Bea e Filippo

Bea e Filippo

venerdì 13 aprile 2012

Famiglia e lavoro: la questione del tempo.

Il tema famiglia e lavoro a me sta davvero molto a cuore, non solo perchè tocca sul vivo la mia esperienza e quindi quella della mia famiglia, ma perchè incide a volte proprio sull'andamento della vita familiare stessa. E' un tema comunque molto ampio che tocca di fatto tanti aspetti: la questione del tempo-lavoro, della realizzazione personale, delle relazioni che condizionano, della carriera ecc. Mi soffermo sul tema del tempo, sfiorando altri aspetti. Sul resto magari ci tornerò in seguito.
Il lavoro occupa davvero tanto tempo e per logica conseguenza nè toglie molto ad altre esperienze tipo la famiglia. Spesso è davvero complicato conciliare la necessità di stare al lavoro con le problematiche connesse alla presenza, ad esempio di bambini piccoli. Quanti salti mortali, quante rincorse, quante problematiche (asili, baby sitter, nonni, feste, vacanze, malattie ecc.). E non è un problema solo delle mamme, tocca la famiglia nel suo complesso e in certi casi forse di più i papà. Ma sotto col tema lanciando qualche considerazione o provocazione...
E' un dato di fatto che oggi certi perversi meccanismi tipici della visione del lavoro in alcuni settori e luoghi di lavoro (il mio per fortuna non è tra questi, ma lavorando a Milano potrei portare decine di esempi) impongono, anche se non in modo esplicito, questa equazione: lavoro = passare almeno 10 ore in ufficio. Anche se poi per concludere in maniera serena quanti ti è affidato le 8 ore contrattuali sarebbero più che sufficienti. Questo è determinato sia dal concetto "di urgenza perenne" applicato ad attività non solo programmabili, ma spesso tranquillamente gestibili “il giorno dopo”, sia da una sorta di consuetudine geneticamente acquisita: il lavoro non ha tempo, il lavoro vale quanto occupa tanto tempo e tu lavori veramente  se dedichi più tempo. Spesso non si sta sul luogo di lavoro per necessità o per piacere, ma per abitudine, esagero? Può darsi.
Sono convinto, invece, che si debba fare un grosso passo avanti generale (e forse generazionale) su alcuni temi di cultura del lavoro: la flessibilità (o la ridefinizione) dell’orario di lavoro in primis. Su questo tema esistono direttive Europee, del Governo e un interessantissimo Libro Verde della Regione Lombardia che richiamano le Aziende a cambiare mentalità. Oggi molti lavori potrebbero essere impostati in maniera molto più “libera”, con tempi e modi affidati alla responsabilità del dipendente, il quale poi giustamente andrà valutato in base ai risultati che ottiene e alla produttività che dimostra. Conosco aziende illuminate che permetto di lavorare da casa e forniscono i supporti tecnologici per farlo;  e hanno “scoperto” che la produttività dei dipendenti in questo modo aumenta. Ho letto tempo fa  che un’altra azienda (un’importante multinazionale) ha tolto l’obbligo della timbratura (il dipendente segnala solo la presenza in uff.) e dopo una sperimentazione di 6 mesi ha verificato anche non solo un aumento della produttività, ma soprattutto un accresciuto attaccamento al lavoro – e all’azienda – perchè in quel modo si è permesso di ridurre il grado di complessità e di stress legato al conciliare famiglia e lavoro. Non si è ridotto il tempo lavoro, ma lo si è plasmato su esigenze diverse. Certo un approccio di questo tipo comporta dinamiche organizzative interne diverse, una certa rigorosità nel rispetto comunque di tempi ci compresenza necessari, e così via. In questo caso basterebbe guarire dalla bulimia delle riunioni e molte questioni sarebbero risolte.
E’ pur vero (e qui non ci si può nascondere dietro un dito) che certi gradi di responsabilità e certi tipi di  lavori implicano necessariamente non solo una presenza fisica duratura sul posto di lavoro e coinvolgimenti molto intensi  che non si concilieranno mai con una presenza di un certo tipo in famiglia. Ma qui, a mio avviso, si entra anche nel campo delle scelte personali (tutte comprensibili e rispettabili). Con la consapevolezza che chi utilizza il lavoro per stare lontano da casa, ma questi sono cavoli suoi.
Personalmente sono convinto che il "trinomio" produttività (che genera profitto), soddisfazione (sia del dipendente che dell’azienda) e famiglia possa funzionare solo se si costruisce una nuova e vera “alleanza” tra azienda e dipendente: il lavoro deve in un certo senso sapersi adattare alle trasformazioni che la società oggi ha già in essere e  che nessuno può fermare. Ma qui servono manager o imprenditori illuminati che sappiano andare oltre il contingente e sappiano dare il peso giusto a quello che conta: professionalità, competenze, responsabilità, soddisfazione e produttività. Servono istituzioni in grado di progettare e anticipare un futuro che comunque ci travolgerà e magari anche sindacati che capaci di guardare avanti e non solo indietro o sotto il naso. Si tratta di svolte per certi versi epocali, che prima o poi comunque arrivano e quindi non vedo perchè non si debba fare lo sforzo di anticiparle: così non si è travolti, ma si riesce a governarle.
A me capita di dover prendere permessi per situazioni legate ai bambini o di stare a casa per le loro malattie. Se ho scadenze urgenti lavoro senza problemi da casa, mi ritaglio spazi per fare ciò che serve ed è necessario in quel momento, ma paradossalmente non lo devo dire perchè ufficialmente non sono sul posto di lavoro, oggi è così.
Purtroppo siamo in un Paese che su questi temi a mio avviso è ingessato e legato a stereotipi del passato. Mi auguro soltanto che i nostri figli possano trovare condizioni diverse e sono certo che questo può dipendere molto  anche da noi, dallo scenario culturale e sociale che saremo in grado di ricostruire.

Mi ha ispirato questo articolo: http://genitoricrescono.com/padri-penalizzati-dallorganizzazione-del-lavoro/

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