico che si rifletta come giudizio sommario verso il genitore un comportamento sconveniente dei nostri figli? Temo sia proprio così. (Mi sa che è difficile trovare qualche buonanima che pensi che se un bimbo si comporta da peste, magari è un po' merito suo!)
A questa legge, o regola non scritta, non si può sfuggire: se i miei figli sono maleducati, si comportano male, fanno pasticci e tutto questo lo fanno in pubblico – me presente -  sono certo che il primo pensiero che sorgerebbe negli adulti intorno a me  suonerebbe più o meno così “ma che cavolo di genitori hanno, non gliele insegnano le buone maniere?”… Se poi lo sguardo attento fosse quello del “clan delle nonne irreprensibili del parco col nipote sempre a posto, non sudato e pulito” (come è già successo), questo sguardo, in genere poco compassionevole, esprimerebbe questo concetto: “Guarda quei monelli! I genitori di oggi che fanno!?! Una volta i bambini venivano tirati su in maniera molto diversa! Rigavano dritto!”. E’ inutile, non c’è scappatoia alla figura di merda. Devo essere pronto a beccarmela!
Di una cosa sono, però,  certo: quando i miei figli hanno combinato qualcosa in pubblico non mi è mai venuto in mente di sgridarli usando le parole citate prima. Li riprendo e li richiamo: spiego a loro che non si devono comportare in quel modo.  So essere anche abbastanza duro ed incisivo. Ma dico in modo chiaro che comportarsi male non è bene per loro, soprattutto se  trattano male o fanno i prepotenti con  altri bambini! La figuraccia la fanno loro perché in questo modo si rendono antipatici e allontanano gli amici.
Dell’eventuale – e inevitabile -  figura di merda associata al mio ruolo me ne frego altamente. I bambini devono comportarsi in un certo modo non per difendere il mio onore, ma perché è un bene per loro! Ed è questo che devono capire e che io devo cercare di spiegare.
Preferisco concentrarmi eventualmente su altre figure di merda, quelle legate alla mia distrazione, alla mia poca sensibilità, al mia smemoratezza… quante ne potrei evitare!

E quando mi beccano con le dita (di Bea) nel naso, che figura è?


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