Bea e Filippo

Bea e Filippo
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lunedì 17 settembre 2012

Ascòltati. E Ascolta.

Succede e non di rado. Ti vedi in un modo, sei convinto di comportarti così e cosà. Hai quasi la granitica certezza di essere impeccabile. Che ti manca? Nulla, a tuo modo di vedere. Massì, qualche piccolo difetto c'è sempre: gentile concessione alla natura umana, per se stessa non perfetta.
Eppure succede. Ti vedono in un altro modo, appari molto meno impeccabile. In certi momenti lasci di stucco. O comunque generi una visione divrersa da quella che ti eri costruito.
Succede. Certo che succede: l'immagine che si ha di se stessi non sempre corrisponde a quella che hanno gli altri. 
Domanda che sorge spontanea: dove sta l'immagine? Dove sta l'essere (o la realtà)?
Oppure si deve per forza convenire che l'immagine corrisponda all'essere?
Lo so che stasera mi sto addentrando in meandri davvero complicati. Ma ogni tanto affrontare il complicato può essere utile. O almeno interessante.
Fatto sta che l'interrogativo si ripresenta con energia: perchè è così difficile in certe fasi (o spesso, o sempre) della propria vita essere come si appare o apparire come si è realmente?
Di più: fare in modo che, come si appaia a se stessi, così si riesca serenamente ad essere (davvero se stessi) di fronte agli altri.
Di risposte vere e proprie non ne ho perchè da una parte dovrei sostenere che spesso ci si costruisce un'immagine di se stessi un po' idealizzata - e toccare l'io è un casino perchè mi si incavola di brutto -, dall'altra dovrei invece puntare il dito sul mondo esterno (genericemnte gli altri) che, invece, è sempre a caccia dell'errore pronto a scovare la pagliuzza senza tener conto della propria trave.
Ma le risposte, a onor del vero, ci sono. Basta saperle vedere (ascoltare) e accettare.
La scarsa abitudine ad accettare che "essere fatti" in un certo modo (con tutti i limiti e le imperfezioni del caso) è un dato di fatto e quindi è inutile nasconderlo a se stessi.
Imparare a piacersi partendo dai propri limiti aiuta ad essere liberi e senza timori rispetto ad eventuali distonie tra come si è e si vorrebbe apparire. Ma allo stesso tempo genera il desiderio di affrontare il limite non come una presenza fatalisticamente intoccabile, ma come un piccolo "avversario" affrontabile. E perchè no: battibile.
Che ascoltare come gli altri ti vedono può essere interessante... e utile.
Val la pena quindi prendersi del tempo per ascoltarsi... e per ascoltare. Val la pena.

giovedì 30 agosto 2012

Ascoltare i propri figli: si può?


"...Una vera e propria favola moderna a cui sottende una morale più che mai attuale: l'importanza dell'ascolto come strumento di conoscenza di se stessi e dell'altro e soprattutto l'importanza del dialogo come strumento di unione generazionale, dove la forza immaginativa di un bambino diventa terreno di comune crescita, a prescindere da ogni tipo di età e ruolo.L'ascolto di un bambino da parte di un adulto è una conquista recente. Per secoli adulto e bambino non si sono, realmente, parlati. Un bimbo si poteva curare, educare, magari proteggere, ma non era previsto che lo si potesse (e men che mai dovesse) ascoltare. Il bambino non era, propriamente, un "soggetto". Il concetto che un bambino abbia il diritto di esprimere le proprie esigenze e sia un soggetto attivo che deve essere ascoltato è un concetto che solo da poco è entrato nella psicologia, nella pedagogia e persino nella legge (Maurizio Quilici)".


Grazie alla segnalazione di Babbonline ho letto un articolo molto interessante (che ho linkato). Interessante non tanto per la Trilli-presentazione, anche se il personaggio piace molto a Bea e neppure per l'ipotetica rappresentazione paterna che il "cartons" in questione promette di trasmettere, si vedrà. Mi ha interessato il tema dell'ascolto del bambino da parte di un adulto, quindi da parte del padre. E quindi si parla anche di me.
Quest'estate mi sono accorto in maniera evidente che i miei figli parlano. Un sacco. Filippo sembra una radio e Bea non è da meno. Filippo però è nella fase del "cos'è questo, cos'è quello, perchè è così, perchè fai così" oppure del "papà mi racconti ecc.". Bea è più femmina (in senso bonario), il suo parlare è più mirato, calcolato. E' pure intercalato da silenzi impenetrabili: quando non vuol dirti certe cose non la smuovi. E' tosta, la piccola. I momenti peggiori sono quando parlano entrambi contemporaneamente. Se ascolti uno fai ancavolare l'altro e viceversa... un casino.
Ma il punto non è il loro parlare, ma il mio ascoltare. A volte lo ammetto un po' mi rompo... questo turbinio di parole spesso poco coordinate e senza un filo del tutto logico (secondo la mia percezione di adulto) mi stordisce. Dico "sì, va bene, che bello, bravi ecc." ... parole buttate lì tanto per non sembrare indifferente, ma di fatto poco coinvolte dai loro discorsi.
Di contro quando la mia voglia di ascolto si riattiva o è ben predisposta, può succedere che dall'altra parte ci sia il muro del silenzio implacabilmente levato. Stimolo, chiedo, suggerisco: nulla. Soprattutto con Bea cavare una parola è un'impresa.
Mi trovo comunque nella fase iniziale: i miei hanno 3 e 5 anni, ma sto già capendo (e cerco di affrontarle) alcune dinamiche interessanti.
Se voglio ascoltarli davvero, e quindi costruire un dialogo, devo saper cogliere i loro tempi e non i miei: comandano loro, non vanno a comando. Non si scappa!
Devo abituarmi ad avvicinarmi a loro e non pretendere che siano loro a salire al mio livello: ascoltarli significa imparare ad accettare sia i loro ritmi espressivi (a volte lenti, molto lenti... troppo lenti), che le loro contorsioni linguistiche e mentali, non sempre di facile interpretazione. Anzi.
Mi devo poi trattenere dal banalizzare pensieri e parole che dall'altra parte (quella del bambino) invece sono importanti. Il livello di profondità deve avere altre misure che non partano dal mio modo di vedere o di comprendere ma dal loro. Questa è l'asimmetria naturale, quella che non deve farmi arrabbiare (se non capisco o non capiscono), ma semplicemente aiutarmi a mettermi in gioco. Il gioco del loro crescere lento.
Saper sorridere se l'intento è quello, ma solo in questo caso: rischiare di deridere è fonte di delusione.
L'ascolto è divertimento e sforzo: a volte insieme, spesso distinti, ma so di poterli (o doverli) vivere entrambi. Pace all'anima mia.
Ascoltare per capirli, per conoscerli meglio, per saperli mantenere più vicini: non si tratta di un semplice esercizio pedagogico, è qualcosa di molto più profondo. Me lo metto in testa?
Non voglio esplorare meccanismi più complessi... mi vengono in mente molte altre esperienze o interrogativi (perchè certi loro silenzi anche di fronte a noi genitori?), ma probabilmente per andare oltre devo lasciarli crescere ancora un po'.
Cara Trilli, mi sa che mi serve un po' della tua polverina magica. Ti aspetto!


mercoledì 18 aprile 2012

Asimmetria e armonia, lasciamo fare ai bambini

Ho finalmente riordinato pensieri  informi che mi frullavano nella testa su alcune situazioni che vivo... vediamo che ne esce.

Asimmetria. Potrei definirla così la condizione che si genera tra il modo di essere e lo stato d’animo che vivo in certe circostanze e quello che invece vivono i mie figli. Non si tratta di una semplice differenza anagrafica è proprio un asimmetrico dispormi di fronte a quel momento preciso o a quella situazione. Tra me e loro a volte c’è un abisso: sorrisi e serenità contro mente svagata o pensieri inquieti, voglia di fare contro stanchezza; desiderio di essere ascoltati contro voglia di silenzio e calma. Tante mie impazienze, il mio diverso modo di percepire le cose, i mio quotidiano retro pensiero legato alle ore trascorse fuori casa con i soliti annessi e connessi del lavoro, degli amici, dei parenti, degli appuntamenti, del “vorrei ma non posso o non ho tempo”, tutto questo e ancor di più, a volte sfocia in un atteggiamento di insofferenza (asimmetria) proprio nei confronti dei bambini. Spesso faccio una cosa e ne penso un’altra, con un orecchio ascolto i figli e con la mente sono già proiettato a situazioni diverse. Gioco con loro e ho un occhio sul telefono: in attesa di messaggi? Di telefonate? Spesso di nulla né di urgente né di interessane, magari solo di qualcosa che permetta per un attimo un distacco. Questa situazione disarmonica spesso si genera per cause contingenti e indipendenti dalla volontà (stanchezza, fatica, malessere, piccole delusioni o insuccessi), a volte invece è segno di un percorso non ancora ultimato (che forse non si ultimerà mai): è l’accettazione della presenza di figli non come limite, vincolo o condizionamento, ma come libertà o compimento del presente.
Armonia. E’ invece ciò che cerco maggiormente. È la meta a cui aspiro per me, per i miei figli, insomma per la mia famiglia. Armonia come clima che sappia stemperare tutto ciò che possa in qualche modo rendere più forte l’asimmetria. È la condizione che sappia comprendere in sé ogni componente della famiglia come al suo posto, veramente a casa propria.  Non penso al mondo dei sogni o al “paese delle meraviglie”: semplicemente è il desiderio per la mia casa!
Ci sono giornate in cui prevale la prima condizione, altre in cui prevale la seconda e la vera gara è aumentare le seconde. Oppure, più semplicemente comprendere perché esistono le prime e si ripetono, e fare in modo che diventino sempre più rare.
Sto scoprendo comunque che, nonostante a volte possa sembrare il contrario, devo solo imparare a riconosce che i bambini - i mei figli - sanno costruire armonia: il loro mondo è molto più semplice, si rianima di attimo in attimo senza condizionamenti particolari. Sa ricaricarsi con un semplice sorriso, capovolgendo spesso situazioni poco serene. Dare più spazio a loro forse è l'antidoto migliore!
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