Bea e Filippo

Bea e Filippo

giovedì 7 giugno 2012

Sicuro di essere normale?

La normalità: ma che cosa è? Ma io sono normale? È normale quello che faccio, penso, scelgo? Se mi guardo intorno con che criterio posso dire che una persona è normale oppure no?

A me piace la normalità intesa come il procedere della vita quotidiana, con tutte le sue novità che la rendono diversa e imprevedibile istante dopo istante. Mi piace la normalità che non ha necessità dell’evento straordinario o dell’uscire continuamente dell’ordinario per conquistare significato. Mi piace la normalità e non sopporto che la si identifichi a banalità: la quotidianità è tale solo per chi la sopporta, non per chi la vive! E a me piace viverla.

Ma non sopporto pensare che esista una normalità da applicare alle persone come se ci fossero dei regimi comportamentali al di fuori dei quali ci si possa permettere di definire uno meno normale di un altro. Neppure se ci fosse di mezzo una patologia, paradossalmente.
Se la mettiamo così  voglio non essere normale! Voglio essere una persona che si rigenera grazie agli opposti della normalità. Mi piacerebbe essere non ordinario, non omologato, poco usuale, insolito, insano, inconsueto, illogico, innaturale, particolare, raro… e vorrei i mie figli così. Sì, non li vorrei normali: mi piacerebbe non vederli ancorati alla staticità di un conformismo che li spegnesse. No! Vivi, attivi, inconsueti, vivaci, illogici, capaci di attraversare la vita, non di farsela scorrere addosso. Capaci di ribellarsi al preconfezionato. Che non dicano mai “di solito faccio così”, “ormai mi sono abituato a…”. Che abbiano coraggio di manifestare la propria libertà, soprattutto nelle idee. E l’idea spesso è
So di apparire molto normale (fin troppo), so che in fondo risulto un tipo  equilibrato, mi piace autodefinirmi “un italiano medio”… più normale di così si muore, ma non riesco a identificare la normalità del fare, con quella dell’essere: no, sono due mondi  da separare!
La persona può amare e difendere a spada tratta  la normalità del tempo che vive, ma sarà per “definizione genetica non normale”. Deve amare la propria a-normalità come evidenza della propria unicità, del proprio essere diversa da un'altra. Una diversità che non è una minaccia, ma un bene! Alla fine il voler normalizzare il pensiero e il costume delle persone significa voler uccidere il futuro e paralizzare il presente.
Un quotidiano normale pieno di persone coscientemente anormali: questo è il massimo!

2 commenti:

  1. Tocchi un tasto dolente. La normalità esiste, anche se non piace, esiste nella quotidianità del fare ed esiste nel contrasto con la diversità. Anche a me piace il fatto che mio figlio sia un pensatore originale, mi piace la sua forza nel mantenersi costante nella sua incostanza e nel suo stare fuori dalle righe ... eppure non riesco ad esserne "felice". Perchè se è vero che solo chi si pone critico e aperto verso la vita riesce a portare avanti questo strano mondo, è anche vero che distinguere la normalità "del fare" da quella "dell'essere" non è facile per chi - dentro di sè - proprio non riesce ad assomigliare alla media del mondo. Io la penserei esattamente come te se non mi trovassi a gestire una diversità dell'essere che non riesce a non sbordare in quella del fare, se non dovessi vedere mio figlio sempre spiccare in mezzo agli altri per la sua incapacità di seguire i ritmi del comune sentire. Diciamo che se ci fossero più persone a pensarla come te la nostra vita sarebbe più facile e accettare gli spigoli meno doloroso, speriamo per il futuro ...

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  2. Credo che ogni vita, ogni esperienza potrebbe aprire mille parentesi, tonde o quadrate rispettoa quanto ho scritto. Infatti è quanto penso e credo non la verità sul tema. Credo che quanto vivi tu, con tuo figlio (e ti seguo con costanza) sia particolare e probabilmente difficile. Non mi vengono consigli: non ce n'è nessuno come potrebbero essercene tanti. Credo solo che spesso i problemi vadano ribaltati, letteralmente guardati dal lato opposto: come un non problema ma come la realtà che mi impone un approccio diverso. A volte il cuore si pacifica proprio perchè non solo accetta fatalmente quanto gli capita, ma perchè lo accoglie fino in fondo cercando di lasciare spazio. Facile a dirsi, meno a farsi ma è la via dell'attraversare la vita per quello che lei offre, non per quello che mi piacerebbe incontrare.

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