Bea e Filippo

Bea e Filippo

giovedì 3 maggio 2012

“Papà, perché Gesù ci ha inventati?”

Beatrice: “Papà, perché Gesù ci ha inventati?”. Rispondo, preso un po’ alla sprovvista: “Perché il mondo che aveva già alberi, boschi e animali, potesse essere abitato anche da uomini”. “Ma Gesù è anche un uomo?”, riprende Beatrice: “E’ il figlio di Dio, che però ha voluto diventare uomo come noi per insegnarci a  volerci bene”… vado un po’ a memoria, e Bea, distratta da Filippo che le ha rubato il suo polipetto, non approfondisce e per certi versi tiro un sospiro di sollievo.  Non per mancanza di preparazione, ma perché mi costringe ad uno sforzo importante rispetto al tentativo di spiegare in modo comprensibile. L’ora di religione all’asilo la sta stimolando a porre spesso domande. Le sorgono però improvvise, frutto della sua elaborazione poco razionale e molto istintiva. Domande che hanno un loro senso, ma che non hanno ancora un terreno su cui fondarsi per cui le risposte sono sempre difficili da calibrare o formulare in modo per lei soddisfacenti.
Ma al di là di una seppur sommaria valutazione della capacità di comprendere di mia figlia, rimane aperto in me il tema che queste domande aprono: quello della fede. Nella mia esperienza, nella mia formazione, nella mia vita si apre un mondo importante al quale non mi voglio addentrare, per ora. Mi limito a considerare questo approccio (la fede) alla vita che coinvolge molte persone, ne sfiora altrettante e viene ignorato ugualmente da molte altre.
Credere in Dio, avere un fede di riferimento. Decidere per sé che esiste la possibilità di affrontare la vita con orizzonti che possono trascendere la nostra mente o il nostro essere razionale. Affidarsi ad un Dio apparentemente lontano, ma per fede tanto vicino. Costruire il proprio patrimonio di valori, di senso dell’agire non esclusivamente su un’etica condivisa, o personale o su costumi socialmente assimilati, ma su “comandamenti”, sul Vangelo. Tutto questo e molto di più, ad un certo punto e in qualche modo, entrerà anche nella vita dei miei bambini. Che sia io come genitore a facilitarne il percorso o sia determinato da quanto incontreranno nel contesto sociale in cui si troveranno inseriti, o semplicemente da come sapranno vivere il richiamo di un mondo ricco di simboli religiosi che siano cristiani, musulmani, buddisti; a prescindere da tutto questo con il credere in qualche cosa avranno a che fare. Anche il non credere in nulla, alla fine è un credere.
Su questi aspetti della vita, senza particolari slanci e senza costrizioni di tipo fondamentalista (caratteristica ben lontana dal mio essere) mi piace fare vedere che “sono di parte”. Che quello che fa bene a me può certo non far male a loro. Poi saranno loro a discernere con la loro coscienza, all’interno di un probabile lungo percorso di maturazione personale a quale fede affidarsi.
Intanto so che devo attendermi altre domande, e col tempo, accanto a quelle, un sacco di dubbi: ma se tutto quadrasse o fosse scontato che gusto ci sarebbe?


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