Bea e Filippo

Bea e Filippo

martedì 3 aprile 2012

Sgridare o tollerare?

Odio sgridare i mei figli, arrabbiarmi con loro! Non che non ritenga opportuno e utile in certi casi farlo, d’altronde è un modo brusco ma spesso pratico per far capire quello che va o non va fatto, o ciò che può essere fatto meglio. E comunque ogni tanto ne combinano proprio delle belle!
So che il rimprovero li può aiutare pian piano a riconoscere certi loro limiti (es. aggressività) o addirittura a maturare nel tempo una visione più chiara del “bene e del male” (almeno secondo la  percezione che provochiamo  noi genitori di essi – il bene e l male -   e, anche se non ce ne accorgiamo o non lo vorremmo fare di proposito, ciò avviene, per fortuna mi vien da dire).
Ma quanto mi arrabbio con loro  quello che ci rimane più male sono io. E’ come se leggessi nei loro occhi la sorpresa o la delusione  di vedere il papà (o la mamma, non cambia molto) arrabbiato. A volte non sono neppure sicuro che quello che hanno combinato e che ha scatenato il mio rimprovero, più o meno energico, fosso stato fatto con la consapevolezza, con l’intenzione  di essere cattivi, maleducati, prepotenti ecc. Sono i dubbi che mi sorgono quando magari sgrido per una presunta disattenzione e invece è palese il  limite non ancora superato, quando alzo la voce per richiamare attenzione e probabilmente in quel momento sto dicendo cose che fanno fatica a capire. Oppure perdo la pazienza perché mi sembra di scorgere un atteggiamento strafottente e invece è soltanto un modo diverso di affrontare quella situazione. Peggio ancora è quando divento intollerante ad atteggiamenti o a modi di fare in altre occasioni tranquillamente tollerati, perché in quel frangente sono stanco o irritato da altro. In questi casi so di generare anche disorientamento e sono certo che i miei figli, anche se non osano farlo, in quel momento si chiedono: “perché ti arrabbi papà?”. Infine, qui lo scrivo e qui lo rinnego, mi capita pure di rimproverare un atteggiamento non perché sbagliato, ma perché in quel frangente semplicemente mi dà fastidio.
Detto questo, proprio perché è un modo di fare che non mi piace mi sforzo di sgridare o alzare la voce il meno possibile. Cerco di risolvere il più possibile quello che  ritengo sbagliato con un approccio meno aggressivo, un po’ più conciliante… anche se è spesso, lo ammetto, è molto complicato. Tento di usare un  tono più deciso  solo se valuto un’azione più grave di un’altra: proporzionare il “grado di arrabbiatura” in base  alla gravità dell’azione compiuta, questa è la vera sfida. Sono convinto che questo criterio sia molto importante: è molto più grave dare un pugno sui denti al fratello e alla sorella o sporcarsi un po’ perché si è maldestri nel magiare o nell’utilizzare i pennarelli?. Eppure a volte dal modo e dal tono utilizzato per i rimproveri corrispondenti non si nota la differenza: meglio, i bambini non vedono la differenza dalla mia reazione. So che può essere pericoloso non  riuscire a generare una vera gerarchia rispetto alla gravità delle azioni compiute dai miei figli. Come aiutarli a capire ciò che è più grave o pericoloso? Come favorire in loro  la capacità di saper distinguere un comportamento molto brutto, da uno che oggettivamente lo è di meno? Domande che mi si impongono spesso e sono cifra di un modo di affrontare con i miei figli gli sbagli che loro possono compiere.  
Per fortuna che con i bambini piccoli è semplice ripartire e correggere il tiro in corsa: se anche qualche volta  il modo di intervenire è troppo severo, o addirittura non del tutto giusto, loro dimenticano in fretta. Non sanno serbare rancore e non tengono il broncio, ma ripartono velocemente ricuperando in maniera sorprendente un clima sereno. Il paradosso è che a loro torna in fretta il sorriso, mentre a me è ancora in corso la tristezza per la sfuriata di qualche minuto prima. Ma in questo caso mi vien da dire: beata infanzia!

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