Bea e Filippo

Bea e Filippo
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venerdì 6 dicembre 2013

Papà, il nonno è in cielo?

Filippo (il mio piccolo) a volte se ne esce di botto con domande a bruciapelo, che mi lasciano di stucco. 
"Papà, il nonno è in cielo?"
Il nonno a cui si riferisce è mio padre che è mancato nel più di dieci anni fa. Quando sta con mia mamma gli capita di vederne la foto. Anche di fare un giro al cimitero.
E nel suo dialogo con la nonna a lei è venuto immediato e spontaneo dire a Filippo che il nonno è in cielo.
Filippo però mi ha chiesto, qualche tempo fa,  la conferma. “Papà, il nonno è in cielo?”.
Questa domanda in questi giorni mi è tornata ripetutamente alla mente. Perche da una parte unisce l’interrogativo di un bambino – semplice e profondo -  e il ricordo di mio papà, ma anche – ed è la fatica di questi giorni – l’addio a due persone che improvvisamente ci hanno lasciato. Persone con legami e intrecci diversi. Uniti dal vuoto lasciato e dal dolore di amici. Un dolore che se anche solo sfiorato, non lascia indifferenti.
Papà, il nonno è in cielo?”.
Caro Filippo, sì il nonno è il cielo. Da lassù ci è accanto. In un modo diverso continua a volerci bene.”
Ho scelto la via diretta, quella di chi crede nella vita dopo la morte. La via di una speranza, magari fragile, ma sempre capace di rianimarsi nel confidare che non tutto finisca con la morte.

A Filippo è bastata quella risposta. Cercava una semplice conferma e per ora il discorso si è chiuso lì. Bea ha ascoltato. In silenzio. Per ora.
Ma sono certo che le domande torneranno. Non sarà solo un problema di luogo, il cielo. Sarà l’interrogativo legato alla morte, al non esserci più di persone care. Al dolore che genera ogni distacco.
Questo aspetto è parte della nostra vita. Non serve nasconderlo o cambiare discorso. Tanto ci tocca. Sempre. Bisognerà condividere esperienze. Far capire che abbiamo le risorse per affrontare anche questi momenti. Che non si deve fuggire dalle evidenze, ma affrontarle. Che non tutto è comprensibile al cento per cento, ma non per questo senza significato.

Ma un conto è dare risposte a me stesso. Far crescere e coltivare le speranze con i dubbi. Far camminare insieme le certezze con gli interrogativi. E sintetizzare tutto nel sentire del credente. Senza vuote consolazioni.
Diverso è porsi di fronte ai propri figli con questo tema. La morte, il distacco, il dopo. Il dolore, il vuoto generato dalla scomparsa dei propri cari.
Da una parte perché non si tratta di una mera questione teorica: spiegare non riesce a definire le dinamiche che si genera affrontandola.
Ma allo stesso tempo ha bisogno di parole che ne facciano intravvedere i risvolti, le dinamiche, le implicazioni.

Per ora mi è toccato solo sfiorare la questione. Ma so che prima o poi i miei figli mi richiameranno in causa: con la loro semplicità. Priva di compromessi.

Attendo … e ci penso.

mercoledì 13 novembre 2013

Parigi e ... distacco

L'ultimo è stato 2 anni fa... (o 3?)... non ricordo con precisione. A Berlino, ponte di S. Ambrogio. Bello.
Venerdì invece si va a Parigi. Soli. Io e la mia dolce metà. Un viaggio in cantiere da un sacco di tempo. Messo in agenda come desiderio di prenderci uno spazio nostro. E si partirà.
I bambini al "sicuro": Filippo in Valtellina: "Papà, mi raccomando non venirmi a prendere prima di domenica, voglio stare qui almeno una settimana".  Chi "lo ammazza quello"? Lui sta pacifico in Valle: gioca con cugino e amichetti, si fa coccolare dalla nonna, dorme quanto gli pare... si riossigena. 
Bea invece, sotto la supervisione della nonna Renata, sarà ospite da due amiche: "Mamma, ma quando andate a Parigi, così che io vado da Sara e Chiara due giorni?". Spavalda pure lei, di fatto s'è praticamente organizzata da sola.

Noi partiremo tranquilli. Lo eravamo anche 2 inverni fa (mi sono ricordato: Berlino 2011), ma adesso un po' di più. Sono i bambini stessi che ci rendono sereni. Ce lo dicono e lo leggiamo nei loro volti.
Questi distacchi, seppur brevi, sinceramente mi pesano sempre meno. Nel senso che non mi causano più ansie o preoccupazioni. Nella loro crescita si sta facendo spazio non solo una certa capacità  di rimanere sereni lontani da noi (con i nonni o da  amici), ma anche quel pizzico di autonomia che rende il distacco un'esperienza... e non una penitenza.
Altre volte ho accennato a questo tema, nel contesto della nostra famiglia. Rimane sempre vivo il mio desiderio che in loro cresca una certa autonomia. La speranza che possano sentirsi a loro agio anche con altre persone. Questo per loro, anzitutto. 
Non so se si tratti di una questione di carattere personale, di attitudine. O abbia contribuito una certa abitudine a stare fuori di casa che fin da piccoli abbiamo cercato di condividere con loro.
Sta di fatto che Bea e Filippo non vivono come un dramma lo stare un poco lontani da mamma e papà. Mamma e papà riescono quindi a "sopportare" queste parentesi senza ansie o drammi. Possono godersi momenti tutti loro proprio perché Bea e Filippo sono così. a
Tutto questo non pregiudica l'unità familiare, né la rende meno solida. Né allarga le dinamiche inserendo progressivamente situazioni di lontananza che saranno poi il destino che la vita riserverà. Senza enfasi. Ma con i riconosciuti benefici. Posso chiamarla fortuna?

Parigi, arriviamo!

mercoledì 9 maggio 2012

Il sentirsi a “casa” anche lontano da casa

Stasera, papà e Filippo al telefono:
"Ciao Filippo, come stai?”.
“Bene!”.
“Che cosa hai fatto di oggi di bello?”.
“Giocato”.
“E poi”.
“Piantato i pomodori nell’orto con la nonna, mi sono tutto sporcato di terra…e la zia mi ha lavato. Non volevo!”
Silenzio… e in sottofondo sento: “Basta, nonna, vado a giocare”.
Colloquio con figlio in vacanza dalla nonna: durata 20 secondi!
Eppure Filippo a casa è un super coccolone della mamma, ma soprattutto del papà!
Quando è con la nonna in montagna (o con l’altra nonna qui a 200 mt da casa) rivela un lato di sé che mi (ci) stupisce: la sua adattabilità (si dice così?), il suo sentirsi “a casa” anche lontano da casa.
Ogni volta che io e mia moglie lasciamo o Filippo o Beatrice qualche giorno dai nonni o per esigenze particolari o anche solo (come in questo caso) per concedere un momento di rigenerazione fisica in un ambiente più compassato e tranquillo, per qualche momento compare in noi una specie di groppo in gola. Sindrome “d’abbandonamento”? Senso di colpa? Non so.
Per fortuna quello che ci tranquillizza è come i nostri figli sappiano vivere questi momenti con estrema naturalezza, come  non soffrano il distacco. E ci consola il modo con cui vivono -  con estrema gioia -  il ritorno alla propria casa. Forse è questione di abitudine, di sicurezza fornita da ambienti comunque ritenuti molto simili a quello familiare. Probabilmente sta contribuendo molto a questo loro atteggiamento la nostra decisione fin da piccoli di abituarli a stare anche con i nonni, fuori casa per qualche giorno (anche senza particolari necessità o urgenze). Istigazione all’autonomia? Magari esagero, ma sapere di avere bimbi sereni e tranquilli anche fuori casa, comunque rende me e mia moglie molto più rilassati. Il sapere che si sanno staccare dalla “gonna della mamma o dai pantaloni del papà” senza mostrare particolari traumi, ci rende consapevoli di aver favorito in loro un sano spirito di adattamento, mai trascurabile. Possono così scrutare ambienti diversi, fare esperienze nuove.
Allargare i loro orizzonti grazie anche a insoliti e particolari incontri con persone, situazioni e cose diverse. Trascendere per qualche giorno l’ordinario per essere sempre pronti all’eventuale straordinario.  Mi ripeto: la diversità, l’insolito e il nuovo come risorsa e ricchezza e non come minaccia! Sono convinto che non solo “tutto fa brodo” nella loro crescita, ma il “ brodo buono” vada ricercato con attenzione perché diventi per loro nutrimento gradito e quindi non gli rimanga sullo stomaco.

mercoledì 18 aprile 2012

Asimmetria e armonia, lasciamo fare ai bambini

Ho finalmente riordinato pensieri  informi che mi frullavano nella testa su alcune situazioni che vivo... vediamo che ne esce.

Asimmetria. Potrei definirla così la condizione che si genera tra il modo di essere e lo stato d’animo che vivo in certe circostanze e quello che invece vivono i mie figli. Non si tratta di una semplice differenza anagrafica è proprio un asimmetrico dispormi di fronte a quel momento preciso o a quella situazione. Tra me e loro a volte c’è un abisso: sorrisi e serenità contro mente svagata o pensieri inquieti, voglia di fare contro stanchezza; desiderio di essere ascoltati contro voglia di silenzio e calma. Tante mie impazienze, il mio diverso modo di percepire le cose, i mio quotidiano retro pensiero legato alle ore trascorse fuori casa con i soliti annessi e connessi del lavoro, degli amici, dei parenti, degli appuntamenti, del “vorrei ma non posso o non ho tempo”, tutto questo e ancor di più, a volte sfocia in un atteggiamento di insofferenza (asimmetria) proprio nei confronti dei bambini. Spesso faccio una cosa e ne penso un’altra, con un orecchio ascolto i figli e con la mente sono già proiettato a situazioni diverse. Gioco con loro e ho un occhio sul telefono: in attesa di messaggi? Di telefonate? Spesso di nulla né di urgente né di interessane, magari solo di qualcosa che permetta per un attimo un distacco. Questa situazione disarmonica spesso si genera per cause contingenti e indipendenti dalla volontà (stanchezza, fatica, malessere, piccole delusioni o insuccessi), a volte invece è segno di un percorso non ancora ultimato (che forse non si ultimerà mai): è l’accettazione della presenza di figli non come limite, vincolo o condizionamento, ma come libertà o compimento del presente.
Armonia. E’ invece ciò che cerco maggiormente. È la meta a cui aspiro per me, per i miei figli, insomma per la mia famiglia. Armonia come clima che sappia stemperare tutto ciò che possa in qualche modo rendere più forte l’asimmetria. È la condizione che sappia comprendere in sé ogni componente della famiglia come al suo posto, veramente a casa propria.  Non penso al mondo dei sogni o al “paese delle meraviglie”: semplicemente è il desiderio per la mia casa!
Ci sono giornate in cui prevale la prima condizione, altre in cui prevale la seconda e la vera gara è aumentare le seconde. Oppure, più semplicemente comprendere perché esistono le prime e si ripetono, e fare in modo che diventino sempre più rare.
Sto scoprendo comunque che, nonostante a volte possa sembrare il contrario, devo solo imparare a riconosce che i bambini - i mei figli - sanno costruire armonia: il loro mondo è molto più semplice, si rianima di attimo in attimo senza condizionamenti particolari. Sa ricaricarsi con un semplice sorriso, capovolgendo spesso situazioni poco serene. Dare più spazio a loro forse è l'antidoto migliore!
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