Bea e Filippo

Bea e Filippo
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martedì 1 aprile 2014

Amala!

"Papà, quanto è l'Inter in classifica?"
"Siamo sempre quinti, come settimana scorsa... purtroppo."
"E' vero che la Juve è prima".
Interviene Beatrice: "Sì è prima perché vince sempre".
"Bea non esagerare. Non sempre, ad esempio domenica ha perso. Però è prima, mi sa che ci deve abituare, per un po'. C'è di buono che il Milan è dietro 7 punti... anche se è in rimonta. Comunque, cari Filippo e Bea, qui si tifa sempre Inter, anche quando le cose non vanno bene".

Sono interista. Orgogliosamente interista. Sono un tifoso appassionato, ma non scalmanato. Mi piace andare allo stadio o guardare le partite in TV con amici, soprattutto.
Qualche sera Filippo ha detto a mia moglie. "Mamma, puoi spostarti di là che io e papà stiamo guardando calcio?": sono soddisfazioni.

Ma torniamo al nocciolo della questione: l'Inter.
Lo confesso: essere tifoso dell'Inter è una vera scuola di vita.
E non lo dico con ironia. L'ho vissuto sulla mia pelle. Ci sono delle abitudini che a lungo andare rendono le persone meno sensibili, un po' prevaricatrici, anche altezzose o boriose. Una di queste, ad esempio, è l'abitudine a vincere. A dominare. Ad alzare trofei. Penso alla Juve (solo a scrivere questo nome mi viene un po' di fastidio), al Barcellona, al Manchester UD dei tempi d'oro, all'Ajax in Olanda. Antropologicamente può essere destrutturante: il soggetto-tifoso in questione indebolisce le sue difese. Di fronte agli scacchi della vita soccombe o diventa aggressivo.

L'Inter invece - da questo punto di vista - plasma personalità forti. Abituate a cadute e ripartenze. Il tifoso interista apprezza anche il poco, per poi gustare fino in fondo il molto. Quello vero e che fa la storia:  il triplete, ad esempio. O l'anno dei record di punti con Trapattoni. Giorni indimenticabili!
Sono le vittorie delle vittorie!
L'Inter genera un popolo che ha come arma principale la passione. Poi magari allo stadio riesce a stroncare un giocatore per due passaggi sbagliati, o a chiedere il cambio dell'allenatore dopo una partita deludente. D'altronde essere appassionati non sempre fa rima con equilibrati. Ma questo è un altro discorso.

Ogni tanto arrabbiarsi è giusto. Quale interista non lo ha fatto (stasera) dopo il 2-2 col Livorno? Poi lo si fa con l'arbitro che non ti dà il rigore, con Guarin che la passa all'avversario, con gli avversari se le imbroccano tutte... ma l'interista ormai vive di una rabbia morbida. Un po' più serena. Non la reprime col rischio dello scoppio devastante, l'incanala nel borbottio continuo, nell'ironia sarcastica, nell'esultanza delle disgrazie altrui... 

L'interista è sempre al passo coi tempi: affronta il cambiamento spesso e bene. Con fiducia e speranza.. E se qualcosa non funziona a dovere, la cambia in maniera rapidissima. I giocatori dell'Inter spesso sono come la tecnologia, vanno fuori moda in un lampo. Un via vai continuo.
Questo non turba il tifoso. Anzi, ne esalta lo spirito di adattamento in una società che corre senza soste.

L'Inter ovviamente è molto di più. E anche i suoi tifosi!
Filippo e Bea mi raccomando: sempre nerazzurri!. 

AmaTela!




giovedì 6 dicembre 2012

Natale... attesa, memoria e tradizione

Questo Post partecipa al Blogstorming sul tema del mese.

Qualche giorno fa scrissi un post di getto "Attendo"... mi venne diretto e senza fronzoli. Poi venni colpito dal tema del mese di Genitoricrescono:  fra tradizione e memoria. Quel post mi sembrava adatto... ma aveva bisogno di qualche pensiero un po' più sedimentato e di un po' di memoria... eccolo.


Attesa. Attesa, sì proprio lei.. In questo tempo mi ritrovo spesso ad attendere che accada qualcosa. Di quello che poi si verifica o di quello che accadrà: chissà. E' il secondo che mi prende. Come ogni anno, di questi tempi.
Attendo il Natale.  E' l'appuntamento annuale che sa imporsi in me, che non riesco (e non voglio...) tenerlo fuori e neppure ai margini. E' evocativo di tanti ricordi, e a questi non si sfugge. Sa ripresentarmi tradizioni alle quali sono legato, anche se a volte sono un po' impolverate, o semplicemente meno vitali.
Ho voglia di fermarmi, di calore casalingo. Di risentire e rivedere un po' di gente che durante l'anno sfugge. Senza colpe. E' il circolo delle esperienze che allontana e riavvicina.
Ricordo i rientri al paese per le Feste, gli incontri - sempre senza appuntamenti - con gli amici: incontri più forti delle tradizioni. Legami che rimangono anche senza incontri.
Desidero respirare l'aria di festa, di lasciarmi contagiare da lei, anche se attorno è più quello che si spegne di quanto si accende.
Il pranzo di natale a casa mia non aveva mai un'aria particolarmente gioiosa, ma la cura che usava mia madre nel preparare quella tavola così diversa dalla solita, con la tovaglia e e il servizio della festa non lo potrò mai dimenticare. Era una tradizione, che mi rimane come richiamo. La festa merita cura, attenzioni, segni che la distinguano: far finta che sia come gli altri giorni, che senso ha?
Ho voglia delle sue (... sempre del Natale parlo)  melodie, dei suoi profumi, dei suoi tempi, delle sue preghiere. Sì,  quelle che si sentono o si recitano. Spesso non si sa perchè né per chi... ma ci sono. E mi fanno pensare: sono eco di desideri. Anche dei miei.
Ricordo la Mezzanotte, nei vari luoghi in cui ho vissuto. Il prima con il presepe vivente, il silenzio che raccoglie pensieri se ti lasciavi rapire dalle dolci note tipiche di quei momenti. La Messa, quella dove si stava stretti perchè troppi. Dove il parroco cantava tutto, ma proprio tutto. Dove i bambini si addormentavano.
E il dopo: auguri, sorrisi in piazza, il profumo del vino speziato distribuito dagli alpini... : un sacco di abbracci, vicinanze di quel momento lì: fiorite e sfiorite in pochi istanti (ma non per questo necessariamente povere) e rinviate a ricrearsi alla successiva mezzanotte.
Ho voglia dei suoi simboli, dell'albero e del presepe. Il presepe, oggi nella mia casa cittadina è originale e senza impatto ambientale... ai tempi costava fatica: andavo a raccogliere il muschio nel bosco. Magari ghiacciato. Ma era bellissimo, perchè poi sistemare le statuine era un conquista. Era tradizione... oggi è più memoria.
Ho voglia di sorprese. Di guardare i miei figli negli occhi, di fronte ai momenti che pure loro attendono con trepidazione. Aspetto i loro sorrisi. Il loro stupore. Il loro calore.
Grazie a loro mi ritornano in mente le attese da piccolo. Quando mi alzavo dal letto presto, vincendo la mia pigrizia perchè volevo scartare il mio pacchetto riposto sotto l'albero. Non so perchè m'è rimasta l'immagine dei pennarelli: queste mega scatole di pennarelli. Proprio a me che a disegnare e colorare ero una cippa. Ma erano tempi grami...
Attendo il tempo che rallenta. Omaggio delle feste. Un tempo non lo sopportavo, preferivo la velocità, ora me lo gusto, perchè è presenza di chi amo. E mi basta.
Attendo le ferie. Il non pensare al dover per forza fare, ma al fare quanto  desidero o scelgo.
Di non dover aspettare che la moglie torni dal lavoro in un orario decente. Di non dovermi incazzare perchè il lavoro oggi ha meno slancio di ieri, anche se ne avrebbe bisogno di più.
Attendo le tredicesime (per fortuna ne arrivano due). Vorrei fregarmene, ma come si fa?
Non me ne fregavo neppure quando da ragazzo capivo che in casa nostra si doveva tirare la cinghia. E capivo che la tredicesima era ossigeno, non per il di più ma per il pregresso.
Non voglio commiserarmi, ma mi girano! Perchè in tanti siamo sulla stessa barca. I tempi sembrano essere sempre uguali. Cheppalle, ogni anno si vorrebe fare meglio, essere più tranquilli ed invece ci si trova al limite. Con le stesse ansie o con i soliti progetti da rimandare. Sì, c'è chi è messo peggio. Vorrei essere meno impotente o addirittura onnipotente, ma sono quel che sono.
Attendo il nuovo anno e ringrazio i mei figli che mi offrono la scusa per vivere il trapasso come piace a me. Senza casini. In pace. Preferisco osservare... e dormire.
Ricordo i capodanni a casa solo: la sorella in giro per balere, i miei a cena da amici ed io rintanato in casa. Stappavo lo spumante con la nonna, rigorosamente alle 22.00 perchè poi doveva andare a dormire. Non so dire il perchè, ma per qualche anno  a me è piaciuto viverlo così.
Attendo che tutto passi, perchè dopo un po' mi rompo. Le pause invernali troppo lunghe mi rendono alla fine un po' claustrofobico. Il freddo mi frena. Che tutto passi perchè vuol dire che ricomincia la discesa, verso le stagioni che amo di più.
Pativo il freddo anche a casa mia... la stufa a legna creava in  cucina un micro clima tropicale, le camere erano gelide... si accendeva il riscaldamento il minimo sindacale. I gasolio costava...

Attendo che il qualcosa di nuovo poi accada davvero. Che si esca dal tunnel di ciò che non c'è più, per rivedere la luce del nuovo che si rigenera. Di qualcosa che ci riporti a galla, per riprovare davvero ad offrire un futuro migliore a chi se lo merita. Le stesse speranze di 30anni fa...
Attendo. E provo a non fermarmi.

lunedì 27 agosto 2012

Si riparte... voglia zero!

La voglia è poca. Il cielo azzurro e senza nubi (bellissimo) non aiuta...
Alcuni mesi in più di ferie li avrei fatti volentieri. Ma non si può.
Mi  vien da dire “per fortuna”, vuol dire che ho un lavoro. Di questi tempi.
Ma lascio stare.
Poca voglia, ma si riparte.
Meno male la ripartenza è tranquilla: il trauma di ripartire a 100 all’ora mi avrebbe steso.
Ricomincerà fra poco il corso normale dell’anno: bimbi all’asilo e via con tutti gli appuntamenti del caso. Il lavoro riprenderà ritmi importanti, e il resto non sarà da meno.
Il tran tran quotidiano del feriale e del festivo riavvolgerà la nostra famiglia. Probabilmente le novità non saranno legate da cose diverse che si presenteranno, ma ad una nuova fase che i nostri bimbi ci permetteranno (o costringeranno) di vivere.
Finalmente entrambi alla scuola materna  (e l’anno prossimo si parlerà di scuola vera!?!) ed è  finita l’era dei pannolini.
Non riesco ad immaginarmi le mille cose che succederanno, in fondo quella che sembra vita normale, normale non lo è mica tanto. Ricordo lo scorso anno che non passava settimana che non ci fosse qualcosa da rivedere, da incastrare, da ristudiare. Le sorprese sono dietro l’angolo: arrotoli programmi che srotoli un minuto dopo. Non sono poi così convinto che la quotidianità sia monotona... anzi.
Le certezze sono il mutuo e le bollette (ops dimenticavo: pure la moglie e l’Inter) … per il resto si accettano sorprese! (oddio … se per caso venisse garantita un certa regolarità al campionato familiare non mi dispiacerebbe … ).
Si riparte e la poca voglia mi aiuta a guardare al settembre incombente con spirito libero: 3 settimane di inserimento di Filippo? In qualche modo si farà (che p...e, permettetemelo). E poi quel che viene viene.
In fondo il bello della vita familiare è proprio questo: la normale imprevedibilità. Che fa scorrere il tempo molto velocemente. E mai vuoto.
L’ottobre è lì fuori e mi piace un sacco. Il novembre (mese inutile), speriamo sia mite.
Il dicembre … mizzega arriva già il freddo: non lo sopporto. Urca è già  Natale e magari la neve arriverà presto. E da gennaio è tutto in discesa perché le giornate s’allungano.
Nessuna voglia, ma sono pronto.

martedì 10 luglio 2012

Bella scoperta

Non si scappa.
Quando si diventa papà  si cambia vita.
Bella scoperta!
Me lo dico e ridico spesso, ma che ci posso fare?
Essere papà è un di più o un di meno? Aggiunge o toglie?
Domande da risposte scontate o ci devo pensare?

Non si scappa, si cambia vita.
Perché loro ci sono, sempre.
Diventano i protagonisti dei pensieri, delle scelte, dei menù.
Ti si appiccicano perché chiedono affetto, protezione.
Calore o semplice presenza.
Ti strappano sorrisi.
Ti fanno preoccupare.
Pure arrabbiare.

Ti cambiano la vita, non si scappa.
Dettano tempi. Disegnano nuovi programmi.
Definiscono priorità. Ti impongono scelte.
Generano imprevisti.. e sorprese.
Rompono le abitudini e ti offrono nuovi riti.

La vita è diversa, ormai ci sei dentro.
Il tempo con loro è il tuo nuovo tempo.
Non sei più tu che diventi grande o maturo.
Ci sono loro.
Percorri i loro passi e insieme ripercorri i tuoi.
Riparti da dove eri arrivato, ma da papà.
Ora sei un papà! Grande opportunità.

Bella scoperta! Sì proprio bella!

(... è il caldo, lo giuro)

mercoledì 13 giugno 2012

Ciao 100!

Cento volte. Sì, sono cento le occasioni che mi hanno ispirato a scrivere qualcosa. Tre mesi, cento post. Un Blog: racconti, riflessioni, ironia e qualcosa di più serio. Momenti di vita e  pensieri della mente. Esperienze e sguardo su di esse. Cento occasioni prese al volo, per lo più la sera tardi, quando in casa cala il silenzio. Ma cento sono tante! I miei figli mica sanno ancora contare fino a cento. Non so neppure se l'ho mai fatto neppure io. E il cento merita uno spazio tutto suo, perchè è un punto d'arrivo, ma allo stesso tempo un punto di non ritorno. Essere arrivato a cento significa che mi piace, che ci credo. Significa aver (ri)scoperto il gusto di raccontare e di scrivere. Significa aver trovato un filo conduttore dentro un contenitore che non ha modelli veri e propri ma che sa modellarsi su chi lo vuol riempire per i fatti suoi. Il filo conduttore della vita, quella che sto attraversando con la mia famiglia. Soprattutto accompagnando i miei bambini. Sono loro spesso la fonte di ispirazione principale, non tanto perchè fanno cose straordinarie, ma perchè di fronte al proprio padre sono i più straordinari. Sono figli, non i migliori, non quelli perfetti, ma figli: insostituibili e inimitabili. Quanto mi permettono di vivere genera automaticamente opportunità e occasioni di racconto. Ma accanto a loro c'è mia moglie, anche lei musa a suo modo. E tanti amici.
A volte apro il Blog per leggere (e leggo molto) e senza intenzione di scrivere, poi in un attimo scocca la scintilla: un pensiero, un episodio, un'esperienza e le parole scorrono spontanee. Non ho il tempo di costruire il Bolg, vivo il tempo di animarlo con quanto riesco a fissare prima dentro di me, poi tra le parole di un post. Ma è il Me che (mi) interessa di più.
Non ne so curare gli elementi più propriamente estetici o coreografici: per me è scrivere. E' semplice sceneggiatura che si costruisce di giorno in giorno (anche in quelli vuoti di parole scritte) dentro una visione - la mia - di quanto mi circonda. La mia visione che accetto e mi piace condividere non per dimostrare chissà che cosa, ma semplicemente perchè sotto sotto so che generare sorrisi o pensieri non nuoce alla salute di nessuno.
Questo è il cento. Non so perchè, ma questo numero mi ha ispirato così. Grazie!


giovedì 7 giugno 2012

Sicuro di essere normale?

La normalità: ma che cosa è? Ma io sono normale? È normale quello che faccio, penso, scelgo? Se mi guardo intorno con che criterio posso dire che una persona è normale oppure no?

A me piace la normalità intesa come il procedere della vita quotidiana, con tutte le sue novità che la rendono diversa e imprevedibile istante dopo istante. Mi piace la normalità che non ha necessità dell’evento straordinario o dell’uscire continuamente dell’ordinario per conquistare significato. Mi piace la normalità e non sopporto che la si identifichi a banalità: la quotidianità è tale solo per chi la sopporta, non per chi la vive! E a me piace viverla.

Ma non sopporto pensare che esista una normalità da applicare alle persone come se ci fossero dei regimi comportamentali al di fuori dei quali ci si possa permettere di definire uno meno normale di un altro. Neppure se ci fosse di mezzo una patologia, paradossalmente.
Se la mettiamo così  voglio non essere normale! Voglio essere una persona che si rigenera grazie agli opposti della normalità. Mi piacerebbe essere non ordinario, non omologato, poco usuale, insolito, insano, inconsueto, illogico, innaturale, particolare, raro… e vorrei i mie figli così. Sì, non li vorrei normali: mi piacerebbe non vederli ancorati alla staticità di un conformismo che li spegnesse. No! Vivi, attivi, inconsueti, vivaci, illogici, capaci di attraversare la vita, non di farsela scorrere addosso. Capaci di ribellarsi al preconfezionato. Che non dicano mai “di solito faccio così”, “ormai mi sono abituato a…”. Che abbiano coraggio di manifestare la propria libertà, soprattutto nelle idee. E l’idea spesso è
So di apparire molto normale (fin troppo), so che in fondo risulto un tipo  equilibrato, mi piace autodefinirmi “un italiano medio”… più normale di così si muore, ma non riesco a identificare la normalità del fare, con quella dell’essere: no, sono due mondi  da separare!
La persona può amare e difendere a spada tratta  la normalità del tempo che vive, ma sarà per “definizione genetica non normale”. Deve amare la propria a-normalità come evidenza della propria unicità, del proprio essere diversa da un'altra. Una diversità che non è una minaccia, ma un bene! Alla fine il voler normalizzare il pensiero e il costume delle persone significa voler uccidere il futuro e paralizzare il presente.
Un quotidiano normale pieno di persone coscientemente anormali: questo è il massimo!

venerdì 25 maggio 2012

"L'importante è la vita eterna"


Era proprio così

Quando ero un idealista poco più che ventenne – a me l’Attimo Fuggente fece piangere -  nel retro della mia prima macchina (una mitica 127 bianca, che mi avevano regalato… era in fin di vita ma per un anno fece il suo dovere con dignità. A proposito i miei amici l’avevano soprannominata Sharon – era il tempo di 9 settimane e mezzo – perché dicevano che la prestavo a tutti, ma è un dettaglio) campeggiava un adesivo – mo’ lo so mi prenderete per scemo – con questa scritta: “L’importante è la vita eterna!”. Rappresentava la mia filosofia di vita: non affannarsi troppo per il presente perché comunque prima o poi…. In più – sull’auto -  era un monito per chi imprudentemente si avvicinava troppo col proprio davanti. Frena! Altrimenti… chiaro il messaggio?
Era un segno distintivo, forse un po’ irriverente, che mi rappresentava almeno nella voglia di pensare oltre. Alcuni mi prendevano in giro, ma me ne fregavo.
Sono passati più di vent’anni… miiiii, una vita (o forse più vite) fa’! Ma a quella frase sono ancora affezionato. Per la dimensione mistica che racchiude in sé. Per la  prospettiva interessante che suggerisce (a me la possibilità dell’eternità non mi disturba affatto). Ma soprattutto per l’intrigante visuale sul presente che mi sa indicare. Il presente come dimensione non assoluta: da prendere sul serio, certo. Da vivere intensamente, ci mancherebbe. Da valorizzare in tutti i sui aspetti positivi: senza dubbio.
Ma c’è sempre un dopo. Ci sarà sempre - fin che dura - … e porterà con sé sia un sacco di possibilità. Di finire quanto in quel presente è mi è rimasto indietro. Di riparare o sistemare eventuali danni che ho fatto. Di correggere percorsi iniziati col piede sbagliato. In fondo di realmente irreparabile c’è proprio poco nella vita. “L’importante è la vita eterna” mi usciva spontaneo quando vedevo troppa apprensione, troppa tensione sulle cose. Quando mi sembrava si desse eccessivo peso (nel bene e nel male) a un fatto, ad una scelta o ad un’opinione.
Confidare in questo futuro prossimo e a portata di mano, o infinito e quindi apparentemente lontano (ma già sperimentabile…se è eterno c’è già adesso. O sbaglio?... vabbè la filosofia vera un’altra volta), pian piano mi ha permesso di essere un po’ più tollerante. Un po’ più pacifico. Un po’ meno esigente. E pure un po' più ironico. 
Oddio, sono per natura un po’ scassapalle. So rompere con una certa costanza se qualcosa non mi quadra, e – porca miseria – che fatica a volte tenere la lingua a freno! 
Ma una parte della mia filosofia di vita (le altre le rivelerò più avanti) non può più prescindere ormai da quella frase. L’adesivo non è più su Sharon… è stampato nella mia testa!
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