Bea e Filippo

Bea e Filippo

sabato 31 marzo 2012

Saper sorridere!

Quando Beatrice e Filippo erano più piccolini a mia moglie piaceva registrare il suono delle loro risate. Poi ci con calma riascoltavamo i loro sorrisi: sembravamo un po’ buffi, ma ci piaceva un sacco. Il sorriso dei bambini  non solo è contagioso e un vero stimolante! Tanto adoro veder sorridere i miei figli quanto sono insofferente ai capricci e al pianto “finto”. Ma torniamo al sorriso.

Il sorriso per me è (come direbbe Paolo Oreglio) un vero momento catartico: una specie di liberazione e di riappacificazione con tutti e con tutto. Nei miei figli il sorriso mi appare come segno dello star bene, di serenità; è espressione, almeno così mi piace considerarlo, di un animo felice. Nella nostra casa i sorrisi vanno e vengono, ma per fortuna quando vanno riescono a tornare abbastanza rapidamente. Se stanno assenti per troppo tempo ne sentiamo la mancanza! Quando ci sono è come se colorassero ogni stanza, è come se sapessero infondere nell’aria un sapore diverso.
Quando con qualche semplice espediente, il solletico, un gioco particolarmente simpatico, un’espressione buffa ecc. Bea e Filippo si mettono a ridere, ripetono continuamente “ancora, ancora, ancora”, non si stancano mai. Il tempo del sorriso per loro dura sempre poco, e come non dar loro ragione. E le repliche richieste dai bambini sono un segnale da non trascurare: esprimono sempre qualcosa che per loro è speciale!

Senza cadere in retoriche che anche a me non piacciono, sono convinto che  il sorridere sia non solo una necessità, ma molto di più. Non ci vuol niente a trasformare tutto quello che ci circonda in minaccia e gli altri degli inconsapevoli rivali.  Ci si costruisce un  pensare  negativo a prescindere. Questo approccio alla vita, a lungo andare, la rende una specie d’inferno:  ci si costringe a vivere sempre e solamente sulla difensiva. È il dramma (almeno per me è così) dell’autoreferenzialità.
Saper sorridere, saperlo fare di sé o con gli altri, significa, invece,  essere in grado di apprezzare qualcosa che è oltre noi, significa riconoscere che è possibile star bene e che questo può non dipendere solo da noi, ma esserci offerto in maniera inattesa anche da altri.
Quando mia moglie mi dice “uffa, è da un po’ che non mi fai sorridere”, mi allarmo … che cavolo mi sta succedendo? Sono i periodi in cui permetto alle esperienze negative (che ci sono, non lo si può negare) di averla vinta. Magari ci metto un po’, ma fortunatamente mi so riprendere: non so stare senza sorridere (e far sorridere!).

venerdì 30 marzo 2012

“Papà, Mano!”

“Papà, mano!” tutte le sere Filippo mi richiama ad un rito al quale non posso sottrarmi: per addormentarsi vuole la mia mano. “Papà, Mano!” e allora mi siedo accanto al suo letto, allungo il braccio e lui prende la mia mano: se la mette o sotto la sua guancia o se l’appoggia sul petto. È questione di cinque, dieci minuti al massimo, poi s’addormenta o semplicemente mi libera. “Papà, Mano!” ammetto che mi piace trascorrere quei minuti in silenzio  accanto ai mie bambini nell’attesa che prendano sonno. Beatrice s’addormenta in un nanosecondo Filippo invece ci mette un po’ di più e vuole la mia mano. “Papà, Mano” rimango lì accanto e condivido il silenzio che anticipa il loro sonno gustando quel momento di pace. In quei minuti penso a loro, a mia moglie, a quanto vissuto durante il giorno, alla mia stanchezza o a quante cose che mi piacerebbe fare.
“Papà, Mano!” credo che per lui sia una sorta di coccola, di rassicurazione, di presenza importante, non so definire precisamente che senso dia a questo gesto, ma per me quel momento genera una profonda sensazione di serenità. Ogni sera è come se Filippo mi dicesse che basta poco – una mano allungata –, un gesto molto semplice, per creare in lui la quiete necessaria per prendere sonno. “Papà, Mano!”: Filippo crescerà e magari fra un po’ della mia mano prima di dormire non se ne farà nulla, ma mi auguro che passi ancora del tempo, perché allungare quella mano ogni sera per certi versi mi fa sentire ancora di più papà.

Concedere il tempo 2: la lentezza

Il mio modo di vivere, affrontare le cose, lavorare, ecc. è il contrario della lentezza. Da sempre sono stato abituato, più per indole che per necessità, a velocizzare sempre un po’ tutto. Il vivere in città poi mi ha dato il colpo di grazia. A Milano se non riparti con l’auto 1 centesimo di secondo dopo che è scattato il verde ti becchi strombazzate a go go. Se quando sei al supermercato ti azzardi anche solo a dire buonasera alla cassiera, chi è dietro di te subito ti dice “scusi, ha terminato?”, anche il caffè al bar se non lo bevi subito si raffredda prima.
E quindi sono peggiorato: se sono in macchina con qualcuno che guida piano mi irrito, se sono in riunione e qualcuno parla troppo lentamente o mi addormento o mi spazientisco. Mi sembra sempre di avere i minuti contati e quindi spesso quando faccio una cosa la mia mente è già proiettata alla successiva, a discapito di quella che sto facendo. Mi sento un assimilato al contesto frenetico che genera questo mondo un po’ isterico.
Per fortuna ci sono Beatrice e Filippo che su questo argomento sanno mettere le cose a posto. Mi obbligano a rallentare, è come se ad un certo punto mi tirassero il freno a mano.
Ho già scritto della necessità di concedere tempo ai bambini, ma più tempo passo con loro più mi accorgo che alla fine non solo è necessario sapere procedere ai loro ritmi – almeno ogni tanto – ma è importante perché mi permette di rimpadronirmi anche del mio di tempo. Mi aiuta ad assaporare meglio tante cose.
I primi tempi quando i miei figli (soprattutto beatrice) mi chiedevano di leggere loro delle storie, approfittando furbescamente del loro analfabetismo, più che leggere inventavo scorrendo rapidamente le pagine e così abbreviavo sensibilmente un momento che ritenevo noioso. Il problema è che i bimbi sono abitudinari e quindi spesso per più giorni consecutivi pretendono lo stesso libro. E qui casca l’asino, meglio sono cascato io: soprattutto Beatrice ha cominciato a correggermi, dicendo che la storia che stavo leggendo era sbagliata e  si arrabbiava per le mie imprecisioni. Quindi sono stato costretto a iniziare a leggere sul serio e il libro, che prima esaurivo in cinque minuti al massimo, è iniziato a durare molto di più.  Finalmente ho cominciato a conoscere certe storie e ad apprezzarle per come sono realmente. Ora non invento più anzi, se loro mi chiedono di girare pagina, mi oppongo perché finché non ho letto l’ultima parola non lo posso fare.
Riappropriarsi del proprio tempo, non pretendendo che acceleri il suo scandire è una fortuna. Saperlo fare accanto ai propri figli è condividere con loro un dono davvero prezioso! Un dono che, se lasciato passare, non potrà ritornare.

giovedì 29 marzo 2012

Stendino addio: elogio dell’asciugatrice!

Provengo da una famiglia di stampo tradizionale dove in casa le donne (mamma e sorella) erano le  uniche persone deputate a compiere tutte le faccende di casa, esclusiva che custodivano gelosamente a parte qualche ribellione giovanile di mia sorella prontamente repressa da mio padre. Mio padre, ad esempio,  a mala pena sapeva farsi un caffè ed io maschio primogenito spesso non riuscivo neppure a trovare i miei vestiti ed ero esentato pure dal rifarmi il letto. Bei ricordi!
Mi ritrovo, oggi,  in una famiglia post moderna o contemporanea, chiamatela come volete, dove i compiti sono divisi e la donna adulta presente (mia moglie) saggiamente ha scelto di accrescere in me la propensione alla cura della casa. Lei si occupa di montare i mobili dell’ikea, io li riempio, lei compera i vestiti io li lavo (con la lavatrice logicamente), e così via. Nessuna recriminazione, per carità, ma in effetti è proprio vero che l’emancipazione femminile o  la parità dei sessi nella nostra casa si è affermata da una parte senza spargimenti di sangue ma dall’altra con un eccesso di zelo, a discapito dell’uomo (che sarei io).
Per fortuna esistono gli ingegneri e le aziende che inventano e producono cose utili che sanno cambiarti la vita. E per me la svolta è stata l’asciugatrice!
Nelle case di città se c’è una cosa complicata è stendere i vestiti. Si è obbligati spesso a farlo in casa, ma dove? Nei bagni moderni o ti attrezzi con complicati sistemi a micro carrucole (con sti cavolo di fili che si attorcigliano sempre) o non ci sta nulla. Quindi si è costretti a scegliere un angolo della casa dove sistemare lo stendino e attendere l’asciugatura. Col bel tempo si può sfruttare il balcone, ma si deve sempre stare attenti al meteo: se piove in giornata o durante la notte o tira vento devi rifare tutto! Fare la lavatrice è una banalità, ma stendere per me è stata sempre una grande rottura, uno di quei compiti a me liberamente affidati e da me odiosamente sopportati.
Sotto l’albero di Natale di due anni fa la svolta: l’asciugatrice! Non ho partecipazioni azionarie in società che la producono e non è mia intenzione fare pubblicità né esplicita né occulta, ma questo prolungamento della lavatrice, che sinceramente non sapevo neppure esistesse e  che grazie ai consigli di mia suocera è entrata prepotentemente nel nostro bagno, oggi è il mio elettrodomestico preferito, la migliore amica di casa del papà! Lo stendino è stato immediatamente relegato nell’angolo più remoto della cantina (e per sicurezza l’ho pure reso inutilizzabile) perché ora dopo aver lavato è sufficiente trasferire i panni bagnati nell’altro cilindro d’acciaio, si seleziona il programma “armadio” e ci pensa lei. Dopo un’ora e mezza basta prelevare i vestiti asciutti e sono contento. In più tre quarti di quest,i se piegati subito (ancora caldi), non necessitano stiratura: altro fondamentale valore aggiunto!
Qualcuno mi fa notare che questo elettrodomestico consuma tanto (ma ora c’è la classe A), che alla lunga può rovinare i vestiti (l’unico fenomeno antipatico riscontrato è il progressivo accorciamento delle mie calze), che che che… sinceramente chissenefrega! Per me è una specie di benedizione! W l’asciugatrice e vi assicuro che quando ho convinto mia mamma a comperarla, nonostante le sue resistenze da donna tutta bucato e stendino, pure lei si è lasciata sedurre ed ora se la coccola tutta soddisfatta!

mercoledì 28 marzo 2012

Coppia, figli, famiglia ... un pensiero

Mi sono imbattuto per caso in un super dibattito (400 commenti e 6.000 mi piace, mizzega!) su facebook per questa frase che ha twittato Fabio Volo:  “Il regalo più bello che un uomo può fare al figlio è amare la madre” . Mi sono divertito  a leggere i commenti che hanno svariato dall’approvazione totale, dalla precisazione che si deve amare anzitutto  il figlio, dalle molte donne che hanno detto “fosse vero” ecc.  Comunque ho notato che Fabio Volo ha un pubblico quasi totalmente femminile: il  contraddittorio maschile è assente! Quella frase, tuttavia, mi permesso di recuperare un po’ di pensieri latenti e di fare in modo che si confrontassero con quello che vivo oggi.
Qualche anno fa ero orgoglioso di questa teoria: la moglie o il marito viene  scelto, i figli nascono e possono essere diversi da come ce li si immaginava, per cui per certi versi l’amore verso il coniuge è maggiormente radicato nella propria libertà e quindi potenzialmente più ricco, l’amore verso i figli nasce più dal senso di accoglienza e protezione e quindi destinato a cambiare (non diminuire, per carità) col venir meno della necessità sia dell’accoglienza che della protezione.
Quindi mi sembrava più importante fortificare il legame di coppia perché quando i figli “alzano le vele e prendono i venti del destino” (Edgar Lee Masters), cioè quando se ne vanno per la loro strada il rischio è che i genitori non siano più abituati ad essere coppia. E’ un paradosso, ma spesso è proprio così, quando i figli escono di casa per certe coppie è una catastrofe -  oddio siamo rimasti solo e ora che facciamo? -  (per fortuna arrivano i nipoti a ricostruire lo scenario di partenza).
Teorie per l’appunto, magari sensate e con una parte di verità ma, col senno di poi, un po’ parziali.
L’oggi, con la presenza di Beatrice e Filippo, è un po’  più complicato.  Sull’idea di base che i figli possano percepire, spesso in maniera implicita ma ugualmente reale, come un dono speciale  l’armonia e l’amore dei propri genitori (non mi piace pensare a questo come ad un atto unilaterale dell’uomo verso  la donna o viceversa) sono d’accordo. I figli, però,  hanno l’innata capacità di destabilizzare proprio il rapporto di coppia. Non solo cambiano la vita dei genitori ma la mettono alla prova in mille modi: non voglio addentrarmi nell’elenco di esempi in cui per i figli ho avuto o un’opinione o in battibecco con mia moglie. I figli possono dividere e possono unire; sanno essere allo stesso modo causa di contrasto e   sorgente di amore. Insomma quando ci sono di mezzo persone, caratteri, libertà e personalità diverse applicare una teoria a mio avviso non solo è impossibile, ma quasi pericoloso.
Ritornando alla frase iniziale, credo che il regalo più bello che i genitori (preferisco il plurale) possono fare ai propri figli sia quello di creare attorno a loro un ambiente familiare sereno, positivo,  vero (e quindi anche imperfetto), dove la preoccupazione principale sia quella di camminare insieme come famiglia ognuno al proprio posto (i genitori che facciano i genitori e i figli che vengano trattati da figli). Un percorso come questo si alimenta solamente quando il papà e la mamma sanno rendere sempre più profondo il loro modo di amarsi. E questo va fatto per tentare di rendere migliore soprattutto il presente, perché  spesso non è garanzia di nulla rispetto al proprio futuro e a quello dei figli: ho amici fantastici cresciuti in famiglie totalmente prive di serenità e ho conosciuto persone davvero difficili cresciute in ambienti familiari, almeno all’apparenza, perfetti. Vivere in un certo modo il presente può favorire un futuro di un certo tipo, ma di certo non lo sa programmare.

martedì 27 marzo 2012

I cartoni animati: diavolo o acqua santa?

I nostri figli amano guardare i cartoni animati. A parte una recente passione di Beatrice  per quello sport dove “si ammucchiano” (per caso mi ha visto guardare un po’ di rugby ed è stata folgorata), per loro la tv è il Cartone e i cartoni sono il top! Quando hanno il loro momento divano-tv spariscono, si eclissano, catatonicamente sono affascinati da quanto guardano: in effetti è una sorta di anestetico o di sedativo mediatico-naturale. Non credo proprio di scoprire l’acqua calda, alla fine i miei figli di fronte al cartone sono come me davanti alla partita dell’Inter o  come mia moglie davanti a “Grey's Anatomy” (quando non s’addormenta): se una cosa piace rapisce l’attenzione!
Il binomio bambini- tv, prese le debite precauzioni rispetto ai contenuti e ai tempi globali di esposizione (in casa nostra 1 h. max giorni feriali, 2 h. max festivi e pre-festivi,  se è brutto tempo può scattare il bonus di mezz'ora)  per certi versi può diventare anche uno strumento utile. Anzi, se utilizzato con un minimo di astuzia, strategia e senza abusarne perché perderebbe efficacia, può essere anche una piccola  risorsa o ancora di salvataggio. Facciamo qualche esempio.
Il cartone baby sitter: a volte capita che di aver  voglia di chiacchierare in santa pace con amici che sono venuti a trovarvi, ma proprio in quelle occasioni i vostri figli sono in stato di grazia: corrono per la casa, litigano, desiderano farsi notare in qualche modo: in poche parole rompono le scatole. Se non è ancora ora della nanna ecco il propostone: “Bambini volete per caso vedere un momentino i cartoni?”… pace ritrovata e  la conversazione può iniziare. Unica controindicazione: se avete tutto in salotto (tv e spazio accoglienza amici) vi ritroverete a parlare a bassa voce, infastiditi dai continui “non si sente” dei bambini!
Il cartone antistress: non vi è mai capitato di passare un pomeriggio intero con i figli, di aver organizzato mille cose, di aver cercato di  riempire ogni momento, cercando di andare oltre ai loro capricci e alle loro  insofferenze,  fino al punto da non poterne più,  al limite di una crisi di nervi? In questo caso vedete la TV come l’oasi nel deserto e prendere in mano il telecomando è una attimo: vuol dire pace per un po’! Evviva i cartoni!
Il cartone pacificatore:  al caso precedente assomiglia la situazione “della giornata dei conflitti”. Ci sono dei momenti in cui fratellini proprio non riescono ad ingranare. Vere e proprie giornate no! Magari uno dei due è stanco o semi ammalato e quindi molto meno incline al compromesso, forse è solo questione di luna storta,  fatto sta che passano il tempo a litigare, a strapparsi i giochi dalle mani, a usare i giochi stessi come armi improprie e così via. Non sempre in queste occasioni si riesce a riprendere la situazione in mano con rapidità e allora  tra strilli e accuse reciproche per stemperare il clima e riportare un po’ di tranquillità ci affidiamo eccezionalmente alla camomilla tecnologica: largo ad un po’ di cartoni animati.
Sono pentito (ma non tantissimo…) solo di una cosa che ho fatto una volta  “sfruttando” i cartoni animati: una sera pur di riuscire a far mangiare ai miei figli il passato di verdura ho deciso di metterli davanti al loro cartone preferito e li ho imboccati… me lo hanno mangiato tutto! Brutta cosa, direte, altamente diseducativa: lo so, ho detto che sono pentito, ma guardando il piatto vuoto ho sussurrato tra me:”Grande  Jake e i pirati dell’isola che non c’è!”

Non sto esaltando improbabili poteri taumaturgici dell'opzione cartoni animati, semplicemente non riesco a demonizzare in tutto e per tutto la TV, e quindi neppure i cartoni animati. Che sia necessario porre dei limiti temporali ed essere molto vigili sui contenuti non c’è dubbio, ma dare anche il giusto merito a interessanti prodotti di creatività e di intelligenza, non mi sembra sbagliato. E poi guai a chi mi tocca Goldrake, Heidi e Anna dai capelli rossi!

lunedì 26 marzo 2012

Tempi e modi per insegnare le prime cose importanti

Quando si cerca di trasmettere ai propri figli alcuni valori importanti, bisogna saper  fare i conti con tre possibilità: che non siano ancora del tutto pronti per comprendere fino in fondo quello che si cerca di insegnare, che li prendano talmente sul serio da assumerli come regole assolute senza senso critico nell'applicarle o che, in maniera totalmente naturale, se ne freghino altamente.
Una mia  amica ieri mi ha raccontato un episodio che su questo tema calza proprio a pennello.
Negli ultimi mesi lei e suo marito (soprattutto il marito) si sono messi d'impegno nel cercare di spiegare alla figlia di sette anni il valore e l'importanza del denaro. Con molta buona volontà le hanno spiegato che i soldi sono importanti, non vanno sciupati in cose inutili e superflue, che per guadagnarli il papà e la mamma lavorano con molto impegno e che quindi servono per le cose importanti, ecc. La bimba, molto ricettiva (pare fin troppo), ha quindi cominciato prendere sul serio il tema: ogni volta che la madre arrivava a casa con un acquisto chiedeva con aria inquisitrice quanto avesse speso, nel far la spesa iniziava a  vigilare sulla gestione delle finanze suggerendo spesso di rinunciare a ciò che lei ritenesse non necessario, addirittura ha detto alla madre che preferiva rinucuare a certe abitudini per risparmiare: insomma una specie di governo Monti, determinata a far applicare finanziarie durissime. Lei e suo marito hanno iniziato ad insospettirsi: "stiamo generando un bimba dal braccino corto"? Al padre, comunque, la prospettiva cominciava a piacergli e stava già  calcolando l'effetto risparmio negl'anni grazie a questa predisposizione della figlia, sono cifre importanti. La madre, invece, si poneva degli interrogativi più esistenziali cominciando a sospettare che la figlia avesse preso troppo alla lettera i loro insegnamenti e  si stava preoccupando della piega che un irrigidimento del genere potesse prendere.
Sospetti confermati qualche giorno successivo quando, tornando a casa dopo la piscina con la figlia e la sua migliore amichetta, propone ad entrambe una pizzetta in compagnia. La figlia subito le dice: "Mamma la pizzetta non è necessaria, ma se proprio la vuoi comperare ne devi prendere solo una!". La made rimane interdetta e per riuscire ad acquistare le due pizzette deve insistere non poco.
A questo punto non ci sono dubbi: per la bambina parlare di valore del denaro è stato un po' prematuro.
Riflettendo insieme di questa esperienza abbiamo convenuto sia su questa evidenza, ma anche del fatto che spesso è difficile non solo azzeccare i tempi e i modi giusti per trasmettere ai propri figli certi insegnamenti, ma che è ugualmente complicato prevedere le reazioni o il livello di comprensione che essi posseggono in quel momento. Si corre il rischio di sopravvalutare o sottovalutare.
E alla fine ci si è domandato:"Adesso che si fa?". "E' una femmina -  mi sono permesso di dire -  vedrete che guarisce presto!"

sabato 24 marzo 2012

Una giornata riuscita!

Sono solamente le 22.00 (diciamo le 23.00, meglio portarsi avanti) e in casa c'è un silenzio quasi irreale ed io sto già pregustando a super dormita, Filippo permettendo, ma sono fiducioso perchè in montagna dorme sempre di più. Questa è stata una giornata riuscita! Una di quelle che ti lasciano dentro un gran buonumore. In queste occasioni riesco a lasciarmi alle spalle, seppur temporaneamente, i pensieri del lavoro, le piccole preoccupazioni quotidiane; tutto è stato messo in secondo piano dall'aver trascorso una giornata che, senza fare nulla di straordinario, è andata come doveva andare (o come sempre si spera vada): bel tempo, armonia in famiglia e con gli amici, bimbi sereni, allegri senza capricci e con tanti sorrisi spontanei, nessun intoppo (pare che anche l'incombente varicella di Filippo abbia deciso di starsene buona). Tutto vissuto senza fretta, prendendosi il tempo necessario anche per le piccole cose.
Il tutto, inoltre, condito da una sana sciata delle bimbe: Bea e le sue amichette Sara e Chiara (Obiettivo stagionale raggiunto!) e dall'ottima cena preparata da Alberto (in cucina è lui il vero superpapà), insomma tutto è girato per il verso giusto. Mi è pure riuscito di non brontolare con mia moglie e di non alzare mai la voce con i bambini!
Di solito, almeno a me capita così, si è quasi costretti a fermarsi a pensare solo quando succede qualcosa  che turba o che infastidisce. Questa sera mi ritrovo invece dare il giusto merito, in me stesso prima di tutto, alle ore vissute quest'oggi totalmente prive di turbamenti o fastidi di alcun genere.  Mi accorgo che ho davvero tanto bisogno di giornate così, non perchè il resto della vita navighi in acque tempestose, ma perchè queste sono come delle soste che rigenerano a tutti i livelli.
Mi auguro di replicare anche domani, perchè poi da lunedì si ritorna alla nostra umile trincea della vita quotidiana.

Porgere l'altra guancia?

Niente drammi, niente moralismi. Nessun eccessivo allarmismo o ansie improprie, ma uno dei miei "dilemmi educativi" di questo periodo è questo: quando uno dei miei figli (o tutte e due come succede ultimamente) torna dall'asilo con graffi o lamentando dispetti più o meno importanti, come mi devo comportare? Mi butto nei corsi di autodifesa? Mi studio il manuale d'assalto dei Marines e rendo i miei bambini capaci non solo di difendersi ma anche di contrattaccare? Mi ergo a  paladino delle buone maniere e istituisco il comitato della non violenza all'asilo? Oppure mi affido alla massima evangelica del "porgi l'altra guancia", ... sperando magari che arrivi in seguito la giusta "punizione divina" a mettere tutto a posto?
Che dilemma! Da una parte mi sembra ingiusto far finta di nulla perchè comunque i bambini soffrono certe situazioni anche se fortunatamente non sanno ancora portare rancore, dall'altra non vorrei enfatizzare episodi che a volte sono anche abbastanza naturali, anche perchè i miei figli non sono  propriamente degli angioletti. Inoltre mi raccontava una mia amica, che sua figlia (5 anni) quando subisce queste cattiverie tende a chiudersi e a nasconderle. Anche Beatrice a volte fa così. Che disagio vivranno?
Rispetto a queste questioni io e mia moglie siamo ancora in fase esplorativa e ci stiamo limitando (per ora) a suggerire ai nostri figli di cambiare, se è il caso, compagni di gioco o semplicemente di dire ai compagni un po' più maneschi di non fare certe cose perchè sono brutte. Non sappiamo se questo per ora sia l'approccio giusto e più appropriato: lo scopriremo dai frutti che porterà. Ciò che, però,  a me stupisce è che nei bambini oggi è evidente questa tendenza all'aggressività. Visto che non esistono genitori (mi rifiuto di pensarlo) che insegnano ad essere cattivi,  mi chiedo da che cosa scaturisca tale tendenza. Magari è l'insieme di nostri comportamenti: la fretta, gli scatti di impazienza, l'intolleranza a certe loro esigenze, la nostra indisponibilità all'ascolto in certi frangenti, a incider negativamente in loro. Forse  la combinazione di tutte queste cose implicitamente tocca la sensibilità dei nostri bambini. Probabilmente il bambino recepisce, senza che noi ce ne accorgiamo,  qualcosa che lo spinge ad essere aggressivo e a, in qualche modo, indirizzare questo atteggiamento verso i propri compagni o amici.
Faccio ancora fatica a saper dare un nome o un significato a certi comportamenti anche dei miei figli, ma credo già un passo importante sia quello di non rimanerne indifferenti.

venerdì 23 marzo 2012

Storia di un regalo sorprendente

Nell'augurare a tutti un buon we vi condivido un fatto davvero simpatico...
Qualche anno fa  ad una coppia di nostri amici decidemmo (non come famiglia ma come insana compagnia) di fare il classico regalo “sòla”, nel pacchetto natalizio fu magistralmente infiocchettato uno splendido esemplare maschio (almeno questo aveva garantito  il fornitore) di cavia (tipo criceto). La loro reazione ci colpì: il marito rimase immobile quasi impietrito, la moglie invece ne fu entusiasta. Ci ringraziò dicendo che da tempo aveva intenzione di acquistarne una uguale e il regalo era arrivato proprio a fagiolo. In realtà noi ci immedesimammo nel marito consapevoli di aver generato un bel problema. Ma quello fu solo l’inizio.
Qualche tempo dopo successe qualcosa di inatteso che voglio condividere con voi attraverso la superba descrizione che il marito ci fece il giorno successivo al fattaccio. A voi la lettura.
“Amici,
Debbo darvi una notizia sconvolgente, che riguarda (ahimè!) quel topastro di Ildefonso. Ebbene, Ildefonso non è più tra noi. Ma procediamo con ordine, senza accelerare gli episodi concatenati che hanno determinato l’amaro epilogo. Ieri, verso le 20.30, uscito dalla doccia mi accingo a entrare in accappatoio nella zona ingresso-soggiorno-studio-stanza degli ospiti-cucina (che il bilocale è tutto lì) della mia dimora. Cristina era dietro i fornelli, come è giusto che sia una donna, e io invece cazzeggiavo (come è giusto che faccia un uomo), ammirando il mio corpo scultoreo nei riflessi opachi della porta-finestra. Ma il mio sguardo, nel mentre, viene rapito da un movimento strano e convulsivo della bestiola, tanto cara a me, a Cristina e ai laboratori farmaceutici di tutto il mondo. Mi giro e mi avvicino lentamente alla gabbia, concentrandomi sull’animale. Ebbene - incredibile dictu ! - noto che Ildefonso giace seduto su se stesso, arricciato e disarticolato in modo anomalo, tentando con grandi e penosi sforzi di avvicinare la testolina ai propri genitali! Oh, quale strazio! Mi avvicino sempre più alla gabbia e noto, con raccapriccio, che Ildefonso ha tre zampe posteriori!!! A quel punto chiamo mia moglie che, impressionata dalle mie parole, si rifiuta di vedere e resta immobile gemendo. La situazione è fuori controllo. Penso frettolosamente che la bestia forse è frutto di un crudele gioco della natura a cui non avevo mai fatto caso e che, in quanto tale, va abbattuta. Al pensiero della sua morte, un po’ mi placo e mi rassereno. Intanto, poco dopo, torno ad osservare la fiera e, ancor più incredibile, le zampe posteriori diventano quattro!!! A quel punto, non sapendo cos’altro pensare e siccome faceva freddo, decido di andare in camera e di vestirmi. Ma mia moglie  mi blocca e mi richiama alle mie responsabilità di pater familias. Allora mi accosto alla gabbia, deciso questa volta ad afferrare il porcellino e a sopprimerlo una volta per sempre, confidando nell’aiuto di quel Dio cattolico che aiuta i suoi figli prediletti e manda giustamente a quel paese tutti gli altri. Ebbene, scrutando tra la paglia e il fieno, mi si svela una scena inattesa e incredibile!!! Accanto alla stupida cavia, ce n’era un’altra simile, in miniatura, tipo pupazzetto Trudy di 10 cm!!! Ildefonso, in realtà, è una femmina!!! Ed era pure incinta!!! Ma li mortà.... Insomma, Ildefonso è morto, Ildefonsa è viva. Il piccolo sta bene e domani li portiamo tutti e due dal veterinario.  Volevo ringraziarvi di cuore per il fantastico regalo, davvero. Soprattutto alla cara amica che ha provveduto all’acquisto, che ebbe a dirmi: “No, tranquillo, è maschio”. Mi avete rovinato la vita. E ridotto lo spazio del bilocale. Calcolando 1 metro quadro per i maledetti uccellini, 2 metri quadri per Ildefonsa e family, 48 metri quadri per mia moglie (e i suoi vestiti-gioielli-scarpe), ora vivo in 4 metri quadri. In pratica, la media di una cella a San Vittore. La prossima volta,  portatemi delle arance, per favore.”
Ildefonsa


giovedì 22 marzo 2012

Regole sì o regole nì?

Confesso  di essere un fan di Tata Lucia. Le sue missioni mi appaiono sempre impossibili eppure porta a casa risultati sorprendenti. Magari il lieto fine con lettera commovente può avere un sapore televisivo, non lo so. A me piace pensare che sia davvero possibile vincere certe sfide. Quindi tifo sempre per Lei e per le famiglie che si mettono in gioco.
Tata Lucia è la donna delle regole. Sono immancabili i cartelli che i vari componenti della famiglia, dopo i primi giorni di osservazione, appendono in casa per ricordarsi di quanto devono cercare di fare per migliorare il loro modo di essere famiglia. Le regole. Quante volte mi sono fermato a pensare a quali appendere e come farle applicare. Non che la nostra casa sia il regno dell'anarchia e forse qualche cartello sarebbe utile,  ma credo che non diventerà mai quella delle regole appese.  Eppure non mi sento in colpa per questo, perchè proprio non riesco a immaginarmi come una specie guardiano casalingo. Non è assolutamente una critica al metodo pedagogico di Tata Lucia, è semplicamente la constatazione personale  che possono esserci vie diverse. Magari non così strutturate o efficaci, ma - credo - ugualmente importanti, perchè comunque frutto di scelte consapevoli. A me piace pensare che la regola la si possa trasmettere attraverso la via delle ritualità. Che cosa?  Per ritualità intendo l'abituare pian piano i bambini ad assumere comportamenti che esprimano il rispetto di regole, in modo che quest'ultime siano assimilate senza la necessità di citarle o mostrarle (e men che meno imporle). Mi piace definirla l'autorevolezza dell'accomapagnamento. Essa non si contrappone all'autorità della regola, ma la gestisce in un percorso, magari più lungo, più lento (e in certi casi molto più faticoso), ma a mio avviso ugualmente efficace. Se rendo naturale e, percepito come bello e positivo, un certo comportamento la regola che lo ispira può rimanere nascosta: non c'è bisogno  di enunciarla, diventa evidente. Punto e basta. Un esempio banale: quando io o mia moglie  diciamo che la cena è pronta i bimbi spengono la tv in modo quasi naturale, sanno che la loro dose di cartoni quotidiana è finita. Dopo cena non li richiedono più perchè sanno che c'è il momento del gioco pre-nanna. Nessun cartello con tempi o regole: solo la paziente e costante  fedeltà a mantenere fissi questi momenti, anche se per i primi mesi questo ha comportato capricci o continui brontolii e molte sere del gioco pre-nanna noi genitori ne faremmo volentieri a meno.
Su questi tempi o approcci pedagogici spesso sono accusato di eccesso di ottimismo o di essere un inguaribile buonista. Può darsi, ma, anche se non mancano momenti in cui diventa necessario dire o ribadire certe regole, amo questo approccio al percorso di crescita dei miei bambini. A me le persone autoritarie hanno sempre generato irritazione e distacco, quelle autorevoli per capacità, cultura, carisma, bontà, mi hanno sempre spinto ad ammirane le doti e a cercare di fare miei i pregi che riconoscevo.
So che questo è un dibattito che rimarrà sempre aperto (io e mia moglie su questo tema ci confrontiamo spesso);  l'importante è rimanere aperti e  pronti eventualmente a cambiare idea se ci si accorge che non porta i risultati sperati. Per ora nessuna particolare controindicazione.

I figli ti riportano a scuola

Sono sposato da quasi sette anni e padre da quattro anni e mezzo (da due anni bi-padre) e confesso che la presenza di Beatrice e Filippo ha radicalmente cambiato la mia vita. E quella di mia moglie.
La nostra vita di famiglia ha dovuto riprogrammarsi totalmente: sono cambiati i modi di gestire le amicizie, di vivere il lavoro, di organizzare il tempo, le vacanze, gli hobby e così via. In certi momenti affermerei che tutto è cambiato in meglio, in altri un po' meno. Il più delle volte mi limito a registrare il cambiamento come una fase diversa della mia vita, una fase che se da una parte è uno sbocco voluto del nostro matrimonio (non l'avevamo mai immaginato senza figli) dall'altra è semplicemente nuova e profondamente diversa,  arricchita da due splendidi bambini!
Ma in questo momento voglio soffermarmi un attimo su un aspetto che spesso  trascuro: i bambini sanno arricchire, per lo più inconsapevolmente, il bagaglio culturale ed esperienziale dei loro genitori (il mio di sicuro), rendendoli alla fine molto più preparati ad ogni evenienza. I bambini, per certi versi,  sono come un corso di formazione permanente, gratis. Insomma una vera scuola di vita, di più: è come se ti riportassero a scuola!
Ad esempio grazie ai miei figli ho imparato che:
  1. esiste un alimento che si chiama "crema di riso, mais e tapioca"
  2. far mangiare salame nostrano ad un  bimba di un anno produce forte irritazione al culetto
  3. cambiare il pannolino ad un maschietto, almeno all'inizio, è molto pericoloso
  4. quando si sta via qualche giorno qualsiasi auto tu abbia è sempre troppo piccola
  5. esiste una tosse che si chiama "abbaiante", e quando ne ignori l'esistenza corri al pronto soccorso
  6. le malattie vengono incubate all'asilo tra il giovedì e il venerdì e si manifestano regolarmente il sabato e la domenica
  7. esistono la Pimpa, Dora l'esploratrice, Il Pirata Jake, Angelina ballerina, Il magico mondo di Ben e Holly eccccc.
  8. le vacanze è meglio chiamarle "cambio d'aria"
  9. i bambini al mare fino ai tre anni è molto meglio che ci vadano con la nonna
  10. non c'è più il primo giorno d'asilo, ma minimo 10 (anche 15 in certi casi) giorni di inserimento nei quali dovresti attutire nel tuo bambino il senso del distacco (e pensare che Beatrice dopo il secondo giorno diceva alla mamma "ma perchè stai qui anche tu?")
  11. c'è un sacco di gente che di notte sta sveglia (o è addormentata davanti alla tv)
  12. gli amici non ti fanno più regali ("avremmo pensato a qualcosa per i bambini")
E così via, potrei davvero continuare quasi all'infinito. Quante cose si apprendono senza la necessità di frequentare master costosissimi.
In questa scuola di vita gestita dai miei figli mi sento ancora alle elementari, non oso immaginare cosa potrà succedere se verrò promosso alle superiori.

mercoledì 21 marzo 2012

Disordine razionale

..... magari????
Il disordine difficilmente è razionale o se qualcosa è razionale non dovrebbe essere disordinata. Potrei giocare con i significati e le interpretazioni, ma io credo di essere un disordinato che razionalmente imposta il proprio disordine in modo che mi sappia dare risposte immediate al momento giusto: mi permetta cioè  di ritrovare sempre quello che mi serve. Lo ammetto la sfida tra me, mia moglie e i miei figli sulla capacità di mettere in disordine  la casa ci vede tutti sempre molto vicini alla vetta, ma dalla mia ho la qualità indiscussa di saper costruire, e quasi pianificare, il disordine in maniera, come dico nel titolo, razionale. Quindi nel tran tran quotidiano alla fine riesco sempre (quasi sempre...) a recuperare quello che apparentemente  si è perso o non è al suo posto, anche se alla fine sono convinto che
"l'essere al suo posto" è un concetto relativo.
I problemi però, e quindi le diatribe familiari, sorgono in due occasioni: quando mi assento per un paio di giorni per lavoro e quando  mia moglie è impadronita dalla "compulsione da ordine" (per fortuna fatto molto raro,  3 o 4 volte all'anno). Nel secondo caso ormai io e i bambini abbiamo capito qual'è il rimedio: quando la mamma subisce questo attacco incontrollato (e improvviso, senza sintomi che lo preannunciano) e si mette a riordinare tutta la casa accusandoci di essere "sempre più disordinati", noi reagiamo evitando qualsiasi contrattacco: autocontrollo, passività, calma Ghandiana e spiritualità zen. In poche parole zitti zitti ci assumiamo le nostre presunte responsabilità e cominciamo a riordinare con atteggiamento ossequioso. In questo modo rendiamo innocua la compulsione, ma soprattutto ne limitiamo l'effetto a pochi momenti (max un'oretta). Alla fine è come un temporale estivo.
Il primo caso, invece, è più complesso per la mia persona perchè quando sono via, nonostante cerchi sempre di prevenire dicendo a mia moglie dove sono le cose essenziali: il cibo, le merende dei bimbi, i ciucci di Filippo, i biberon, la crema per la dermatite, le chiavi del contatore se salta la corrente ecc., immancabilmente succede che qualcosa - quando serve -  non si trova! Solitamente quando sono impegnato  inizia a squillare il telefono, arrivano sms su urgenze improrogabili. Per fortuna riesco sempre a trovare qualche scusa e ad attivare il supporto a distanza, che di solito funziona.
Purtroppo il peggio arriva la mio rientro. Appena varco la soglia di casa sono assalito dalla "compulsione da disordine razionale": non mi interessa che la casa sia a posto (oggi appena rientrato ho trovato il monopattino di Bea parcheggiato sul divano - bianco per la cronaca -, ma queste cose non mi turbano), sono istintivamente condotto ad andare a controllare che l'essenziale sia al suo posto, quello che io ho assegnato. E se non è così  (e spesso non è così), inizia la mia stressante caccia: dove sono i ciucci di Filippo? Dove sono i biberon? Dov'è la crema per la dermatite? E' saltata la corrente, che non trovo le chiavi del contatore?
Mi ritrovo quindi a ricreare il famoso disordine razionale e quando tutto è tornato al proprio posto  riesco a tirare un sospiro di sollievo.
Che debba farmi visitare?




martedì 20 marzo 2012

Bimbi al parco: le insidie della natura

Nella nostra policy familiare, al capitolo “Utilizzo  del tempo libero” in compagnia dei figli,   è vivamente consigliato  dare molto spazio al gioco. Visto che sono “montanaro” per me è quasi un obbligo farlo all’aperto e appena il clima è “praticabile” si esce, insomma si gioca in casa solo se non se ne può fare a meno (maltempo, malattie, alla sera ecc.). Per fortuna dove abitiamo  ci sono parecchi parchetti che aiutano a trovare anche soluzioni mirate. Se va tutto liscio i bambini non fanno altro che passare da un gioco all’altro e più crescono più riescono a farlo in autonomia e quindi il parco può essere anche un piacevole momento di relax pure per me. Ma non è tutto oro quello che luccica e i parchetti possono nascondere insidie poco piacevoli, e a volte assolutamente  non declinabili con concetto di relax.
 Oggi mi soffermerò sulle insidie di carattere animal-naturale, più avanti mi occuperò di quelle umane .
 La cacca dei cani! Finché te la trovi sul marciapiede,  se la calpesti alla fine la colpa è un po’ tua, ma quando  è ben nascosta vicino al cespuglio appena a ridosso dell’altalena, o proprio in fondo all’arrivo dello scivolo, o di fianco alla panchinetta dove accosti il passeggino, come fare a evitarla? Non è mica possibile tutte le volte bonificare l’area come si fa in “CSI sulla scena del crimine!” E poi: dove esiste lo spray che colora il terreno, ad esempio di rosso fuoco, quando viene a contatto con la cacca di cane (una specie di luminol da parco)? Non mi resta che rassegnarmi a portare sempre le scarpette di ricambio e pulire immediatamente quelle sporche, perché se non lo si fa subito è un dramma! Nel contempo mi  auguro che i padroni dei cani vengano a compassione e spinti da un anelito di civiltà siano più solerti a pulire il terreno dalle deiezioni del loro migliore amichetto.
Le zanzare: da maggio ad ottobre questo è realmente il MIO nemico numero uno! Per una persona come il sottoscritto che non sapeva neppure che cosa fossero le zanzare (beata montagna!) l’incontro con questo insettaccio è stato ed è tutt’ora una specie di  pestilenza. Nei periodi a rischio (ahimè ogni anno sempre più lunghi)  prima di andare al parco è necessario munirsi di spray antizanzara e (quello che vale per tutte le razze) e crema lenitiva (qualche puntura ci scappa sempre). Fin qui nulla di impossibile. Il problema sono io: la zanzara scatena in me il desiderio di “guerra globale”. Il parchetto è il mio piccolo campo di battaglia, così mi ritrovo ad osservare in continuazione i miei figli con attenzione, non tanto per seguirli nel gioco ma per vedere se qualche zanzara, superata la barriera repellente dello spray, stia tentando di pungerli. Quando la vedo: slam! Schiaffo omicida e con orgoglio mostro al figlio/a, (a volte piangente per eccesso di irruenza del colpo, ma credo conveniate con me che si possa considerare un giustificato effetto collaterale),  il trofeo: la zanzara stecchita! Potrei sembrare eccessivo, ma la zanzara non perdona, va combattuta con tenacia e  senza esclusione di colpi.
Aggiungi didascalia
L’acqua: questo fondamentale e apparentemente innocuo elemento della natura, in un parchetto è un pericolosissimo avversario. Innanzitutto attorno alla fontanella si crea sempre la super pozzanghera (ma progettare tombini o scoli decenti è troppo complicato?), per cui quando ingenuamente concedi ai tuoi figli di andare a dissetarsi è già troppo tardi: scarpe, calze e pantaloni bagnati. Se va bene, spesso la fontanella è piantata in mezzo al prato e così alla semplice acqua si aggiunge il fango!  Se non c’è la pozzanghera killer, c’è il gruppetto di ragazzetti che fingendo di bere si divertono ad annaffiare tutti coloro che si avvicinano.  Insomma perennemente vestiti bagnati! Proposta: se un parco è piccolino le fontanelle non sarebbe più salutare disporle all’ingresso?
Morale: un montanaro come me nel tempo sta riscoprendo il valore del giocare in casa.

Concedere il Tempo

Non c'è nulla da fare: di fronte al tempo i bambini e gli adulti hanno due approcci completamente diversi che spesso vanno addirittura in conflitto. I bambini, almeno questo è quello che vivo io, nonostante appaiano generalmente dinamici e iperattivi, amano prendersela comoda. Come dargli torto: per loro lo scandire dei minuti o delle ore è relativo, essere in ritardo è un concetto astratto. A loro appare normale prendersi il tempo necessario per ogni cosa veloce o lenta che sia, in fondo non fa differenza.
Quando propongo a Filippo di correre, scatta come una scheggia e corre felice, ma se gli dico di "fare in fretta" nulla si muove. Mi rendo conto che spesso mi devo semplicemente arrendere a questa evidenza e devo esercitare la pazienza. Sì la pazienza, questo termine quasi arcaico e quasi stonato nel nostro mondo, è forse l'unico che sa descrivere l'atteggiamento più rispettoso. Saper aspettare e concedere il tempo necessario. Purtroppo non sempre è possibile: quando ci sono appuntamenti, orari da rispettare si devono per forza imprimere delle improvvise accelerate. Quante volte mi capita di prendere in braccio Filippo non perchè necessario, ma perchè non posso permettermi i suoi ritmi. O quante volte aiuto i miei figli nel mangiare, nel vestirsi, nel preparare qualsiasi cosa perchè si è semplicemente in ritardo (almeno dal mio punto di vista). Spesso intervengo per necessità, ma in numerose circostanze soltanto perchè non riesco ad aspettare: sono  stanco, un po' arrabiato o semplicemente un po' più autoreferenziale del solito. A volte mi "scopro" ad accorciare il loro tempo solo perchè non sono capace di gestire il mio. In certi casi  mi ritrovo a imporre ritmi non corretti solo perchè in quei frangenti non riesco (o semplicemente non ne ho la voglia) ad aspettare. Invece, quando sono capace di concedere il tempo necessario mi accorgo che il clima familiare  rimane più sereno e piacevole. I bambini hanno bisogno di tempo per assaporare ogni cosa che fanno, e più glielo togliamo meno gustano le esperienze che vivono.
Visto che nel giro di pochi anni in nostri figli ci "bruceranno sul tempo" in molte cose, forse è più saggio  in questo momento concedere loro più spesso di dettare i ritmi anche del nostro tempo... forse ne guadagneremmo in salute.

lunedì 19 marzo 2012

Festa del papà

L'asilo di mia figlia per la festa del papà ha proposto un momento davvero simpatico: ore 8.30 la colazione con i papà! Puntualissimo eccomi all'ingresso dell'asilo con Beatrice e il colpo d'occhio è davvero singolare: innanzitutto nessuna fretta -  delle solite scene da ritardo cronico nessuna traccia - niente mamme o nonne/i, solo tanti papà con i loro bimbi. Una bella scena! Beatrice è tutta contenta ed emozionata, e trasmette anche a me il senso piacevole di questo momento. Entriamo e siamo accolti dalla squadra della maestre al completo che ci  dispongono attorno ai tavolini  con i bambini per un rinforzo della colazione: biscotti, fette biscottate, nutella, succo e thè. Mi cimento a spalmare la nutella sulle fette biscottate con un improponibile bastoncino "mescola caffè", ma tutto sommato riesco a cavarmela. Clima molto festoso che culmina con la recita della poesia dei bambini  e con la consegna del regalo: una cravatta dipinta dai nostri figli.  Il tutto si conclude con la foto di gruppo con cravatta (... come al  solito ho fatto la figura di non saper fare il nodo, ma un papà compassionevole è venuto in mio soccorso).
Per me si è trattato della prima Festa del papà ufficiale a cui ho partecipato (lo scorso anno Bea era ammalata) e devo ammettere che un po' mi ha emozionato. Ciò che poi mi colpisce sempre molto è come, in queste circostanze,  i bambini ci tengano tantissimo  a "mostrare" quasi con orgoglio chi e com'è è il loro papà, e questo a precindere dai nostri meriti.
La settimana è iniziata davvero alla grande!
Auguri e onore a tutti i papà!

Moglie ai fornelli

Come avevo accennato all'esordio di questo Blog uno dei miei compiti principali è quello di cucinare. Fin dall'inizio del mio matrimonio mi ci sono ritrovato costretto per una questione di sopravvivenza, poi col tempo mi ci sono anche affezionato e nel tempo ho anche imparato a farlo. Mia moglie, pur avendo delle buone capacità, non ama mettersi ai fornelli e quindi non è assolutamente gelosa del  mio essermi impadronito della cucina dalla a alla z. In settimana poi, tornando prima dal lavoro, diventa giocoforza per me non solo cucinare ma anche programmare che cosa proporre e organizzarmi in merito all'approvigionamento alimentare (faccio la spesa). E quando per qualche motivo non ci sono cerco di facilitare la sua supplenza predisponendo per tempo il necessario, le tolgo almeno il pensiero del decidere cheffare e questo so che è apprezzato.
Ogni tanto però  Silvia (ebbene sì, anche mia moglie ha un nome) decide di prendere l'iniziativa: "oggi cucino io, faccio il risotto"! (Sì proprio oggi, per il pranzo)  In effetti il risotto è un piatto che le riesce abbastanza bene per cui con molto piacere le lascio campo libero e mi eclisso con i bimbi in attesa della messa a tavola. Col tempo ho scoperto che il risotto non è un piatto complicato, ma esige un minimo d'attenzione, non lo si può abbandonare sul fuoco perchè  in men che te lo aspetti ti "pugnala alle spalle". Ma lasciamola fare.
Mentre giochicchio con i bimbi la vedo rispondere allegramente al telefono... parla, parla. Ma per fortuna poi rienta in cucina. Pochi minuti dopo corre al Pc a controllare una cosa. E così via. E il risotto?
Vabbè trattengo ogni commento. Ad un certo punto siamo chiamati all'ordine:"tutti a tavola, è pronto!". Ci sediamo affamati ed ecco comparire il risotto: si presenta bene, ma comincio a scorgere ingredienti all'apparenza ignoti. Azzardo una domanda: "che tipo di  risotto hai cucinato di bello?", "Una mia invenzione - dice lei, con tono compiaciuto - risotto con pancetta, mela e un formaggio che ho trovato in frigorifero... ma che formaggio è che non si è fuso - aggiunge candidamente - ?". (.. lo credo bene che non si è fuso, era una ricotta di capra stagionata...).
La faccio breve. Stoicamente mi metto a mangiare fingendo di apprezzare le combinazioni e dicendo ai bambini di assaggiare perchè la mamma ha cucinato un risotto davvero speciale. Filippo che non ha il senso della misura al primo cucchiaio lo sputacchia e dice "non mi piace..". Beatrice, invece, nonostante lo stia  mangiando  con una lentezza sospetta, ne assaggia un po' di più. Non mi arrendo e cerco di rendere appetibili sapori che proprio non si erano sposati. Ad un certo punto la salvezza: Silvia dice "mi sa che questo riso mi è venuto proprio male..., che ne dite bimbi se vi faccio subitissimo  wurstel e patatine?". La guardo ci mettiamo a sorridere e si ripara in fretta con il piatto emergenza!
La morale esce ingenuamente dalla bocca di Beatrice qualche minuto doppo: "Papà, questa sera cucini tu vero?".

domenica 18 marzo 2012

Sgridare i distratti è grave?

Questa mattina in prima pagina del Corriere della Sera c'è un articolo che riporta una ricerca americana che dice in sintesi di non sgridare i bambini distratti perchè si rischia di limitarne la loro creatività. Nell'approfondimento interno poi si sottolinea che un'impostazione (sia familiare sia scolastica) che privilegi la concentrazione rispetto alla creatività può risultare negativa nella crescita dei bambini stessi. Il target comunque  sono i bambini in età scolare, con tutte le dinamiche che l'approccio scolastico può determinare.
Sono stato forse troppo sintetico e non sto probabilmente dando la giusta  ragione al valore della ricerca, ma il mio problema è: come fare con una bimba di 4 anni è mezzo spesso distratta al punto da farsi male? La sua è la distrazione in movimento: quando cammina guarda in giro, pensa ad altro, si fa rapire da tutto tranne che dal dove mettere i piedi. Ne sa qualcosa la sua fronte che ha sperimentato la consistenza del cartello stradale che ha centrato settimana scorsa o le sue ginocchia che conoscono ormai a memoria i gradi di consistenza di tutti i marciapedi della nostra città.
In questi casi dopo averne verificato l'integrità fisica (... sgridarla al culmine del dolore non riesco) "vado di ramanzina" esortandola a stare attenta, a non distrarsi e che fare troppe cose contemporaneamente è un dono che ha soltanto sua madre (la mia ironia è volutamente mirata..). Ma come fare a non sgridare in questi momenti? Come associare i danni che può provoare la distrazione al valore di una creatività che probabilmente in quel momento sto inibendo? Il distratto a scuola magari apprende più lentamente, il distratto per strada o in casa può fare danni a se stesso e alle cose: mi sa che continuerò a "ramanzinare" quando ci vuole!
E la distrazione degli adulti (in famiglia) come va affrontata quando incide sul bilancio familiare (e sostenere che prendere multe significa avere a cuore il bilancio del Comune mi suona di scusa...)?

sabato 17 marzo 2012

La sorpresa

Se c'è una cosa che mi piace molto dei bambini è il loro continuo sorprendesi di fronte al nuovo! La loro sorpresa è sincera, coinvolgente, per certi versi tenera perchè dice molto del loro conquistare a poco a poco quello che a noi adulti sembra scontato e che spesso non ci fa più nè caldo nè freddo.
Oggi è stata per in nostri figli una giornata ricca di sorprese: dopo molte insistenze li abbiamo portati all'acquario di Genova. Filippo in verità non vedeva l'ora di vedere gli ippopotami e Bea era impaziente di ammirare i delfini. E' andata buca per entrambi: ippopotami non pervenuti e delfini in "manutenzione". Ma la delusione è durata pochissimo. Ogni metro percorso tra vasche grandi e piccole è stata per loro una continua sorpresa. Gli squali, i pinguini, le tartarughe, i pesci colorati (Nemo in particolare), le ranocchie arancioni, le razze, le murene: decine di incontri per loro entusiasmanti.
E come i mei c'erano decine di bambini rapiti allo stesso modo! Una specie di spettacolo nello spettacolo.
Almeno per me è stato così: i loro sguardi emozionati, il loro coinvolgimento e il modo con cui continuamente trascinavano me e mia moglie ad osservare con loro perchè condividessimo quella sorpresa ha reso questa giornata davvero speciale. Grazie al loro sguardo anche per me è stata una giornata con cose nuove, con dettagli scoperti,  in altre occasioni neppure  notati.
Siamo tutti d'accordo nel riconoscere che ogni giorno che passa per i bambini significa scoprire qualcosa di nuovo, ma spesso non ci accorgiamo che in loro le cose nuove emozionano: non li lasciano per nulla indifferenti. Questo sentimento li spinge a continuare a cercare di scoprire, li spinge avanti con lo spirito di chi è libero dentro.
E'  proprio questo loro desiderio di scoprire il nuovo, questa sana libertà e la capacità di sorprendersi che rendono li rendono uno stimolo continuo anche per noi adulti. Sono convinto che una delle principali responsabilità di noi genitori sia proprio quella di inocoraggiare e sostenere tutto questo. Se, per pigrizia o stanchezza, se perchè poco interessati a quanto ci circonda o generalmente indifferenti a quanto avviene, preferiamo spegnere o anche solo intiepidire questo loro desiderio di nuovo, rischiamo di farli crescere più "poveri" e soprattutto meno capaci di amare il bello che li circonda.
Di contro se li sosteniamo in  tutto questo percorso  i nostri figli, non solo ne beneficeranno, ma sapranno pure - a loro modo -  risvegliarci un po', trasmettendoci desideri nuovi e il gusto di ulteriori scoperte. E se ricominciassimo a sorprenderci un po' di più anche noi sarebbe il massimo!

Faticosi risvegli

Al venerdì sera andando a letto una delle soddisfazioni più grandiè quella di non dover puntare la sveglia. Mi dico tutte le volte "fortunatamente domattina si può dormire un po' di più!". Non è tanto la prospettiva del sonno in sè ad attirami, ma la possibilità di non dover sfidare minuti nella lotta quotidiana il rispetto di ogni appuntamento (colazione -"vestizione" - asilo - lavoro: il tutto da a ffrontare come un GP di Fomula 1). Il sabato e la domenica regalano la possibilità di non guardare l'orologio, a meno di appuntamenti particolari, e il non doverlo fare già di per sè rappresenta per me un regalo speciale!
Il problema è che i bimbi pare abbiano un orologio speciale che si attiva proprio nel fine settimana: quello della sveglia automatica e anticipata. Questa mattina eccoli arrivare nel lettone super svegli, agguerriti e  pronti a dettare l'agenda: facciamo colazione? possiamo giocare? Ma che ore sono? apro un occhio, ma è confuso, apro anche l'altro ma non reagisce, allora inforco gli occhiali: le 6.45??? Non è possibile? A nulla vale la richiesta implorante di accucciarsi nel lettone per riposare un po' ancora, ormai per loro la giornata sta entrando nel vivo. E questo sabato tocca a me! Espello i piccoli dalla camera e li porto a far colazione, mentre concedo a mia moglie un supplemento di sonno (domani dovrebbe toccare a me).
In questro momento, mentre scrivo, le due pesti stanno giocando a cucinare e ogni minuto mi propongono una pietanza che devo assaggiare. Virtualmente sazio dico di non aver più fame, ma Filippo insiste e continua a propormi qualcosa che mi sono dimenticato di mangiare. Allora mi appello all'estetica e affermo: "basta, non ce la faccio, più ho la pancia piena", ma la saggia Bea mi rassicura: "non ti preoccupare papà, tu hai la pancia piatta!" Pancia piatta? Ma è un complimento o ci sarà sotto un messaggio in codice? Che stia già sperimentando l'uso delle figure retoriche partendo dall'ossimoro? Preferisco non pensarci.
Si sono arresi, hanno deciso di allestire l'ospedale per i loro pupazzi. Bene, di solito le loro visiste -con diagnosi e cura immediata -  durano almeno una mezzoretta. 
Mi rendo conto, per l'ennesima volta, che a volte è proprio una fatica. Fisica soprattutto, ma anche mentale: i bimbi ti dettano spesso ritmi che non vorresti, disegnando scenari diversi da quelli che ti eri prefigurato. Non puoi farci nulla (ricorrere all'anestesia comporterebbe in eccessivo dispendio economico), e quindi per non generare ribellioni del corpo e della mente l'unica soluzione è immergerti in questa vita facendola diventare tua fino in fondo. Cresceranno prima o poi!

venerdì 16 marzo 2012

Utili consigli 2: cosa non fare (Primo episodio)

Sbagliando si impara e in tanti casi, soprattutto quando ci sono di mezzo i bambini, è proporio così. Ma non sto parlando dei bambini... voglio confessare gli sbagli del papà! Quante volte o per eccesso  di sicurezza o per sbadataggine o per fretta ho combinato guai più o meno gravi. Per ora, fortunatamente, nessuno irreparabile o penalmente perseguibile. E chissà che qualche esperienza non si dimostri di pubblica utilità.
Vado  - e tutto questo ribadisco  l'ho combinato io -  in ordine sparso (nessuna graduatoria temporale o di gravità):
a. mai pruzzare lo spry anti zanzara sulle guance dei bambini confidando nel loro autocontrollo, è molto probabile beccare gli occhi;
b. mai lanciare un bambino, che non è ancora in grado di frenare, col bob in una pista dove ci sono altri bimbini, si potrebbe creare un effetto bowling;
c. mai dire ad una bambina di tre anni che afferma "mi scappa la pipì", "cerca di resistere che sto finendo una cosa", potrebbe allagare la casa;
d. mai far giocare un bambino di quasi due anni a calcio a piedi nudi, potrebbe quasi fratturarsi l'alluce;
e.  mai far giocare 5 bambini dai 5 anni i giù con il Didò in casa, potrebbero cambiare irrimediabilmente le tonalità del pavimento;
f. se avete il bidè col rubinetto regolabile, mai dire ad un bambino di due anni di andare a lavarsi le mani da solo, asciugare (lui) e un bagno allagato non è divertente;
g. se amate portare i bimbi in un parchetto con la buca della sabbia, forse non è il caso di farli giocare a "cucina il minestrone" (suggerendo l'utilizzo dell'acqua per rendere il gioco più realistico) con la teppa del quartiere. Preciso: neppure se sono soli vale la pena.
h. mai far gattonare una bambina di due anni sul ponte di un traghetto che era rimasto al sole per tre ore nel porto (pavimento di metallo,  dipinto di blu)... che sarà successo?
i. mai portare allo stadio una bimba di tre anni senza averle chiarito le regole del calcio e che cosa è un goal;

Diciamo che per oggi mi fermo qui!


Aggiungi un posto a tavola... per gli amici

Qualche tempo fa Beatrice mi chiede: "Papà che ospite viene stasera a cena?". "Stasera? - faccio mente locale, mi sarò perso qualcosa? - Nessuno, stasera siamo in pausa". "Uffa', ribatte lei!".
In effetti si trattava di un periodo di particolare concentrazione di ospiti tra: amici single,  amici con bimbi,  parenti vari, si sono apparecchiate molte tavole e sono andate in scena molte sere diverse e super animate, tanto che il ritorno alla normalità non è stato accolto di buon occhio (dai bimbi, perchè io e mia moglie avevamo bisogno di tirare un po' il fiato). Oddio, non è che la normalità nella nostra casa significhi mesi senza ospitare nessuno, vuol dire non averne quasi tutte le sere. La domanda di Beatrice però mi è piaciuta  molto, perchè lei (come tutti in casa) vive la presenza degli altri (bimbi e adulti) come qualcosa di positivo, di bello, come un'occasione per fare cose diverse e a volte nuove. Ma soprattutto quello che ci pare abbia colto nella sua semplicità è la potenziale bellezza dell'essere circondati da pesone amiche e il valore di certe presenze come una ricchezza per la vita della nostra famiglia. Scherzosamente qualche nostro amico aveva definito la nostra casa (questo prima dell'arrivo dei bambini) "la casa del buon Gesù", dove non era necessario fissare appuntamenti, ma bastava lo squillo dell'ultimo minuto e una piatto di pasta si riusciva sempre ad improvvisare.

Con l'arrivo di Bea e Filippo per noi genitori mantenere certi ritmi sarebbe diventato impensabile, ma tutto sommato non abbiamo rinunciato alla compagnia. A volte è una fatica: cucinare, tener sott'occhio i bambini, sistemare il tutto dopo; ma si tratta gestirla col sorriso perchè la ricchezza della presenza dell'altro garantisce un valore aggiunto maggiore alla nostra famiglia: è come se la rendesse più vitale. La speranza mia e di mia moglie è che i nostri figli si abituino a stare con gli altri, generino relazioni con semplicità e facilità e scorgano nelle amicizie da subito quanto di bene possano trasmettere. E sappiano anche scontrarsi con le delusioni delle amicizie.
E poi come non sorridere quando Bea e Filippo chiamano certi nostri amici maggiormente assidui alla nostra casa con l'appellativo Zio?  Che pensare quando si avverte dell'arrivo di tizio (in questo caso si tratta di simpatico quarantacinquenne) e Bea subito afferma "Bello papà, così posso fare la lotta, e stavolta lo batto!". E come non arrendersi quando 5 o 6 bambini giocano ai pirati per le stanze di casa e contagiano tutti con i loro sorrisi?

giovedì 15 marzo 2012

Piccole cattiverie tra bimbi, come reagire?

Domenica per Beatrice era una giornata speciale: era stata invitata alla festa di compleanno di una delle sue migliori amichette. Emizionata si è preparata in largo anticipo, scrivendo personalmente il biglietto d'auguri, confezionando il regalino con la carta rosa accuratamente selezionata da lei e indossando per l'occasione il suo vestitino preferito. Vedere in una bimba questo senso di impaziente emozione per un momento atteso mi ha generato un misto di tenerezza e simpatia.
Giunti alla casa della festeggiata i bimbi invitati hanno subito iniziato un gioco libero in attesa dell'animatrice, mentre noi genitori ci siamo messi a chiacchierare del più e del meno.
Ad un certo punto Beatrice esce dalla cameretta piangente, inseguita dagli altri cinque bambini che le urlano che è piccola (Bea, nel gruppetto di bimbe effettivamente è, per un mese la più giovane di tutte). L'istinto del genitore protettivo mi ha spinto subito ad abbracciarla, ma nel tentativo di relativizzare mi sono limitato a dirle di non frignare perchè si trattava semplicemente di un gioco e di reagire (o forse dovevo dirle di far finta di nulla e imitare Ghandi?). Dentro di me però ribollivo: era un gioco scemo e se un bimbo piange tra l'indifferenza degli altri significa che è un gioco che non funziona, ma questo era un dato che doveva - questa è la mia opinione - essere in qualche modo evidenziato dagli altri genitori presenti. Invece nulla, indifferenza e silenzio sull'episodio come se alla fine il problema fosse il pianto inopportuno di mia figlia, non il gioco inutilmente cattivo che si erano inventati. Avrei voluto dire ai bambini che se un gioco fa star male qualcun altro non è più un gioco e lo avrei voluto fare con fermezza. Ma il contesto in quel momento mi ha trattenuto.
Tutto si è comunque risolto in un attimo, l'arrivo dell'animatrice a ricondotto il tutto alla festa di compleanno e Beatrice si è ributtata nella festa senza problemi. Festa poi riuscitissima con tutti i bambini molto contenti dell'esito.
Anche dopo, nel tornare a casa, mi è rimasto un groppo che ho fatto fatica a mandare giù: raramente in pubblico difendo i mei figli, anzi spesso al parco quando giocano con altri bimbi se ci sono piccoli screzi non intervengo mai perchè credo nella loro capacità di risolvere il problemi per conto loro, e spesso funziona. Se però vedo che i mei accennano a prepotenze o a inutili capricci ho pronta la ramanzina di rito senza sconti. Quello che faccio davvero fatica a tollerare è l'inutile "prevaricazione" o le piccole malignità gratuite che a volte bimbi coalizzati sanno indirizzare con particolare efficacia verso la "vittima" designata. Ma ancor di più mi irrita il silenzio di alcuni genitori, come se non fosse mai necessario intervenire.
Sono un papà sbagliato? Meglio, vista la completa sintonia sul tema, siamo genitori sbagliati?



Elogio alle SperNonne!

Ogni tanto io e mia moglie ci chiediamo: come faremmo senza le nonne? Sarebbe realmente un bel problema! Noi abbiamo la fortuna di evere due nonne che amano stare con i loro nipotini. Purtroppo una delle due (mia mamma) abita a 100 km da noi, l'altra invece, per fortuna, (mia suocera) a soli  300 mt.
Meritano, a loro modo, una menzione speciale. Mia suocera ha la fama della "super nonna", non tanto per la sua conformazione fisica, ma perchè è iper dinamica: scorrazza i bimbi a destra e manca con naturalezza,  li porta a nuoto (nel senso che da quando hanno 6 mesi fa il corso con loro... dentro l'acqua, mi spiego?... io l'ho fatto una volta e sono riuscito a bagnare le scarpe di Beatrice, a dimenticare l'accappatoio di Filippo e a bagnarmi i vestiti nel momento della loro doccia), ci aggiorna l'agenda dei vari appuntamenti, è sempre disponibile sia nella quotidianità sia nelle emergenze, insomma è per noi un supporto fantastico. E' sempre positiva tanto che quando nei report quotidiani le sfugge "oggi sono stati un pochino capricciosi" so che significa che l'hanno fatta impazzire!
Mi mamma invece è la nonna della "vacanza" o "della convalescenza". Della vacanza perchè data la distanza (e la sua residenza alpina) quando i nostri bimbi ci vanno è per soggiornare almeno una settimana e loro la identificano come vacanza: niente asilo, libera iniziativa, aria pura, risposo assicurato, buona cucina ecc. Della convalescenza perchè dopo una bornchite o una brutta influenza vengono presi in consegna da mia mamma con l'obiettivo del recupero nel corpo e nello spirito e in media tornano con almeno mezzo chilo in più e le guanciotte di Heidi.
Lo ammettiamo: siamo una famiglia fortunata!
E siamo anche contenti che le nonne sappiano fare fino in fondo le nonne: il loro grado di severità verso i nipoti è inversamente proporzionale rispetto a quello che avevano nei confronti dei loro figli (e noi lo possiamo testimoniare); sanno viziare al punto giusto e al momento giusto (anche se dalla loro parte non è mai un vizio concesso, ma un'esperienza da far assaporare); sanno essere pazienti oltre il normale e lo fanno col sorriso sulle labbra.
Lunga vita alle SuperNonne!


mercoledì 14 marzo 2012

E'questione di logistica: organizzarsi in famiglia

Affronto un tema su cui gioco un po' in casa: la Logistica familiare.
Definizione di logistica: "l'insieme delle attività organizzative, gestionali e strategiche che governano nell'azienda i flussi di materiali e delle relative informazioni dalle origini presso i fornitori fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti e al servizio post-vendita".
(Mio) Adattamento familiare: "l'insieme delle attività organizzative, gestionali e strategiche che governano la vita di tutti i componenti della famiglia, indirizzati almeno al termine di una giornata".
Mi fermo alla giornata perchè pianificare già il medio periodo (dalla settimana in su) esigerebbe il ricorso all'ingegneria gestionale, e poi un giorno dopo l'altro prima o poi ti porta al fine settimana.
Una logistica efficiente aiuta ad ottimizzare i tempi (attenzione: tutto questo funziona solo in soggetti non programmati al ritardo cronico o alla percezione del tempo creativo,  dove il dire "arrivo fra un minuto spesso significa almeno un'ora" ecc -), a ridurre lo stress, a  limitare le rincorse dell'ultimo secondo o l'ansia del non farcela, a  non perdere i pezzi, ecc.
 Facciamo un esempio: se voglio cucinare devo approvigionarmi, per approvigionarmi devo andare in un negozio, il verbo andare presuppone un'azione nel Tempo, e così via. Sperare che il frigorifero si autoalimenti col pensiero purtroppo fa parte di un mondo che non esiste ancora.
Andiamo al sodo: mettere insieme le attività organizzative, quelle gestionali e le strategiche impone di  avere obiettivi da raggiungere, strumenti di pianificazione e un minimo di rigore nell'applicare quanto deciso.
Analizziamo un caso (ammetto è rarissimo, ma didatticamente è utile):  se mi pongo l'obiettivo che il martedì sera i bambini debbano andare a letto prima perchè voglio vedere la partita di champions in pace devo pianificare e gestire il processo sotto-descritto:
a. preparare una dettagliata scansione dei tempi ad hoc
b. ridurre al massimo i potenziali momenti di conflitto per garantire un clima di obbedienza (es. pianificare una cena super gradita, rende di buon umore)
c. trasmettere informazioni mirate per generare autoconvincimento (es. "stasera è proprio tardi", "vi vedo proprio stanchi", "domani ci si deve alzare proprio presto", ecc.)
d. pianificare ogni tappa con eventuali vie di fuga - i piani alternativi -  nel caso qualcosa non funzioni (se proprio lo si deve fare ricorrere al castigo "pro partita", eticamente e pedagogicamente non propriamente corretto ma quando ci vuole ci vuole).
e. non farsi prendere dal panico o dal nervosismo se si sta perdendo l'inizio del match, meglio perdere qualche minuto che un tempo intero
f. ritornare - a mente fredda -  su quanto non ha funzionato per migliorare il processo la volta successiva (i più volenterosi possono crearsi dei manuali o delle procedure interne)

Al di là dell'allegoria del papà maniaco di sport,  nonostante sia convinto che la nostra vista spesso è regolata da processi ripetitivi e inconsciamente applicati (una specie di tendenza logistica integrata al nostro dna), credo sia realmente utile imparare e educarsi a pianificare.
Senza manie od esagerazioni (attenzione alla compulsività, se diventa ossessione farsi curare..) e con le dovute aperture verso l'imprevisto, avere il controllo dei tempi e di quanto stabilito è una conquista straordinaria. E' il vaccino all'isteria familiare. 
PS. nella definizione di logistica adattata alla famiglia si parla di "tutti i componenti familiari": sia chiaro che se il controllo dei figli, almeno fino ad una certa età, può essere  più semplice, quello del coniuge in certi frangenti può essere praticamente impossibile (alla terza volta che o il marito o la moglie, dopo aver detto "non ti preoccupare, ci penso io, arriverò in tempo. Fidati.", bucano un impegno con i bimbi, imparare a pensare da subito al piano B, applicando  il criterio della riduzione del danno: far dipendere il meno possibile  l'esito degli obiettivi dal coniuge non completamente affidabile (rispetto ai tempi, per carità).

Il punto sul blog... si continua!

Oggi rileggendo alcuni post  mi sono ri-chiesto che senso potesse avere pubblicare e condividere momenti di vita, riflessioni, micro analisi sociologiche o semplici osservazioni, che riguardano la mia vita e quella della mia famiglia. Metterle per iscritto è una cosa, condividerle e renderle pubbliche è molto diverso. Che cosa mi spinge a farlo? Che cosa cerco o che cosa spero di trovare?
Ma a queste domande non era meglio rispondere prima di inziare? Perchè ho iniziato?
Sono partito con un intento molto semplice: raccontare - o almeno tentare di farlo - qualcosa di vero, ma allo stesso tempo simpatico, capace di generare sorrisi: questo perchè credo molto nel potere del sorriso. In questo periodo molti pesi gravano sul nostro futuro: l'incertezza, la crisi, le insoddisfazioni di vario genere, ma dentro tutto questo e nonostante tutto questo per fortuna, nella mia famiglia si riesce ancora a sorridere. Il merito spesso è proprio dei bambini che da attori inconsapevoli sanno scrivere sceneggiature sorprendenti quasi ogni giorno. In rete ho trovato pochi (anche se ammetto di non essere un eccelso internauta, in questo periodo sono solo un "povero interista") spazi di condivisione di questo tipo al maschile: il web è in "mano" alle mamme! Sono tante, brave, dinamiche, creative, ricche di idee e contenuti. I papà sul web latitano, siamo pochini (anche se altrettanto bravi) e quindi proporre anche il questo punto di vista può non essere nè del tutto sbagliato nè del tutto inutile.
Quello che mi sta accadendo è che ci sto prendendo gusto, non tanto per una sorta di ricerca del successo, ma perchè questo spazio si sta realmente popolando di racconti  veri,  in certi casi divertenti o almeno simpatici. Ma non solo: spesso nello scrivere, o descrivere, sono quasi trascinato a non fermarmi al fatto in sè, al puro e semplice episodio, mi ritrovo in gioco con i miei pensieri e le mie riflessioni nella sana consapevolezza di non essere "un fenomeno letterario", ma di poter "dire qualcosa". Di contro però, visto che il mondo pieno di "non fenomeni", forse il comunicare alla pari di tutti quelli "normali" potrebbe diventare più utile di certe forme accademicamente più nobili, ma spesso più lontane ai più.
E quindi mi dedico questo post, in una sorta di autocommento di questo primo mese e mezzo di vita, perchè il raccontare frammenti di vita "normale", per tirar fuori da questa normalità spesso banalizzata, non tanto didattiche innovative e petulanti, ma quelle ricchezze trascurate che in fondo - e senza retorica - sono il sale e il senso del nostro vivere, in fondo mi sta piacendo un sacco!

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